Scu e droga: pistolettate e attentati dinamitardi, così si spartivano il business della droga secondo Romano

Dossier5/L’ASPIRANTE PENTITO: Nel corso degli ultimi interrogatori davanti ai pm della Dda di Lecce, l’ergastolano di Brindisi Andrea Romano ha raccontato i retroscena relativi alle liti tra affiliati del suo clan: “In un caso Claidi Tatani picchiò Valter Margherito nella casa circondariale di via Appia perché lo riteneva autore di un ammanco di 200-300 chili di marijuana custodita in una villetta al mare e voleva sparargli una volta uscito”, si legge nei verbali. “Una volta Rodolfo Monteforte diede uno schiaffo al nipote Simone Sperti rimproverandogli che si stava caricando troppo e dopo che questi lasciò intendere che avrebbe informato Francesco Campana, reagì andando sotto casa dove esplose colpi di arma da fuoco”. E ancora: “Dopo la sparatoria ho saputo che un bar era stato oggetto di attentato dinamitardo. Donatiello doveva essere per forza messo a conoscenza di quanto stava per compiersi, altrimenti avrebbe potuto scatenarsi una vera e propria guerra tra i clan”

BRINDISI – Diffidenza superata pensando al business garantito dal traffico di droga, affare più di qualche volta diventato motivo di litigate tra gli uomini del clan mafioso con base a Brindisi, sfociate in aggressioni anche in carcere, azioni di fuoco per dimostrare il peso degli affiliati e attentati dinamitardi. Ha raccontato anche questo l’ergastolano brindisino, Andrea Romano, durante gli ultimi interrogatori davanti ai pubblici ministeri della Direzione distrettuale antimafia di Lecce, svelando i nomi dei litiganti che, per la prima volta, sono leggibili non essendo più coperti da omissis, da quando è stato depositato il verbale illustrativo dei contenuti della collaborazione.

Romano, infatti, ha terminato il percorso delle dichiarazioni che per legge vanno raccolte in 180 giorni ma non ha ottenuto la patente di credibilità costituita dal riconoscimento dell’attenuante della collaborazione. Non ancora, stando alla condanna a 20 anni di reclusione arrivata con la sentenza pronunciata nei giorni scorsi dal gup del tribunale di Lecce, di fronte al quale è stato incardinato il processo con rito abbreviato scaturito dalle inchieste che per la prima volta lo hanno riconosciuto non solo come affiliato, ma come capo di un gruppo di stampo mafioso.

I DISSIDI INTERNI AL CLAN MAFIOSO PER LA DROGA RIFERITI IL 31 MARZO 2021

Il capitolo delle liti interne al gruppo è stato aperto il 31 marzo scorso, partendo dalla descrizione di Rodolfo Monteforte fatta da Romano: “Già in precedenza, parlando con Francesco Campana, gli avevo consigliato di non affidargli la gestione completa degli affari su Brindisi perché ritenevo Monteforte poco stabile nel senso poco affidabile per quanto riguarda la corretta ripartizione dei guadagni derivanti dalle attività illecite e ciò avrebbe potuto esporre lo stesso Campana, cosa che effettivamente in seguito è avvenuta”, si legge nel verbale.

Decidemmo, quindi, di affiancare Marcello Campicelli e Claidi Tatani a Monteforte per esercitare su quest’ultimo una sorta di controllo sulla gestione delle attività illecite e nella corretta ripartizione del relativo ricavato, al fine di evitare i problemi a Campana”, ha spiegato Romano. “Come affiliati a Monteforte posso indicare Teodoro Valente, detto Rino, il nipote detto Rino piccinno ma so chiamarsi Giovanni Valente, il figlio di Mario Raia, forse di nome Francesco, tale Chiellino abitante a Sant’Elia e tratto in arresto per rapina a Torino unitamente a Francesco Balestra, mio affiliato, Valter Margherito detto zacheo, Damiano Licciuti e Cristian Ferri poi passati a mio carico e altri di cui al momento non ricordo il nome”.

L’AGGRESSIONE NEL CARCERE DI BRINDISI PER UN AMMANCO DI 200-300 CHILI DI MARIJUANA

A proposito di Valter Margherito, ricordo che nel 2017, dopo l’arresto di Claidi Tatanu, questi nel carcere di Brindisi lo picchiò violentemente poiché lo riteneva autore di un ammanco di circa 200-300 chili di marijuana proveniente dall’Albania e custodita in una villetta al mare nella disponibilità di Antonio Signorile e Roberto lu pagghiusu, nell’interesse del nostro clan”, ha riferito il collaboratore.

“A seguito di questo episodio vi fu uno scambio di lettere tra me e Claidi Tatani, tra Rodolfo Monteforte e Francesco Campana in cui l’argomento era sempre riconducibile a tale evento, ancor di più perché Tatani voleva sparargli una volta uscito dal carcere, ritenendo inconcepibile che l’affiliato a un gruppo potesse fare un danno all’interno di esso. Ciò peraltro avrebbe comportato anche una responsabilità in capo a Monteforte, essendo Margherito suo affiliato, pertanto Campana e io intervenimmo su Tatani per sistemare la cosa, anche perché nel frattempo lo stesso Monteforte si era dichiarato pronto ad assumersene la responsabilità dicendo che avrebbe provveduto a riparare qualora fosse stata accertata la responsabilità di Margherito, circostanza questa in realtà mai verificatasi, in quanto Margherito ha sempre continuato e negare ogni suo coinvolgimento”.

LA LITE TRA RODOLFO MONTEFORTE E IL NIPOTE SIMONE SPERTI: SCHIAFFO E PISTOLETTATE

Ruolo attivo nel traffico di droga, secondo Romano, lo aveva anche il nipote di Rodolfo Monteforte, Simone Sperti. Quest’ultimo – sostiene Romano nel verbale – “si rese conto che a fronte di guadagni piuttosto consistenti, Monteforte non stava provvedendo al versamento del punto in favore di Campana in maniera proporzionata”. “Ne scaturì una discussione nel corso della quale Monteforte diede uno schiaffo a Sperti, rimproverandogli che si stava caricando troppo, nel senso che non poteva intromettersi nei suoi affari ma che doveva guardare unicamente alla propria gestione di spaccio. Questo suscitò la reazione di Sperti il quale gli disse testualmente ‘adesso di faccio vedere’, lasciando intendere che avrebbe informato Francesco Campana”.

Nel passaggio successivo, la descrizione di quanto avvenne successivamente: “A tale affermazione, Monteforte reagì portandosi sotto casa della sorella Lucia (moglie di Francesco Campana, ndr) e quindi di Simone (il figlio della donna, ndr) esplodendo alcuni colpi di arma da fuoco nei pressi dell’abitazione”. In questo clima di tensione, i colpi di pistola furono sparati la notte del 19 gennaio 2020 in via Settimio Severo, nel rione Commenda di Brindisi. Sull’asfalto gli agenti della Mobile trovano de bossoli calibro 7,65.

“Non sono sicuro- ha aggiunto il collaboratore brindisino – se in occasione della discussione tra Monteforte e Sperti fosse presente anche Claidi Tatani, comunque sono a conoscenza del fatto che l’episodio è stato raccontato da Sperti a Damiano Licciuti e quest’ultimo me lo ha riferito in occasione di una telefonata”.

L’ATTENTATO DINAMITARDO AL BAR GESTITO DA MONTEFORTE NEL RIONE COMMENDA

Telefonicamente, Romano ha detto di aver ricevuto un’altra informazione: “Ho appreso da Tatani, Campicelli e Licciuti  che il bar gestito da Monteforte a Brindisi era stato oggetto di un attentato dinamitardo mediante esplosione di una bomba”. Il riferimento è all’attentato dai danni del locale in viale Commenda a Brindisi avvenuto nella notte del 22 gennaio 2020. Ho appreso da Tatani e Licciuti che l’ordine era stato impartito direttamente da Francesco Campana per il tramite di Lucia Monteforte e Simone Sperti. Tale circostanza è stata riferita a Tatani e Licciuti dallo stesso Simone Sperti. Ho avuto conferma anche da Marcello Campicelli durante un periodo comune di detenzione nel carcere di Tolmezzo, dopo il blitz del febbraio 2020”.

“Pur non avendo certezza assoluta in merito al coinvolgimento di Giovanni Donatiello nell’attentato dinamitardo ai danni del bar di Monteforte, posso dire che attesi i rapporti tra Campana e Donatiello, quest’ultimo ha avuto un ruolo decisivo nella vicenda dal momento che era in libertà e io personalmente non sono stato interessato”. Romano,  infine, ha consegnato una sua opinione: “Considerato che la vittima era comunque il cognato di Campana, Donatiello doveva essere per forza messo a conoscenza di quanto stava per compiersi, altrimenti avrebbe potuto scatenarsi una vera e propria guerra tra i clan”.

Mandante ed esecutore di quell’attentato sono ancora senza nome.

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