Il neo rettore dell’Università di Bari Stefano Bronzini e la triplice sfida per fare del capoluogo di regione una vera città universitaria
di Luigi Cazzato
L’Università di Bari ha il nuovo rettore, Stefano Bronzini, docente di letteratura inglese. Come lui stesso a volte dichiara, frequenta l’ateneo da quando aveva i pantaloni corti.
Che ateneo sarà quello che, secondo la valutazione ministeriale, è il primo megateneo del Mezzogiorno? Una volta riallineato il bilancio grazie al rettore Uricchio, si potrà sognare un po’? O almeno immaginare?
Alcuni parlano di città universitaria. Che vuol dire un luogo a misura di studenti e docenti che vivono in una dimensione in cui tutto o quasi è predisposto in funzione delle loro attività. Città universitarie storiche sono Pisa, Bologna, Padova. Bari può diventarlo? Sì, a tre condizioni. Una fisica. Una politica. Una esistenziale.
La prima è che, almeno il polo umanistico (visto che un campus “scientifico” c’è già) diventi, appunto, un campus. Non uno di quei campus anglosassoni, disconnessi dal resto della città e dalla vita reale. Piuttosto una cittadella. Un’isola pedonale o quasi, dove si possa respirare meno il gas di scarico delle auto e più il fermento delle idee.
La seconda condizione è che sul territorio le istituzioni politiche (dal Comune alla Regione) e gli enti economici (dalle imprese alle loro confederazioni) condividano questo progetto e riservino molte delle loro attenzioni alla sua realizzazione. Insomma, si dovrebbe veramente capire che con la conoscenza e la cultura “si mangia”, così come si mangia nel resto dei cosiddetti Paesi avanzati, dove non si lesinano risorse.
Infine, la terza condizione, legata alle prime due, è che Bari diventi un luogo dove gli studenti arrivano e non partono soltanto. E non parliamo dell’Erasmus. Da Bari, come da tutti i posti, gli studenti devono partire, potendolo fare. Se fare l’università vuol dire qualcosa, questo è crescere lontano da casa. La ricerca dell’incontro con l’altro è quanto di più formativo esista nella vita. Ma si deve lasciar partire a patto che altri arrivino e vogliano fare la stessa esperienza qui.
Siamo giunti dunque alla questione delle questioni. Dal Sud si parte e, almeno come studente, non si arriva quasi mai. Siamo al centro del Mediterraneo e dovremmo intercettare i bisogni formativi, se non delle lontane terre del nord, almeno di quelle vicine intorno a questo mare
Se c’è un augurio da fare al Magnifico, che di incontro con l’altro se ne intende non foss’altro per la sua disciplina, è quello di riuscire a imbastire almeno l’inizio di un tale progetto. Sei anni di amministrazione sono nulla al cospetto di quest’ambizione. Però, gli antichi pantaloncini del nuovo rettore ci dicono che immaginare è giusto e possibile.
Fonte: Corriere del Mezzogiorno