Sacra corona: la mafia dimenticata

La sacra corona unita è la quarta mafia, la più giovane. L’unica di cui si conosca con certezza il fondatore, quel Pino Rogoli di Mesagne (Brindisi) che la fondò il 1° maggio 1983 nel carcere di Bari, e che oggi è recluso in regime di 41bis.

Le maxi operazioni degli anni Novanta, coordinate dal procuratore della DDA Cataldo Motta, hanno decapitato l’organizzazione mafiosa del Salento, che da quel momento ha messo in atto un’operazione definita dallo stesso Motta e dalla DNA di “insabbiamento”. La sacra corona ha terminato la “stagione dei fuochi”, delle esecuzioni sanguinose, e ha cambiato pelle, diventando silente, dunque più subdola e pericolosa, perché difficilmente individuabile. Da quel momento è sceso l’oblìo, anche da parte dei media, su un fenomeno criminale che tuttavia è in crescita, radicato nell’economia pugliese e nella pubblica amministrazione.

Le nuove leve della sacra corona unita, saldate da legami di parentela o di affiliazione ai vecchi capibastone assicurati alla giustizia, hanno spesso il volto di imprenditori rampanti, benevoli con le persone in difficoltà: prestano denaro senza interessi, rilevano aziende sull’orlo del fallimento, gestiscono squadre di calcio, slot machines, esercizi commerciali e di ristorazione, lidi di grande richiamo nazionale che assicurano fatturati da capogiro nello spaccio della cocaina, s’infiltrano nella gestione dei rifiuti e in ogni tipo di appalto pubblico. Godono di grande consenso sociale, un fenomeno che genera in una larga fascia di popolazione pugliese il negazionismo della presenza del fenomeno mafioso, diventato difficilmente identificabile se non nelle sue manifestazioni più spettacolari e violente.

ll 26 ottobre 2016, fu ucciso a Casarano (Lecce), quello che tutti pensavano fosse un “bravo ragazzo”. Era invece il boss della sacra corona unita Augustino Potenza, a capo di una rete criminale che da Casarano lanciava e lancia i suoi tentacoli in tutta Italia per arrivare in Olanda, Canada, San Marino, Germania.

Pochi giorni dopo la sua morte, il 3 novembre 2016, ho pubblicato l’inchiesta “Augustino Potenza, l’Italiano che inventò il marketing della mafia” sulla quale lavoravo da oltre un anno.

Poi, nel marzo 2017, una seconda puntata “I tentacoli del clan Potenza sul Comune di Casarano e sul Basso Salento“, ancora più approfondita.

Eppure il negazionismo sulla mafia salentina continua. La sacra corona unita, è una mafia dimenticata: dai media locali e nazionali e dagli stessi cittadini, che hanno paura ancora oggi a pronunciarne solo il nome.

E questo nonostante l’appello del procuratore Motta, lanciato nel suo discorso di commiato:  “Bisogna evitare che il consenso sociale prenda piede e si sviluppi – ha detto – celando l’esistenza e la vivacità della sacra corona unita, che continua, seppur con un atteggiarsi diverso. Non bisogna lasciarsi ingannare dalla pax mafiosa”.

In questa pagina anche la cronaca delle minacce che ho subito per questo lavoro di approfondimento e analisi (“Al ballo mascherato della celebrità. Notazioni a margine delle dimissioni di un politico amico di un boss“), che ribalta ogni punto di vista, perché dà il nome di mafia a quelle che tutti, inclusi i media locali, definivano come attività imprenditoriali di un giovane di successo amato e benvoluto dalla comunità.

Il 31 maggio 2017 gli inquirenti decapitano la ricostituzione del clan (“Clan Montedoro-Potenza, chi sono gli insospettabili“) e poco dopo pubblico la  terza puntata dell’inchiesta: “Terrore e morte: il sistema nel regno della diarchia“.

Chiude (per il momento) questa inchiesta a puntate, il mio editoriale “La rabbia e l’orgoglio, di chi vive in un paese dove c’è la mafia, senza essere mafioso“, che è anche il mio implicito commiato alla città di Casarano, dove sono nata e dove ho vissuto con la mia famiglia fino all’estate 2017.

Marilù Mastrogiovanni