Ex Ilva, la Procura ordina il fermo dell’Altoforno 2. E al Mise si discutono le sorti dei lavoratori

Cassa integrazione, immunità penale e sicurezza: le parti in causa ancora una volta divise su provvedimenti dall’alto e rischi concreti per i lavoratori

Di Rosaria Scialpi

 

L’altoforno 2 dell’ex Ilva va chiuso: a stabilirlo è stata la Procura di Taranto, guidata da Carlo Maria Capristo.

L’altoforno era già stato sottoposto a sequestro nel 2015, in seguito all’incidente del 2 giugno in cui l’operaio Alessandro Moricella aveva perso la vita, travolto da una colata incandescente.

L’AFO2 era poi tornato al lavoro e l’allora amministrazione dell’Ilva aveva promesso una serie di provvedimenti per rimettere a norma l’impianto: promesse mai mantenute del tutto.

Lo stato di attività dell’Altoforno è perdurato fino al rigetto dell’istanza di dissequestro da parte del gup Pompeo Carriere e alla conseguente decisione della sostituta procuratrice Antonella De Luca, la quale ha notificato all’ex Ilva il nuovo sequestro dell’altoforno, disponendo, si legge nel provvedimento, “ai fini della compiuta esecuzione del sequestro preventivo del 27.6.15 dell’altoforno 2, l’avvio delle procedure per lo spegnimento dell’impianto secondo il cronoprogramma che verrà redatto dal custode”.

De Luca ha dunque affidato a Barbara Valenzano, in qualità di custode (nomina affidatale dalla magistrata Patrizia Todisco nel 2012), il compito di stilare il cronoprogramma per le operazioni di spegnimento di AFO2.

 

La notizia giungeva proprio mentre era in corso al Ministero dello Sviluppo economico un tavolo con i rappresentanti Arcelor Mittal, con il ministro del Lavoro Luigi Di Maio e con i sindacati, per discutere dei seguenti temi:

  • la cassaintegrazione di 1400 dipendenti ex Ilva per 13 settimane a partire dal 1° luglio;
  • lo stato dei finanziamenti da settembre 2018 a luglio 2019
  • l’immunità penale, soppressa dal decreto Crescita, e la responsabilità dell’azienda nei confronti della questione ambientale.

 

In merito al primo punto, il ministro Di Maio ha risposto di non avere alcuna intenzione di ripristinare l’immunità penale per il complesso siderurgico e che, se Mittal si atterrà a quanto stabilito tramite decreto, allora non dovrà temere la revoca della concessione dello stabilimento.

Nel frattempo, a riunione in corso, molti operai hanno incrociato le braccia, dando avvio a uno sciopero sotto la sede di lavoro e manifestando così il proprio dissenso nei confronti di quanto era stato scelto per loro precedentemente.

Le opinioni dei sindacati sull’intervento di Di Maio e su quanto stabilito e discusso durante il vertice divergono notevolmente fra loro.

Francesca Re David, segretaria generale di Fiom Cgil, soffermandosi sulla mancanza di dichiarazione di disponibilità dell’azienda, ha dichiarato: “Se non si risolve la questione della certezza del quadro legislativo, tra governo e azienda, non si avvia una concreta verifica degli impegni assunti. L’azienda non ha dato nessuna disponibilità a rivedere la decisione della cassa integrazione ordinaria a Taranto, né ha fornito risposte sulle altre questioni sollevate con un atteggiamento di semplice comunicazione delle decisioni assunte, che riteniamo inaccettabile. Il tavolo di oggi è stato riaggiornato ai prossimi giorni. Auspichiamo che in tale sede ci siano le condizioni per affrontare un confronto in merito agli impegni assunti”.

Il capo della Fim Cisl, Marco Bentivogli, ha definito il tavolo al Mise “un incontro deludente, perché il governo non ha risolto la partita dello scudo penale né Arcelor ha espresso alcuna volontà a ritirare la cassa integrazione per fronteggiare il calo del 40% delle importazioni in Europa di coils, né ha chiarito se al termine delle 13 settimane di CIGO (cassa integrazione guadagni ordinaria, ndr) i lavoratori potranno rientrare in azienda. Nessun passo avanti si è registrato: Arcelor chiede una soluzione sull’immunità che le consenta di applicare le indicazioni Aia, Di Maio dice che si sta lavorando”.

Sulle dichiarazioni rilasciate dal ministro Di Maio, Bentivogli ha invece detto: “Il Mise si è aperto con una preoccupante novità che riguarda l’atto della Procura di Taranto che decreta lo spegnimento dell’Altoforno2. Il ministro Di Maio ha comunicato durante l’incontro che il Governo sta interloquendo con la Procura e hanno chiesto di sospendere il provvedimento di spegnimento, che si somma agli altri problemi riguardanti la cassa e lo scudo penale, complicando non solo la gestione dell’accordo ma soprattutto il rilancio industriale e l’ambientalizzazione”.

 

Anche il leader della Uilm, Massimo Palombella, si è espresso su questa situazione, manifestando la propria preoccupazione per le sorti dei lavoratori: “Sul tavolo c’era anche un altro argomento su cui purtroppo non ci sono stati passi in avanti, ovvero la cassa integrazione ordinaria per circa 1.400 lavoratori. Senza contare che ci sono ancora 1.700 lavoratori in amministrazione straordinaria legati alla ripresa dell’attività produttiva, al piano di bonifiche e ai corsi di riqualificazione organizzati dalla Regione tuttora fermi. Ancora una volta il peso della crisi dell’acciaio sta per ricadere esclusivamente sulle spalle dell’Italia e dei lavoratori dell’ex Ilva”.

Infine, Stefano Sibilla, segretario regionale FLM-uniti-CUB, sindacato non firmatario ma partecipante al vertice, ha riassunto in una diretta Facebook la sua versione dei fatti.

Sulla cassaintegrazione in vigore dal 1°luglio dice: “ArcelorMittal sta rispettando gli accordi da lui firmati, questo lo dobbiamo dire, perché Mittal ha applicato le leggi normative della cassa integrazione, come aver fatto in seguito quattro convocazioni con i sindacati per parlare proprio della cassaintegrazione”.

Sibilla ha poi parlato della questione immunità penale e si è soffermato su un dato sconcertante, cioè la presenza di amianto nello stabilimento: “Dei morti sul lavoro, dei risultati dell’immunità penale, di tutti i bambini che si ammalano e muoiono al quartiere Tamburi ieri non si è parlato, su quel tavolo tutto ciò non si è messo in mezzo, è una vergogna! […] L’Ilva di Taranto è un posto diverso e per prima cosa deve venire la salute e di questo non si è parlato come non si è parlato neanche di altro, nessuno, nessuno e nessuno, lo ripeto, ha detto al ministro Di Maio, anzi, nessuno gli ha ribadito, visto che queste cose le diciamo ogni giorno, che all’interno di quella fabbrica esiste amianto, 3750 tonnellate di amianto, dichiarato dal ministro Costa e da ArcelorMittal; […] si dichiara che ci sono impianti che solo una volta fermati possono essere privati di amianto e cioè è un suicidio quello che si sta facendo! […]Io sono anche lavoratore di quella fabbrica, sono in cassaintegrazione perché ne ho dette sempre “milleuna”, lo ripeterò e lo farò sempre, ma io voglio rientrare in quella fabbrica, ho 43 anni e voglio lavorare, ma voglio essere uno di quei lavoratori, uno dei tanti tanti lavoratori, impiegati nello spegnimento delle fonti inquinanti, con le mie mani voglio bonificare, voglio realizzare il sogno di tutti, anche di quegli operai che hanno votato i Cinque stelle sperando nella chiusura […].

 

Sibilla, poi, commenta così la decisione della magistratura e l’intervento del vicepremier Di Maio: “Il ministro Di Maio che fa? Vuole fare un’ordinanza per la magistratura per bloccare il sequestro! Ma stiamo scherzando davvero? Ma che stiamo dicendo? […] Questa è la mia rabbia, ancora non siamo uniti, ognuno di noi in questa vita ha un suo ruolo e interpretiamolo tutti quanti allora, ci stanno prendendo tutti in giro!”.

La decisione della Procura sta dunque dividendo i sindacati, tracciando una linea di demarcazione: da un lato i favorevoli alla decisione della magistratura, dall’altro coloro che in essa vedono solo un ostacolo.

Gli operai e le proprie famiglie, a loro volta, temono che la chiusura dell’AFO2 possa comportare dei problemi economici all’azienda, che si vedrà quindi costretta a dichiarare la cassaintegrazione di altri lavoratori.

Altri cittadini, invece, vedono nella chiusura dell’altoforno un piccolo spiraglio di luce che possa portare o la chiusura totale delle fonti inquinanti o, almeno, una riqualificazione.

 

Nuovamente Taranto si ritrova frantumata in fazioni che lottano fra loro per la sopravvivenza. Sembra quasi che il destino di questa città sia proprio quello di non potere essere unita, di non potere compattamente perseguire un unico obiettivo che porti al benessere di tutti e non dei singoli.

Taranto è come una madre che vede i propri figli litigare furiosamente fra loro e che si dispera per questo, tentando invano di chetare le acque e di riportare la pace e l’unità fra la sua prole, che però ignora le sue parole e continua a farsi la guerra.

 

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