Servi dei servi

Di Barbara Toma

 

Ci vuole coraggio per disubbidire. Per sovvertire le regole.

 

Nonostante tutti i miei infiniti fallimenti sono sempre stata fiera di aver fatto scelte coerenti con il mio sentire e le mie idee politiche, scelte spesso controproducenti, lotte solitarie, pagate sulla mia pelle.

 

Ma gli anni passano, la forza diminuisce ed è più difficile restare coerenti quando si ha davvero bisogno di ogni offerta di lavoro che si riceve.

Ho riflettuto molto su questo ultimamente. Quanto siamo costretti ad accettare per sopravvivere?

Fare il mio lavoro mi appaga, non solo economicamente, anche a livello spirituale e psicofisico.

Ma a quali compromessi devo a scendere per continuare a farlo?

 

Non è facile ricostruirsi da zero dopo una caduta, ripartire in un luogo ostico, dove non si ha una storia, e in più con tutte le difficoltà che comporta l’abbinamento lavoro/due figli piccoli.

Ultimamente ho detto sì a tutte le proposte ricevute.

 

Che io sia diventata una specie di prostituta del teatro? D’altronde basta poco: pezzo dopo pezzo potresti ritrovarti a mettere sempre meno condizioni e accettare sempre più compromessi.

È importante poter continuare a fare il proprio lavoro.

E, certo, resto una privilegiata, perché dopo tanti anni, ancora riesco a guadagnarmi da vivere solo ed esclusivamente con il mio mestiere, senza dover cercare di arrotondare facendo altro.

 

Ma a che prezzo?

 

La precarietà influisce in modo profondo sulle nostre scelte. Condiziona il nostro agire fino a renderci più deboli e sempre meno coerenti con noi stessi.

E se perdiamo la coerenza, se tradiamo il nostro sentire, cosa ci rimarrà il giorno che avremo perso tutto?

 

Alla mia età, la ragazzina che abusa del suo potere facendomi un torto, nonostante mi rivolti, non mi stupisce più, e ha la mia empatia, perché riconosco le sue catene, riconosco la sua paura di perdere il posto, la sua condizione precaria che la rende cieca di fronte a una sorella e priva di empatia di fronte ad esseri umani come lei. Incapace di riconoscere che ciò che lei permette venga fatto a me oggi, sarà probabilmente fatto a lei domani.

 

Ogni giorno vedo esempi di gente pronta ad eseguire ordini. Un capo cameriere che schiavizza e maltratta gli altri, un addetto alla sicurezza che, pur di far rispettare le regole, arriva a violare diritti altrui, un avvocato che parla solo di leggi e non vede più gli esseri umani per cui sono state scritte.

Nella maggioranza dei casi si tratta di gente che non fa altro che eseguire gli ordini. La cosa mi colpisce sopratutto quando sono giovani. O quando sono donne che si comportano in modo estremamente maschilista e sessista con altre donne.

 

Tutti schiavi del “Tanto ce ne sono altri mille pronti a prendere il tuo posto

 

E allora, che io accetti di lavorare per un teatro finanziato da un ricco mecenate milanese o risponda all’invito di una fondazione creata da un oligarca russo, un grande teatro stabile, o una festa privata, la condizione è sempre la stessa: accettare solo se pagata molto bene per fare il mio lavoro con la massima libertà, senza compromessi.

 

Ma poi magari mi ritrovo a dover trattare con uno staff di personaggi totalmente estranei ed insensibili all’arte, formati dalla paura e pronti ad usare il loro potere, grande o piccolo che sia, contro qualcuno.

Mi metto nelle condizioni di poter subire.

 

E torna l’antico dubbio amletico:  è o non è il caso di collaborare con strutture gestite da chi ha idee e comportamenti così lontani dal nostro sentire politico?

Dovremmo forse boicottare tutti gli inviti di enti, teatri , festival e fondazioni lontani dal nostro sentire? Oltre a precluderci tre quarti delle possibilità di lavorare e incontrare nuovo pubblico, a cosa porterebbe una tale scelta? Che senso avrebbe parlare solo ad un pubblico che è già vicino al nostro sentire?

 

In questi giorni mi chiedo: quanto dei nostri atteggiamenti quotidiani e delle nostre abitudini in realtà altro non è che un risultato di una cultura fascista e violenta?

Cosa posso cambiare nel mio quotidiano? Come posso influire su queste dinamiche senza subirle?

 

Le nostre vite sono intrise di sconfortante malessere e diventa sempre più necessario persistere nel creare terreno fertile alla resistenza.

 

Mi viene in mente un vecchio spettacolo della compagnia teatrale Motus: Piccoli episodi di fascismo quotidiano.

Un lavoro in continua evoluzione che veniva sempre preceduto da una residenza artistica e da un laboratorio e per cui fu realizzato un interminabile video-catalogo con mini interviste in cui veniva chiesto di descrivere, davanti a una telecamera, un “piccolo episodio di fascismo quotidiano” subito o a cui avevano assistito.

 

Sentire quelle interviste era agghiacciante. Era l’insieme di tutte quelle storie a dare forza al concetto.

 

E’ molto semplice: l’unione fa la forza.

 

Non è più tempo per i singoli atti di coraggio e le lotte personali.

Sono stanca di tutta questa solitudine.

E’ tempo di unire le forze e tessere relazioni.

 

Probabilmente non esistono isole possibili, immuni dal fascismo quotidiano che governa le relazioni di potere, anche nell’illuminato contesto teatrale o culturale, ma questo non deve metterci nelle condizioni di gettare la spugna.

 

Bisogna lottare insieme, fare una rivolta usando le nostre armi migliori:  bellezza, poesia, creatività, coerenza. Senza perdere l’empatia e senza perdere la forza vitale della rabbia.

 

Sono stanca, perdo forza, perdo pezzi.

 

Ho bisogno di riconoscermi nelle storie degli altri, ho bisogno di prendere forza dalla solidarietà di un gruppo, di aumentare la mia creatività fondendola in quella degli altri.

Ho bisogno di credere nel collettivo.

 

Capace di riconoscere il talento e le capacità altrui, ma abbastanza negata nel farmi riconoscere dai miei simili, sono qui. Non voglio la spugna. Mi verrebbe da lanciare un appello ad artisti, attivisti, pensatori, coreografi, danzatori soli come me, ma so bene che le collaborazioni artistiche, i collettivi, nascono per caso o per fortuna, come gli amori.

Non mi resta che aspettare che mi capiti e, nel frattempo, restare vigile. Sarò pronta a riconoscervi, compagni.

 

One Thought to “Servi dei servi”

  1. Sei una grande donna Barbara e un’ artista vera perché solo una vera artista avverte l’ urgenza di difendersi da tutto ciò che può snaturarla. Sono con te in ogni tuo pensiero e spero di poterti essere affianco anche in qualche tuo lavoro. Un abbraccio

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