Al Petruzzelli, l’enigma irrisolto di Turandot

di Fernando Grecogreco melomane opera lirica

(foto Arcieri)

 

A sette anni dalla riapertura, il Petruzzelli ha riproposto il sontuoso allestimento di Roberto De Simone per “Turandot”, ultima opera di Giacomo Puccini che il 6 dicembre 2009 inaugurò il rinato teatro barese. Si sperava che in occasione di questa ripresa si sarebbe potuto apprezzare il nuovo finale dell’opera composto ad hoc dal maestro De Simone, ma purtroppo, ora come allora, controversie con Casa Ricordi ne hanno impedito l’esecuzione.

 

PER ME L’OPERA FINISCE QUI

Il tentativo di De Simone di dare un finale all’”incompiuta” di Puccini sarebbe la risposta più recente, dopo quelle fornite da Franco Alfano (1876 – 1954) e da Luciano Berio (1925 – 2003), al “quarto enigma di Turandot” (secondo la bella definizione data dal compositore Marco Tutino) ovvero la conclusione di una partitura lasciata incompiuta dal suo autore non soltanto a causa della sua scomparsa, ma anche per oggettive e documentate difficoltà. Per la morte di Liù Puccini aveva scritto una pagina di intensità troppo grande, totalizzante al punto che non ci sarebbe stato più posto per un lieto fine se non a rischio di scadere nella banalità. E allora, in attesa di altre risposte opinabili e parziali al “quarto enigma”, tanto vale godersi l’opera così com’è, lasciandosi spezzare il cuore dal formidabile volo dell’ottavino su quel Mi che conclude la partitura e anche l’esistenza terrena di Giacomo Puccini (1858 – 1924). “Per me l’opera finisce qui”: forse l’unica risposta concreta al quarto enigma di Turandot è rappresentata da questa frase con cui Arturo Toscanini, dirigendo la prima dell’opera alla Scala il 25 aprile 1926, interruppe l’esecuzione proprio dopo quel fatidico Mi.

 

L’ESERCITO DI TERRACOTTA

L’allestimento scenico di Roberto De Simone, in collaborazione con Nicola Rubertelli per le scene e Odette Nicoletti per i costumi, si caratterizza per una sontuosa ieraticità connessa con aspetti squisitamente tribali che affondano le radici in tradizioni proto-imperiali. Esplicito il riferimento al celebre “esercito di terracotta” rinvenuto nel mausoleo del primo imperatore cinese (260 – 210 a.C.), le cui enigmatiche figure popolano ogni scena dell’opera, sia attraverso vere e proprie statue sia attraverso i costumi dei coristi. La poetica fiabesca si rivela nel momento del sacrificio di Liù, quando la comparsa in scena di Lou Ling appalesa la rottura dell’incantesimo: l’antenata stuprata e uccisa, finalmente vendicata, può liberare Turandot dalla sua frigidità. Per inciso, diciamo che Liù non sottrae il pugnale a un soldato, ma si trafigge con il proprio fermacapelli, secondo la tradizione per cui ogni orientale vive sempre con il suicidio a portata di mano (Butterfly docet).

La ricchezza del versante visivo ha trovato il suo pendant nella magnifica esecuzione orchestrale, tesa a valorizzare la complessità della partitura pucciniana. Fatte salve le oasi melodiche, cifra distintiva del genio pucciniano, l’Orchestra del Petruzzelli diretta da Giampaolo Bisanti si è distinta soprattutto nel meraviglioso affresco sinfonico – corale presente nel primo atto, cesellando gli infiniti dettagli di una pagina che è formidabile coacervo di tutta la creatività novecentesca, dal fauvismo di Stravinskij agli incubi di Strauss, dall’impressionismo di Debussy alle atmosfere jazz di Gershwin. Di alto livello la performance del Coro del Petruzzelli istruito da Fabrizio Cassi, coadiuvato per l’occasione dal Coro di voci bianche “Vox Juvenes” diretto da Emanuela Aymone. Asciutte ed essenziali le coreografie di Domenico Iannone.

 

GRANDE ESPRESSIVITA’

La “principessa di gelo” ha avuto a Bari l’autorevole accento del soprano Tiziana Caruso, voce di bel timbro e dal piglio drammatico: una maggiore spavalderia nella zona acuta avrebbe fornito al personaggio ulteriore credibilità. Zona acuta che per il personaggio di Liù si colorava della dolcezza e della grande espressività del soprano Daria Masiero, sempre intensa e palpitante d’amore, ma mai zuccherosa. Del tutto a suo agio nei panni di Calaf, il tenore Carlo Ventre si è distinto per acuti squillanti e l’ardore di un’interpretazione appassionata. Commovente il basso Deyan Vatchkov alle prese con il ruolo di Timur reso con caldo timbro vocale e profondità d’espressione. I tre ministri Ping, Pang e Pong, retaggio delle maschere della Commedia dell’Arte, sono stati interpretati con brillante presenza scenica dal basso-baritono Domenico Colaianni e dai tenori Saverio Fiore e Massimiliano Chiarolla: Colaianni si è ulteriormente imposto sugli altri due per chiarezza nella dizione e ampiezza di volume. Efficace il tenore Rino Matafù nei panni di Altoum, puntuale il Mandarino del baritono Tiziano Tassi. Completavano il cast il tenore Raffaele Pastore, il soprano Maria Silecchio e il mezzosoprano Giovanna Padovano nei rispettivi ruoli del Principe di Persia e delle due Ancelle.

La Stagione Lirica 2016 del Teatro Petruzzelli si concluderà con “La vedova allegra” di Franz Lehàr che sarà in scena dal 14 al 22 dicembre. Informazioni dettagliate sul sito www.fondazionepetruzzelli.it.

 

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