Irisina tra le stelle: la cura per l’osteoporosi si ricerca nello spazio

L’équipe coordinata da Maria Grano dell’Università di Bari condurrà un esperimento selezionato dall’Agenzia Spaziale Europea per curare le malattie delle ossa

 

Di Francesca Rizzo

(foto: Alberto Bevilacqua – Panorama.it)

Una proteina per ossa più forti. Parte da Bari e arriva nello Spazio, attraverso la base NASA di Cape Canaveral, l’esperimento di un gruppo di ricerca del Dipartimento Emergenza e trapianti d’organo dell’Università di Bari, coordinato dalla dottoressa Maria Grano, ordinaria di Istologia presso la Scuola di Medicina barese. Un’équipe quasi interamente al femminile (oltre a Grano, ne fanno parte Silvia Colucci, Giacomina Brunetti, Graziana Colaianni e Giorgio Mori), che ha approfondito il ruolo di una proteina recentemente scoperta, l’Irisina, nella prevenzione e cura dell’osteoporosi, una delle malattie metaboliche a più alta incidenza nel mondo.

Da lì, l’intuizione successiva: l’osteoporosi, è vero, colpisce in prevalenza gli anziani, ma non solo loro. Anche i giovani astronauti subiscono questa malattia, per fortuna in forma lieve e dunque reversibile, a causa dell’assenza di gravità nello Spazio. Trovare misure di contrasto è da sempre uno degli obiettivi delle ricerche nel campo della biomedicina spaziale.

Sarà la volta buona? Ce lo auguriamo tutti, e lo scopriremo presto: il 2 aprile prossimo la capsula Dragon avrà a bordo delle ospiti speciali: cellule ossee trattate con Irisina, nell’ambito del progetto di “bio-medicina spaziale” coordinato da Maria Grano e selezionato da European Space Agency (ESA), con il finanziamento di Agenzia Spaziale Italiana (ASI). L’esperimento verrà predisposto a Cape Canaveral, nei laboratori NASA del Kennedy Space Center, per poi essere collocato a bordo della capsula Dragon.

// LA SCOPERTA Inizialmente dell’Irisina, individuata nel 2012 da un’equipe di ricercatori di Harvard, si sapeva soltanto che viene prodotta spontaneamente dai muscoli durante l’attività fisica. Almeno finché dai laboratori dell’Università di Bari non è arrivata una notizia potenzialmente rivoluzionaria sul ruolo anabolico della proteina, responsabile dell’aumento di massa e resistenza ossea: “Nel 2015 – ha spiegato Grano –, dopo 3 anni di intenso lavoro della mia equipe di ricercatori precari e con il contributo della Prof.ssa J. Reseland dell’Università di Oslo e del Prof. Saverio Cinti dell’Università di Ancona, abbiamo dimostrato che una concentrazione di lrisina molto più bassa rispetto a quella attiva sul tessuto adiposo induce la formazione di nuovo osso e rende lo scheletro più resistente alle fratture”.

I test di laboratorio hanno confermato l’azione dell’Irisina sia nella prevenzione e nel contrasto dell’osteoporosi, che nella riduzione della sarcopenia, la perdita progressiva di massa muscolare che contribuisce all’avanzamento della malattia. La scoperta ha ricevuto il brevetto italiano nel 2017, e il brevetto europeo nel 2017.

L’effetto non è ancora stato confermato sull’uomo, ma se così fosse (e vedremo i risultati dell’esperimento in orbita), si aprirebbero scenari davvero rivoluzionari, come la possibilità di creare farmaci senza gli effetti collaterali causati da anti-riassorbitivi e anabolizzanti, e avviare campagne di prevenzione per i soggetti a rischio.

Per gli astronauti questo significherebbe poter intraprendere anche lunghe missioni limitando, o eliminando del tutto, i danni all’apparato muscolo-scheletrico.

Nella vita quotidiana vorrebbe dire, in soldoni, eliminare dalla voce “costi sanitari” i circa 6 bilioni di euro messi in preventivo dall’Organizzazione Mondiale della Sanità per il 2050, e soprattutto migliorare la vita di oltre 200 milioni di persone nel mondo (di cui circa 5 milioni in Italia).

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