“Taranto non ci vuole”, il grido di dolore dei bambini senza scuola

Cresce l’esasperazione di alunni e genitori dopo l’ordinanza di chiusura dei plessi Deledda e De Carolis, nel quartiere Tamburi. “Sanno generando astio fra di noi, una vera guerra civile fra scuole e genitori”, afferma un papà

di Rosaria Scialpi

 

REPORTAGE. Taranto, 8 marzo 2019, Giornata Internazionale della Donna. Ma le donne di Taranto non festeggiano, non hanno motivo di festeggiare. Le donne di Taranto scendono in piazza a protestare, ad invocare l’aiuto delle istituzioni e a chiedere, ancora una volta, di essere ascoltate e di trovare risposta alle loro domande. Le donne di Taranto combattono, e non lo fanno solo l’8 marzo, lo fanno tutti i giorni. Combattono l’ingiustizia, il malcostume politico, le decisioni piovute dall’alto e che non tengono conto dell’opinione di chi, quotidianamente, è costretto a vivere in una situazione di forte disagio, costantemente sospeso fra il diritto alla salute e il diritto al lavoro.

“L’8 marzo si celebra anche la Giornata internazionale della donna per ricordare le discriminazioni e le violenze di cui le donne sono state, e sono ancora, oggetto in quasi tutte le parti del mondo. A Taranto le donne subiscono, nel corpo e nella psiche, la violenza dell’inquinamento che leva a molte di loro il diritto di avere dei figli e a tutte le madri, senza esclusione alcuna, il diritto di vivere serenamente la genitorialità. Siete tutti invitati a partecipare”: è l’invito dei Tamburi combattenti (un gruppo di genitori tarantini nato in seguito all’ordinanza n°39 del 24 ottobre 2017, che imponeva la chiusura delle scuole del quartiere Tamburi durante i wind days) a tutti i cittadini di Taranto.

 

Come stabilito, i genitori si sono ritrovati sotto il Palazzo di Città con i propri figli, a manifestare il dissenso nei confronti della decisione del sindaco Melucci di chiudere i plessi Deledda e De Carolis. Una manifestazione che ha investito l’intera Piazza Castello, in cui sono convogliate centinaia di cittadini: al grido di “Malediciamo coloro che possono fare e non vogliono!”, i genitori hanno invocato la solidarietà di tutta la città.

“I bambini di Taranto sono sulla bocca di tutti e nel cuore di nessuno!”, “Tutta Taranto deve lottare!”, “Scuole chiuse? Le lezioni continuano domani ore 9:00 al Comune!”, recitavano gli striscioni appesi in tutta la città. Ed eccoli lì i bambini, davanti al Municipio, con i loro grembiulini e i loro colori, a fare ciò che ogni fanciullo dovrebbe poter fare in un Paese civile: lezione.

 

“Il problema dell’inquinamento non riguarda solo il quartiere Tamburi. La diossina e tutti gli altri gas tossici si diffondono in tutta la città, attraverso le falde acquifere, si diffondono nei terreni che danno poi i frutti che a tavola servite ai vostri figli. Tutti respiriamo la stessa aria, volete capirlo? Non lasciateci soli, non lasciate soli i nostri bambini!”, urla una mamma dalla folla, con la voce calante, la voce di chi, non da giorni, ma da anni, grida al mondo la sua verità, denuncia con dolore quello che avviene, rammenta i rumori che si odono nel corso della notte e che impediscono a lei e alla sua famiglia di dormire tranquillamente. Ma forse dormire in pace, poggiando la testa sul guanciale, sarebbe impossibile anche senza quel rumore sordo.

Non si possono fare sogni beati se vivi con la paura che ogni tanto bussa alle tue spalle e ti ricorda che tuo marito potrebbe morire svolgendo il suo lavoro in fabbrica, che tu, lui o i tuoi bambini potreste ammalarvi. Non si può dormire tranquillamente quando la gola la notte ti brucia e l’asma non ti lascia in pace un momento

 

“In questa città si devono rivendicare il diritto alla vita, il diritto alla salute, il diritto al gioco: tutti diritti che ci vengono negati! Da troppi anni, ormai – dice Sara, una delle mamme del quartiere Tamburi – subiamo sulle nostre vite la violenza dell’inquinamento, la violenza dei poteri forti che mettono il profitto davanti a tutto e ci schiacciano. […] Oggi le mamme di Taranto sono in prima linea. Un altro problema di cui si parla sin troppo poco è quello dell’endometriosi, che è una malattia spesso correlata all’inquinamento! Un altro ancora è quello legato ai bambini che non riescono a nascere, un sacco di aborti, le donne subiscono spesso aborti involontari! […] L’inquinamento in questa città non è confinato solo al quartiere Tamburi, non è confinato a Paolo VI, tocca a tutte e tutti! Io sono mamma da dieci mesi, più precisamente oggi mio figlio fa dieci mesi, con tanto sforzo ci ho tenuto ad allattare mio figlio, non ha bevuto un goccio di latte artificiale. Io lavoro al quartiere Tamburi, lavoro alla scuola De Carolis, e l’altro giorno, quando c’è stata l’ordinanza, ho cominciato a tremare e a piangere perché tutto il mio impegno nell’allattare…”.

Le trema la voce e si blocca, poi riprende: “Parlando con la mia pediatra, la dott.ssa Parisi, che sicuramente conoscete, ho scoperto che oltre ad aver passato a mio figlio gli anticorpi, tramite ciò che è più prezioso e cioè il latte materno, ho passato chissà quanta diossina e chissà quanto veleno a mio figlio! Non è giusto! Non è giusto né per noi, né per nessun’altra donna! E noi non abbiamo bisogno più di altri dati, perché i dati ce li abbiamo, ce li abbiamo ogni volta che conosciamo la mortalità, conosciamo le malattie respiratorie e conosciamo tutto il resto! Non abbiamo più bisogno di altri dati e il sindaco lo deve sapere, lo Stato lo deve sapere: non abbiamo bisogno di altri dati, abbiamo bisogno della chiusura di tutte le fonti inquinanti!” Al termine del suo intervento, Sara scoppia a piangere; non riesce a placare le sue lacrime, pur stringendosi nelle spalle, celando il volto con la chioma bionda. Il dolore di una mamma, che si fa portavoce del dolore di tutte le mamme tarantine.

 

Il dramma vissuto da mamma Sara, dopo la scoperta di aver potuto trasmettere tramite l’allattamento al seno diossina al suo bambino, sembra essere avvallato dai dati raccolti nel 2014 dall’Onlus Fondo Antidiossina. Secondo questa ricerca, infatti, la diossina nei campioni di latte materno analizzati, provenienti da donne tarantine di età minima di 33 anni, era superiore al 1500%. Già all’epoca, però, l’Asl di Taranto si dichiarava scettica e definiva l’allattamento al seno la scelta da preferire anche in casi di contaminazione, come previsto dalla normativa Oms.

Poco più tardi, i genitori del quartiere Tamburi vengono chiamati per riprendere possesso dei libri che i loro figli avevano lasciato a scuola, come consuetudine. La risposta di alcune mamme non si è fatta attendere e si è tramutata in un gesto forte: hanno preso i libri dei loro bambini, li hanno accatastati e gettati via. “Che senso ha chiamarci e dirci di venire a prendere i libri, se poi ai bambini viene negato il diritto allo studio? Sono passati giorni dall’ordinanza e ancora navighiamo nel buio”, affermano.

Un gesto forte, secondo alcuni contraddittorio e privo di senso, ma che fa comprendere fino a che punto i nervi dei genitori siano stati condotti.

Qualche ora più tardi, muta lo scenario. Gran parte dei genitori presenti in Piazza Castello al mattino si dirige al plesso Gian Battista Vico ed indice una semi-occupazione, proprio lì dove l’assessora all’Ambiente Francesca Viggiano, i rappresentanti dei genitori, i rappresentanti degli insegnanti e la preside dell’Istituto comprensivo Vico-De Carolis hanno dato vita ad un tavolo per decretare le sorti dei bambini del quartiere.

 

La tensione è alta. I genitori sono schiavi dell’incertezza e vogliono sapere perché la riunione non si tenga pubblicamente, alla presenza di tutti loro, magari nell’aula magna dell’Istituto. Si accalcano davanti alla porta della Presidenza, dove è aperto il tavolo. Quella porta chiusa è per loro il simbolo del muro che incontrano quando cercano di rivolgersi alle istituzioni. I genitori sono scontenti e avviliti, si sentono presi in giro, trattati come rifiuti, non comprendono perché ci debbano essere così tante pattuglie delle forze dell’ordine, oltre alla vigilanza: loro vorrebbero semplicemente dialogare in maniera pacifica.

Nel frattempo, i bambini scorrazzano per i corridoi, ridono e giocano: riescono a trovare motivo di gioia anche in una simile situazione; i bambini della scuola dell’infanzia, con la loro innocenza, poggiano una mano sul volto dei loro genitori e li consolano, non capiscono bene cosa stia accadendo, ma percepiscono il dolore dei grandi, viene quasi da chiedersi perché invece non lo percepisca chi di dovere.

 

Ci avviciniamo ad un gruppetto di mamme che stanno parlando fra di loro, e chiediamo di raccontarci la loro quotidianità, di darci una loro opinione sulle vicende degli ultimi giorni. Parlano a turno, perché vogliono che tutto sia comprensibile e che la loro voce sia finalmente ascoltata.

Inizia Damiana, mamma di un bambino di sette anni che fino al 31 marzo non potrà fare ritorno a scuola. Damiana parla in modo concitato, con il volto paonazzo, tipico di chi si batte con tutte le proprie forze e non vede ancora il traguardo: “I gas delle fabbriche arrivano anche alla Vico, alla Giusti e alla Gabelli, il quartiere è lo stesso, è impensabile ritenere che i gas si fermino in Via Deledda. Questa scuola non ci vuole, tratta i nostri bambini come carne da macello e non è giusto. È inammissibile che i nostri bambini vengano a scuola dalle 14:00 alle 20:00 o che, come si vocifera, vadano in una scuola come la Dante, in cui non ci sono le porte e i bagni sono in condizioni fatiscenti; in più, i nostri piccoli verrebbero esposti a pericolo prendendo l’autobus. Inoltre, se ciò dovesse davvero accadere, chi pagherebbe il biglietto e l’abbonamento dell’Amat a genitori e bambini? Quando passa in orario il pullman, poi! A Taranto il lavoro manca, come dovrebbero pagare i biglietti? Il sindaco non si è proprio interessato a questo. Il problema non si risolve così: l’unica cosa da fare, a mio parere, è chiudere tutte le fonti inquinanti. Bisogna chiudere l’ex Ilva e far così uscire il lavoro per i Tarantini, grazie a demolizione e bonifica che impiegherebbero per decenni le persone. Il lavoro di demolizione, però, dovrebbe essere affidato ai Tarantini, a chi vive ogni giorno il dramma di quel mostro, non a quelli che provengono da altre province, mettono in tasca i soldi dello stipendio e poi criticano la nostra Taranto”.

“Non possiamo vedere i nostri figli crescere – continua Damiana,  con gli occhi colmi di paura –,  molti di loro si ammalano e altri nascono già malati. Noi vogliamo vivere con i nostri bambini, l’ex Ilva va assolutamente chiusa! Ogni giorno i davanzali delle finestre sono pieni di polverine tossiche, è assurdo! I nostri figli hanno già perso una settimana di scuola, facessero almeno a turno, un giorno bambini della Deledda e della De Carolis alla Vico e un giorno quelli della Vico! Ma no! Molti genitori si oppongono, non si mettono una mano sulla coscienza, eppure… eppure sono genitori come noi.

A settembre 2016 risale la riqualificazione dei plessi Deledda, De Carolis e Vico: dopo due anni e mezzo, quest’ultimo è l’unico agibile

L’Ilva dà il pane a parecchie persone, è vero. A me non dà nulla: mio marito si alza alle cinque per andare a Latiano e guadagnare quel poco per mandare avanti la famiglia. L’Ilva potrebbe però dare pane anche chiudendo, con la chiusura uscirebbero un sacco di posti di lavoro tramite la demolizione e la conseguente bonifica: lo so, mi ripeto, ma è così. Lavorare lì è pericoloso, mi dispiace per gli operai! Stamattina abbiamo avuto un colloquio con il sindaco e un ragazzo che lavora all’ArcelorMittal ha detto che quella struttura è tutta arrugginita! Si parla di abbattere le case di Via Deledda e di dare un indennizzo a chi vive lì. Se succede, sai cosa ne sarà dei Tamburi? Te lo dico io: si spopoleranno e rimarremo in pochi, quelli che non possono andar via, a lottare contro il mostro, e scompariremo dalla cartina geografica! Hanno reso le scuole agibili nel 2016 ed oggi ci vengono a dire che l’unica agibile, delle tre riqualificate, risulta la Vico: è un’assurdità!”

 

Una seconda mamma, di nome Rosa, parla poco ed è palesemente stanca: “È uno schifo! Va chiusa la fonte inquinante, non la scuola! Cerchiamo di dare un futuro migliore ai nostri figli e così ci viene proibito. Sai quanti bambini disabili ci sono qui, che non possono spostarsi chissà dove? Ovunque ti volti c’è morte, malattia e tristezza! Se i politici continuano a far orecchie da mercante e i bambini si ammalano, quella struttura la smonto io, pezzi pezzi!”

 

La terza mamma, Debora, appare più pacata, ma solamente perché ha accumulato la stanchezza delle proteste degli ultimi giorni, e ci dice: “Siamo maltrattati da decenni. Una volta sono i wind days, una volta le collinette, un’altra volta ci chiudono le scuole. Siamo stanchi! Siamo tutti uguali, ma altri genitori non vogliono andare incontro alle nostre esigenze. Dall’alto avrebbero dovuto chiudere tutte le scuole del quartiere e i genitori degli altri plessi avrebbero dovuto dimostrarci solidarietà, ma non è accaduto. Molti stanno facendo il gioco dei politici: dividerci. Siamo stati sfortunati quando circa sei anni fa la tromba d’aria ha solo sfiorato lo stabilimento siderurgico, senza procurargli alcun danno! La struttura è vecchia e pericolosissima anche per chi ci lavora.”

 

Poco dopo, ci avviciniamo ad un’altra mamma; dopo un’iniziale diffidenza, afferma: “Sai quanti ci fanno domande e poi non si immedesimano o spariscono? Comunque, ho solo una breve dichiarazione da fare: se la scuola è finita per la Deledda e la De Carolis, allora dev’esserlo anche per Vico, Giusti e Gabelli; sono tutte inquinate, come il parchetto!”.

Il parchetto a cui la donna fa riferimento è quello annesso alla struttura del plesso Gabelli, sorto anni fa per donare ai bambini uno spazio verde in cui giocare e successivamente chiuso a causa dell’inquinamento. Quello stesso parchetto, però, acquisterà nuova vita, grazie al cantautore Niccolò Fabi, il quale ha deciso di riqualificare il luogo, in ricordo della sua piccola Lulù, morta di meningite fulminante a soli 22 mesi.

 

Gli animi sono concitati, sono passate ore da quando la porta della direzione è stata chiusa e nessuno ha avuto notizie sull’andamento del tavolo. Gli sguardi dei presenti sono tutti rivolti a quella porta che nessuno apre, nonostante bussino e chiedano educatamente udienza.

Poco dopo, i genitori riprendo a parlare fra di loro, a fornire idee e spunti, a scambiare opinioni.

 

Ci avviciniamo a un uomo, Gianluca Cascione, che vive l’ambigua situazione di essere un dipendente ArcelorMittal e un papà che difende con le unghie e con i denti i diritti dei suoi piccoli: “Vogliamo dire basta a queste pagliacciate del Comune e dello Stato – afferma –. Hanno solamente giocato su di noi e con noi. Richiediamo che ogni vertice e ogni tavolo con oggetto Taranto e inquinamento sia svolto qui, affinché noi possiamo assistervi e nulla ci venga nascosto. Io sono un lavoratore ArcelorMittal, ma non ci sto a mettere a repentaglio la vita mia, quella della mia famiglia e dei miei concittadini. Desidero la chiusura della fabbrica e poi la bonifica. Taranto può puntare su altro, ha molte altre risorse in potenzialità, potremmo investire su quelle, dovremmo riprenderci il nostro mare”

Poi, Gianluca ci racconta cosa significa lavorare nel colosso siderurgico: “Lavorare lì non è mica bello, sai con certezza quando entri, ma non sai quando e se ne esci… Sei perennemente a contatto con la morte e temi per la tua incolumità. Ho visto molti colleghi avere incidenti gravi, altri sono addirittura morti, lasciando sole le famiglie, è una situazione deprimente!”

E mentre dice ciò, si guarda attorno e cerca di dissimulare la tristezza. Sulla situazione in cui versano le scuole, invece, ci dice: “Mi sembra di tornare a quando, nel 2015, si parlava di chiusura delle scuole, perché zeppe di agenti inquinanti. Il palcoscenico è lo stesso, gli attori anche: cambia solo il sindaco, ma la situazione è quella. Il problema reale è che il sindaco, in quanto primo cittadino, dovrebbe far rispettare la città e quindi far riqualificare l’ambiente, ma niente.”

 

Ore 17:50, quella porta rimane ancora chiusa. I muri arcobaleno della struttura, che dovrebbero donare ai bambini gioia, si scontrano con il grigiore dell’esterno e con quello dell’umore degli astanti. Alcuni genitori vanno via, sono stanchi e amareggiati.

Intorno ai genitori concitati, i muri arcobaleno di uno spazio che dovrebbe aggregare, non dividere

Ore 18:07, si mormora di una trattativa firmata a porte chiuse e di cui nessuno conosce il contenuto. Fra i presenti serpeggia il malcontento, si sentono ancora una volta ignorati. Poco dopo, però, giunge la smentita.

I ragazzi e i bambini si lamentano. Sentono i loro diritti calpestati, non solo quello allo studio, ma anche quello al gioco. Dicono che, se davvero dovessero andare a scuola dalle 14:00 alle 20:00, sarebbe loro impedito di condurre qualunque attività ricreativa e non solo. Se dovessero frequentare la scuola in quegli orari, aggiungono che non potrebbero frequentare i PON per acquisire le certificazioni linguistiche e allargare così il loro bagaglio culturale. I bambini e i ragazzi sono arrabbiati e disorientati, qualcuno piange, qualcun altro protesta e chiede di poter esercitare il proprio diritto-dovere allo studio.

Un ragazzino della De Carolis dice: “Qui a Taranto, ai Tamburi, le eccellenze ci sono, ma sono costrette ad andarsene e questa chiusura delle scuole è uno dei primi segnali che mi dicono che Taranto è ormai una città morta. Triste da dire, lo so, ma è così! Taranto non ci vuole, non ci considera e allora non ci merita affatto! Oltre al danno c’è sempre la beffa: il danno è la chiusura della scuola, e la beffa è sentire dire che ce la siamo cercata, che è colpa nostra perché viviamo qui, anziché in altre zone della città. “Avete scelto voi”, dicono. Ma davvero c’è possibilità di scelta? È assurdo considerare normale che un quartiere debba subire tutto ciò”.

 

In luoghi come il quartiere Tamburi, in cui non ci sono spazi di aggregazione, l’unico punto di raccolta dei ragazzi è proprio la scuola. I bambini del quartiere Tamburi non possono giocare nelle piazzette e fare lì amicizia, e spesso non possono permettersi l’iscrizione in palestra, perché molti genitori del quartiere sono disoccupati. Togliere quindi loro la possibilità di recarsi a scuola significa negare loro la possibilità di comunicare e di socializzare, proprio in anni in cui si denuncia sempre più l’incapacità degli adolescenti di relazionarsi fra loro.

Più scorre il tempo, più gli animi si scaldano. I genitori dei plessi si scontrano fra loro, si creano due macro-fazioni: l’una composta da una parte di genitori del plesso Vico, che non vogliono andare incontro alle esigenze degli altri bambini, l’altra composta dai genitori dei plessi Deledda e De Carolis.

 

Alle 18:30 la porta della Presidenza, finalmente, si spalanca. Ad uscire non sono né l’assessora Viggiano, né altri componenti della giunta: sono i rappresentanti dei genitori, che dichiarano di aver lasciato il tavolo senza firmare e spiegano meglio la situazione agli altri genitori, la decisione dello sciopero ad oltranza.

 

Incontriamo quindi uno dei rappresentanti dei genitori delle elementari: “Ciao, sono Gino. Abbiamo lasciato il tavolo – spiega – perché non vediamo alcuna soluzione. È un problema dell’amministrazione, e lei deve risolverlo al meglio. Stanno generando astio fra di noi, una vera guerra civile fra scuole e genitori. Ci siamo rifiutati di firmare. Hanno proposto il dislocamento delle classi da organizzare in un giorno e mezzo, e da attivare entro lunedì. Non solo tutto ciò non è fattibile, ma è assurdo”.

 

Il comunicato dell’Istituto Moro: l’augurio di un domani migliore “a quei ragazzi che vivono di Ilva”

Passa diverso tempo prima che l’assessora all’Ambiente, Francesca Viggiano, apra la porta. Finalmente, alle 21:00 esce, dicendo di aver disposto una turnazione da attuare da lunedì, in modo da favorire lo svolgimento delle lezioni di entrambi i plessi.

I genitori però rimangono perplessi: la situazione non è variata di molto rispetto a quanto proposto precedentemente, e i bambini si troverebbero ad andare a scuola di pomeriggio. Annunciano che è abbastanza probabile che lunedì scioperino.

Intanto, dall’Istituto comprensivo Renato Moro di Taranto giunge un messaggio di vicinanza e solidarietà ai genitori e ai bambini del quartiere Tamburi: l’inaugurazione della palestra Leonida è rinviata al 30 marzo, con l’augurio di un futuro diverso ai concittadini.

 

Nuovi sviluppi sulle vicende si hanno lunedì 11 marzo. La preside dell’Istituto comprensivo Vico De Carolis ha ottenuto, in ottemperanza con l’autonomia scolastica, lo slittamento di due giorni della suddivisione in scaglioni orari delle lezioni presso il plesso Vico.

Non soddisfatti, i genitori alle 7:30 si riuniscono dinnanzi il plesso Vico per manifestare contro questa turnazione oraria, che ritengono essere un misero contentino da parte delle istituzioni. Successivamente giunge sul posto l’assessora Viggiano, che decide di parlare con i genitori dei bambini colpiti da questa grave vicenda. I genitori sono tutti riuniti attorno a lei, alcuni la guardano con occhi speranzosi, affidandole il futuro dei loro bambini, altri la guardano con sospetto: temono che il Comune prenda un’ulteriore decisione che non tiene conto dei problemi del quartiere e che, nuovamente, si dimostri loro “nemico”.

Una mamma le chiede: “Dottoressa, io ho un figlio che dovrà venire a scuola di pomeriggio e un altro di mattina, come farò con il lavoro?”

L’assessora fa quindi presente di aver probabilmente trovato una nuova soluzione: trasferirà, infatti, tutti i 708 bambini e i loro insegnanti presso l’Istituto Acanfora di Taranto, con servizio di trasporto finanziato dal Comune.

Questa soluzione temporanea – ricordiamo che, in base all’ordinanza del sindaco Melucci dei giorni scorsi, i bambini non potranno fare ritorno nelle loro scuole fino al 31 marzo – suscita lo scetticismo di una mamma, la quale fa presente all’assessora che parte dell’Istituto Acanfora è già occupata dal Liceo Vittorino, e che un’altra parte è stata dichiarata inagibile: “Mia figlia frequenta la succursale del Vittorino, ed ha subito il trasferimento della sua sede presso l’Istituto Acanfora, quindi l’edificio risulta già parzialmente occupato. Inoltre, l’altra parte dell’Istituto era precedente occupata da una scuola elementare, poi spostata perché quell’ala della struttura era ritenuta inagibile. Ci spiega allora, assessora, come possa pensare che noi siamo tranquilli a mandare lì i nostri piccoli?”.

La risposta di Viggiano non si fa attendere: “Verificheremo tramite chi è addetto alla sicurezza dell’Istituto che non sia così; in caso contrario, prenderemo in considerazione altro”.

Improvvisamente si solleva una voce in mezzo alla folla, che chiede: “E gli insegnanti come faranno a spostarsi dai Tamburi all’Acanfora e viceversa, per fare lezione anche con i bambini della Vico? Non credo nemmeno che sia giusto che i bambini vivano al fianco di ragazzi delle superiori, ormai quasi adulti, non mi sembra ragionevole né giusto che debbano abbandonare il loro rione così piccoli per avventurarsi fino lì!”.

 

Un papà interviene: “Io porterò mia figlia a scuola anche di pomeriggio, se necessario, perché altrimenti perderebbe un mese di scuola e non lo voglio, sebbene non lo ritenga giusto affatto; ma dovete tener presente che è un problema ben più grande delle sole scuole, e che probabilmente il sindaco non riesce a fronteggiare una situazione che neanche lo Stato è riuscito a risolvere”.

Dopo questa riflessione gli animi si scaldano: un altro genitore si scaglia contro l’uomo, inveendo prepotentemente perché in disaccordo con le sue affermazioni; ormai la situazione è estremamente tesa, diventa facile fraintendersi. La popolazione è spaccata, divisa in fazioni, come in una guerra fra fratelli che vorrebbero poter giungere allo stesso punto e alla stessa conclusione.

Il clima in città è manifestamente teso. Da un lato i genitori che, giustamente, chiedono a squarciagola che i loro diritti, ma soprattutto quelli dei loro figli, vengano rispettati. Dall’altro, invece, i lavoratori che pretendono di poter lavorare in piena sicurezza, in un ambiente salubre, di non vedere più i colleghi morire per “il pane” e di non vedere più la città distrutta. In mezzo, invece, ci sono i cassintegrati ArcelorMittal che, dopo essersi ritrovati improvvisamente senza lavoro e con lo stipendio diminuito, richiedono chiarezza e certezze, sono preda della precarietà.

Proprio questa condizione vacillante, ormai protrattasi per troppo tempo, pare essere il movente dell’aggressione avvenuta il 6 marzo 2019 ai danni di un rappresentante della Federazione Italiana Metalmeccanici (FIM). Il comunicato stampa del sindacato recita: “Il nostro giovane delegato, alla fine del turno di lavoro, alle ore 15, è stato aggredito con un pugno alla testa. Un’altra rsu FIM-CISL, per fortuna, è intervenuta immediatamente, evitando che proseguisse l’aggressione. Non contento l’aggressore ha preso un coltello nell’intento di lanciarlo al nostro delegato. Non riuscendoci si è recato verso la sua auto dalla quale ha prelevato una spranga cercando di raggiungere nuovamente il nostro delegato, non riuscendoci.

L’atto gravissimo, ai danni del nostro delegato, è la diretta conseguenza del clima d’odio di chi continua ad alimentare strumentalmente paura e tensione tra i lavoratori mettendoli uno contro l’altro. Quanto accaduto oggi è il risultato di chi sulle difficoltà dei lavoratori in Cassa Integrazione cerca di creare consenso perverso figlio di una storia che pensavamo sepolta da anni”.

 

L’atto, assolutamente condannabile, è però il risultato di uno stato di alta tensione e di esasperazione che si sta sempre più diffondendo in città e che, ad oggi, coinvolge ogni strato della popolazione. Sarebbe auspicabile, quindi, un intervento quanto più tempestivo ed equo possibile, che smuova le acque e ridoni serenità alla popolazione tarantina, da troppo tempo vessata, prostrata e ormai sfinita.

 

 

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