L’indagine durata 12 anni ha disarticolato i clan Mercante-Diomede e Capriati a Bari
I rituali di affiliazione erano quelli di sempre, gli affari invece erano creativi ed estesi.
Come anche la capacità di tessere relazioni e accordi di collaborazione tra le diverse organizzazioni mafiose della Puglia, dalla “società” foggiana alla sacra corona unita salentina.
Una evoluzione antropologica ed economica della mafia barese, quella tracciata dalle indagini della Dda di Bari, capace di infiltrarsi nel tessuto molle della società civile del capoluogo di regione.
L’operazione “Pandora” condotta dai Carabinieri del Ros di Bari, anche col supporto di elicotteri, e coordinata dai pm Giuseppe Gatti, Lidia Giorgio, Renato Nitti e dall’aggiunto Francesco Giannella, dopo 12 anni d’indagine ha disarticolato i clan Capriati e Diomede-Mercante di Bari.
I numeri sono poderosi: 121 indagati, 104 ordinanze di custodia cautelare in carcere richieste dalla Direzione distrettuale antimafia di Bari, 102 gli arresti eseguiti.
I reti contestati: associazione mafiosa pluriaggravata, tre tentati omicidi, armi, rapine, furti, lesioni personali, sequestro di persona e violazioni della sorveglianza speciale.
L’INFILTRAZIONE NELL’ANTIRACKET
Tra gli arrestati anche Roberto Di Blasio, vicepresidente provinciale dell’associazione antiracket Fai, un imprenditore molto noto del settore della sicurezza privata.
Secondo gli inquirenti era affiliato ai clan baresi e “infiltrato” nell’associazione antiracket.
Il procuratore della Dda Giuseppe Volpe ha precisato che: “Il personaggio è tale che in una intercettazione alcuni sodali dicono “tuo fratello come si è trovato in mezzo ai ragazzi, come ha fatto ad essere ragazzo di Pinuccio il drogato? (Il capo clan Giuseppe Mercante, ndr)”.
LE LEZIONI DI MAFIA
Il boss a capo dell’organizzazione era Giuseppe Mercante, che in un bar del quartiere Libertà impartiva le sue linee guida:”Omertà, rispetto e dignità dell’uomo: ecco cosa è importante”, diceva il boss, considerato “uomo di pace”, per la sua capacità di mediatore nei dissidi tra gli affiliati.
Un sodalizio esteso, con ampia disponibilità di armi anche da guerra, come i kalashnikov.
Tra i capi d’imputazione: il tentato omicidio di Domenico Conte (esponente del clan Capriati), arrestato dopo 40 giorni di latitanza; l’uccisione di una anziana donna a Bitonto, ammazzata per strada, per sbaglio, durante una esecuzione tra clan rivali; un agguato fallito nel carcere di Borgo San Nicola a Lecce, nei confronti di un affiliato al clan Strisciuglio.
E’ un’indagine che traccia i nuovi assetti criminali della geografia della sacra corona unita pugliese: le ramificazioni in tutta la Puglia dei clan storici del capoluogo. Bitonto, Altamura, Gravina, Valenzano, Triggiano e tutto il Nord barese fino a San Severo in provincia di Foggia, fino ad andare giù fino al Salento.
A capo di tutto quel Giuseppe Mercante che “aveva potere di vita o di morte”, dicono gli inquirenti.
Un’indagine cruciale, quella della Dda di Bari, che poggia su solide basi investigative ed estese intercettazioni.
Non altrettanto solide le mura della procura: l’ufficio del Gip-Gup è inagibile da tre settimane e per questo le udienze di rinvio dei processi penali si svolgono in una tendopoli montata dalla Protezione civile regionale.
Anche per ribadire solidarietà ai magistrati baresi, che continuano a dare spallate alla criminalità organizzata di stampo mafioso in condizioni di lavoro non dignitose, è giunto a Bari il Procuratore nazionale antimafia Cafiero De Raho: “E’ necessario dare al più presto una sede a questo ufficio – ha dichiarato- per un contrasto efficace a criminalità particolarmente violente come quella foggiana”.
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