Rifiuti Spa

[vc_row][vc_column][vc_column_text]La Puglia da diversi lustri è sul podio di varie classifiche che fanno il punto sull’ecomafia. Una ragnatela fatta di mafia, politica, imprenditori, colletti bianchi. Una fitta rete oleata dalle tangenti. Bandi fatti ad hoc e assegnazioni dirette senza bando con l’escamotage delle “ordinanze contingibili e urgenti”, perché la monnezza puzza e non si può lasciare per strada. E ancora, smaltimento illegale di rifiuti tossici, speciali, pericolosi, con l’aiuto di aziende della sacra corona unita, funzionale agli obiettivi di imprenditori-squali: un grande affare dove sono in pochi a farci soldi e tutti a rimetterci.

Il Tacco d’Italia ha iniziato a lavorare in maniera sistematica su “L’affare rifiuti” nel 2008, all’indomani dell’omicidio di Peppino Basile. Un omicidio di mafia ancora non riconosciuto come tale e di cui sono sconosciuti mandanti ed esecutori.

Nel ricostruire le ultime ore di vita di Peppino Basile, scoprimmo la pista di un ecocentro costruito con soldi pubblici e mai entrato in funzione. Lì Peppino s’era fermato prima di rincasare quella maledetta notte tra il 14 e il 15 giugno 2008, perché voleva farlo vedere ad un suo amico.

Questo dettaglio ci diede il là per un grande lavoro di squadra a cui hanno lavorato molti collaboratori del Tacco, supportati dalla redazione.

Supportati, eravamo, anche da un grande movimento popolare, benché in parte sotterraneo, alimentato dalla rabbia della comunità di Ugento all’indomani dell’assassinio di Peppino Basile, che era stato fonte del Tacco. I lettori ci passavano segnalazioni, foto, documenti, ci aiutavano ad interpretare i fatti e le carte. Un esempio di citizen journalism ante litteram, perché il Tacco dava la possibilità di commentare gli articoli e inviarci documenti anche in forma anonima. Determinante fu la nascita del comitato “Io Conto”, che pungolò il senso civico fino a che uno ad uno quasi tutti i componenti cedettero alle lusinghe economiche in cambio del disimpegno.

Quello che scoprivamo era così assurdo, che decidemmo di aumentare la tiratura del giornale e il numero di pagine (scelta difficile e costosa per un piccolo giornale), per pubblicare un dossier con tutti i documenti originali utilizzati per l’inchiesta. Scoprimmo storie paradossali e tragiche per le ricadute sulla salute pubblica (e le tasche dei cittadini): pubblicammo le prove dell’inquinamento della falda acquifera; svelammo il grande inganno di Burgesi, la più grande discarica della provincia di Lecce, nata abusiva, poi condonata, di proprietà pubblica, affidata a privati, dove la mafia ha tombato centinaia di fusti di pcb (uno dei 10 scarti industriali più pericolosi al mondo) provenienti da aziende del nord, facendoli passare per bucce di banana. Le responsabilità sono state provate solo a metà: molte prescrizioni, alcune condanne per smaltimento illecito di rifiuti pericolosi. Chi aveva smaltito quei veleni, sotto giudizio per mafia in altro procedimento, è stato prima condannato in appello, poi la Cassazione ha disposto di ricelebrare il processo. Così, chi ha tombato i fusti di pcb all’interno della discarica, su commissione di industriali del nord, è stato assolto dall’accusa di mafia. La sentenza d’appello non è stata impugnata dalla Procura di Lecce.

PS: come i nostri lettori più attenti sanno, abbiamo da pochi mesi ripristinato l’archivio di www.iltaccoditalia.info che rischiava di andare perduto a causa di un attacco hacker. Molti articoli sono recuperabili dal data base digitando le giuste parole chiave nel motore di ricerca interno.[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]