Violenza sulle donne, l’allarme del “Renata Fonte”: nel Salento una denuncia al giorno

Il bilancio del primo semestre 2019: il 90% delle violenze registrate denunciate dalle donne sono agite dai loro partner. Resta forte la paura di denunciare

 

Stalking, maltrattamenti in famiglia, violenza sessuale: sono 171 le donne che da gennaio a giugno di quest’anno hanno bussato alla porta del Centro antiviolenza “Renata Fonte” di Lecce, chiedendo aiuto e protezione. Protezione da una minaccia che, nel 90% dei casi, viene esercitata dal partner, o ex partner, e solo nel restante 10% da persone sconosciute o conoscenti.

 

Si parla di donne di età diverse, dai 18 ai 70 anni, ed in condizioni economiche altrettanto diverse: disoccupate o studentesse, non produttrici di reddito (il 35%), lavoratrici stabili (il 34%) o precarie (il 30%).

 

Tra le diverse forme di violenza registrate dalle operatrici del Renata Fonte, nel 40% dei casi è stata riscontrata quella economica: la dipendenza finanziaria dal marito o compagno, l’unico in casa a gestire il denaro. Ma un’altra piaga, che le stesse vittime stentano a riconoscere, è quella della violenza sessuale (che interessa il 20% dei casi raccolti), un “elemento peculiare” all’interno delle dinamiche di coppia: la donna identifica il rapporto non consenziente come un “dovere coniugale”, non come una vera e propria violenza subita. “Solo dopo un percorso di elaborazione – affermano le operatrici del Centro – le donne riconoscono di avere subito rapporti sessuali contro la propria volontà”.

 

Nella maggior parte dei casi (l’80%) le vittime si ritrovano a fronteggiare sia la violenza fisica che quella psicologica.

 

// ANCORA TROPPA PAURA

Se una buona percentuale (il 65%) di donne ha richiesto la presa in carico da parte del Centro, accettando di denunciare la violenza ed usufruendo di tutti i servizi messi a disposizione dal “Renata Fonte” ( assistenza legale, colloqui di sostegno, colloqui psicologici, accompagnamento presso le strutture di emergenza, servizio di testimonianza, nei procedimenti penali e civili da parte delle operatrici del Centro in quanto persone informate sui fatti), nel restante 35% dei casi le vittime hanno paura: chiedono sostegno psicologico, ma non sono pronte a denunciare, per paura di subire ritorsioni, di non essere ben protette.

Omertà e indifferenza sono tra le cause che ancora oggi imprigionano le donne nel silenzio”, afferma Maria Luisa Toto, presidente del “Fonte”, che illustra le attività del team da lei guidato: “Il Centro Antiviolenza Renata Fonte, da oltre vent’anni, è luogo dove è possibile progettare il cambiamento e costruire percorsi di libertà con le donne e per le donne. L’approccio metodologico è chiaro: si tratta di un approccio di genere, attraverso il quale viene ribadita l’origine patriarcale della violenza.

Il Centro diventa il luogo dove si riconosce che alla base della violenza c’è lo squilibrio di potere tra i sessi; luogo nel quale si mette in atto un tentativo di cambiamento culturale che educhi al rispetto tra i generi e al rispetto dei diritti umani; luogo contro ogni forma di abuso, di esercizio di potere, discriminazione, oppressione e contro ogni forma di rivittimizzazione; infatti il  Centro è testimone delle Donne nei procedimenti civili e penali. Riteniamo che la testimonianza del Centro sia  fondamentale per non far sentire la donna sola nemmeno in questa fase e per rappresentare la necessità di abbattere il muro dell’omertà e dell’indifferenza”.

Donne insieme, per le donne: Maria Luisa Toto e Simona Lanzoni

 

// LANZONI: “IL RENATA FONTE ELEMENTO PORTANTE DEL TERRITORIO”

“Avere un centro che nell’arco di sei mesi prende in carico 171 persone non è cosa di poco conto – ha dichiarato all’agenzia di stampa Dire Simona Lanzoni, vicepresidente di Fondazione Pangea e coordinatrice nazionale di Reama-Rete per l’Empowerment e l’Auto Mutuo Aiuto, di cui il centro fa parte – Il dato si spiega perché ci sono molti anni di lavoro sul territorio in rete. Il 50% è tutto lavoro di rete, passaparola, sensibilizzazione nelle scuole e ad eventi pubblici: vuol dire che le donne sanno che esiste un centro da vent’anni, che è elemento portante di un territorio”.

“Aspettiamo il documento completo dell’Istat-Cnr in cui potremo avere anche i numeri a livello regionale- continua Lanzoni- Ma la media dell’affluenza di 42 donne al Sud ci può far pensare che forse c’è un problema di risorse di tutta la rete dei servizi o forse un problema di formazione in servizi sociali e forze dell’ordine; c’è un problema di cittadinanza, perché una donna del Nord riesce ad accedere a più servizi rispetto a una del Sud”.

Lanzoni interviene poi sulla paura di denunciare: “Questo significa che bisogna lavorare molto di più sulla prevenzione e sulla protezione, finanziando i centri e le reti territoriali, senza focalizzarsi solo sulla parte securitaria, come stanno facendo in questo momento storico a livello di proposta parlamentare”.

 

 

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