SCU, il ruolo delle donne: “Spiccata capacità criminale, prendono decisioni”

DOSSIER3/ L’ASPIRANTE PENTITO ANDREA ROMANO. L’aspirante pentito di Brindisi, Andrea Romano, ha descritto ai pm della Dda di Lecce le figure di Alessandra Di Lauro, moglie di Rodolfo Monteforte, condannata a 10 anni e 8 mesi lo scorso 5 luglio, e Lucia Monteforte, moglie di Francesco Campana: la prima “aveva la gestione del parcheggio dell’ospedale Perrino, ha partecipato a cerimonie di affiliazione e sapeva dell’azione di fuoco ai danni di Enrico Colucci”, l’altra “è reggente del clan familiare, ha chiesto spedizione punitiva nei confronti dell’ex marito e la punizione per un furto. I dettagli nel fscicolo “Old generation”

BRINDISI – Ci sono margini anche per l’affermazione delle donne nelle dinamiche interne agli attuali clan mafiosi di Brindisi. Non solo perché sono “mogli di”, ma perché hanno dimostrato capacità criminale al punto da prendere decisioni in autonomia, senza parlarne preventivamente con i mariti, ai quali restano fedeli. Sempre. E in virtù di quel vincolo personale, quando i loro uomini finiscono in carcere, sono pronte a sostituirli, occupandosi in primis della gestione la cassa.

IL RUOLO DELLE DONNE NEI CLAN MAFIOSI SECONDO L’ASPIRANTE PENTITO DI BRINDISI

L’aspirante pentito di Brindisi, Andrea Romano, 35 anni, nel corso degli interrogatori finalizzati alla raccolta delle sue dichiarazioni in veste di collaboratore, ha descritto il ruolo di due donne: Alessandra Di Lauro e Lucia Monteforte. Sono cognate: la prima è la moglie di Cesario, detto Rodolfo, Monteforte e lo scorso 5 luglio è stata condannata, in abbreviato a 10 anni e 8 mesi per associazione mafiosa e droga, l’altra, imputata, è la consorte di Francesco Campana, ritenuto il capo old (vecchio, quanto a militanza) della frangia brindisina della Sacra corona unita ed è la sorella di Rodolfo Monteforte. Di Alessandra Di Lauro Romano ha parlato il 31 marzo scorso, dell’altra il 6 aprile. I 2 verbali sono leggibili quasi integralmente e sono stati depositati dai pm della Direzione distrettuale antimafia di Lecce nel processo in abbreviato scaturito dall’inchiesta della Squadra Mobile di Brindisi, chiamata Old Generation, sulla resistenza della frangia mafiosa nel capoluogo e sulla gestione di alcune attività, in primis la gestione dei parcheggi davanti all’ospedale Antonio Perrino.

LA DECRIZIONE DI ALESSANDRA DI LAURO: GESTIONE DEI PARCHEGGI DELL’OSPEDALE ANTONIO PERRINO

Quando Monteforte era detenuto, facevano i suoi interessi la moglie Alessandra Di Lauro e il figlio Giuseppe Monteforte servendosi di alcuni affiliati che stazionavano stabilmente nell’aera del parcheggio dell’ospedale”, si legge nel verbale firmato da Romano. “Ciò garantiva che nessun danno veniva fatto alle auto in sosta in cambio della corresponsione da parte dei proprietari dei mezzi di una somma che si aggirava attorno a uno-due euro. Considerato che si tratta di una vasta area di parcheggio di un ospedale, la somma a fine giornata risultava particolarmente consistente”.

“Alessandra Di Lauro e Giuseppe Monteforte avevano la gestione completa del parcheggio nel senso che chiamavano le persone addetta alla vigilanza e alla riscossione delle somme che puntualmente dovevano essere consegnate agli stessi”, ha spiegato. “Parte di questi introiti venivano destinati da Di Lauro agli affiliati di Monteforte in caso di necessità, poiché era lei a tenere la cassa di tutte le somme delle attività illecite del gruppo, dal traffico di droga, alle estorsioni, ai furti negli appartamenti e alle rapine”.

“In sostanza – ha precisato Andrea Romano – era Di Lauro che, in assenza del marito, manteneva la gestione dell’intero clan, sia dando esecuzione alle disposizioni del marito, sia agendo di propria iniziativa ogni qualvolta ve ne era necessità.

LA PRESENZA DELLA DONNA A DIVERSE CERIMONIE DI AFFILIAZIONE

“Posso affermare che a Di Lauro veniva riconosciuta nell’ambiente una spiccata capacità criminale e non solo perché era la moglie di Monteforte che le consentiva di interagire con altri clan con cui aveva la facoltà di trattare su ogni attività illecita, e aggiungo a tal proposito che ha partecipato anche a diverse cerimonie di affiliazione”. Quella che viene riportata si riferisce a quando “venne affiliato a Monteforte tale ‘Chiellino’”, poi “Francesco Balestra, Giovanni Valente, tutte affiliazioni avvenute a casa di Rodolfo Monteforte e del figlio Giuseppe, che pure ricoprì un ruolo importante all’interno del clan, sia anche inferiore a quello di Di Lauro”.

“Con l’affiliazione di Fabrizio Russo a Francesco Campana nel 2014, le armi che questi deteneva furono consegnate a Rodolfo Monteforte in occasione di un permesso che questi aveva ottenuto e poi custodite dalla moglie e dal figlio a disposizione del clan”, ha aggiunto Romano.

IL FERIMENTO DI ENRICO COLUCCI PER AVER MANIFESTATO INTERESSATO VERSO LA DONNA

“Posso dire che Alessandra Di Lauro era a conoscenza ed era partecipe di tutto quello che riguardava l’attività illecita del clan, impartendo ordini, dando disposizioni agli affiliati anche in relazione a eventi di particolare ferocia, come ad esempio il ferimento di Enrico Colucci che fu attinto da colpi di pistola, reo a dire di Alessandra Di Lauro, di aver manifestato interesse nei suoi confronti”.

Nel verbale si legge: “La Di Lauro si fece portavoce delle disposizioni impartite dal marito una volta venuto a conoscenza dei fatti, informando Valter Margherito e Rino Valente, i quali diedero incarico a Damiano Licciuti e a Giovanni Valente di compiere l’azione in danno di Colucci”. Quanto alla fonte della sua conoscenza, il brindisino ha detto di “averlo appreso direttamente di Damiano Licciulli che nella circostanza mi disse che adesso la moglie tiene più attributi del marito, nel senso che i faceva valere più la moglie rispetto al marito”.

LA DESCRIZIONE DI LUCIA MONTEFORTE: LA CONOSCENZA PERSONALE NEL 2009 E I PIZZINI

Conoscenza personale con Lucia Monteforte che risale al 2009, dopo che Romano si affilia in maniera formale al marito Francesco Campana. “Nel 2013, nel periodo in cui ero libero, mi recavo a casa di Rodolfo Monteforte, fratello di Lucia, in occasione dei permessi di cui questi usufruiva per consegnare il punto spettante a Campana. Qui ho incontrato in diverse occasioni Lucia Monteforte nelle cui mani versavo direttamente i soldi destinati al marito e in quelle circostanze le chiedevo di rassicurare il marito giacché mi ero attivato, nel senso che stavo lavorando sia con gli stupefacenti che con le rapine e le estorsioni e quindi avrei provveduto all’invio costante di denaro. Lucia mi riferiva che Campana era contento per come stavo operando”.

Non solo. “Lucia Monteforte posso dire che era la persona tramite cui, in occasione dei colloqui che la stessa effettuava con Francesco Campana quest’ultimo comunicava all’esterno gli ordini dei suoi affiliati, sia a voce che attraverso i cosiddetti pizzini”, ha aggiunto Romano facendo riferimento ai messaggi scritti. “Questi erano poi consegnati da lei al cognato Massimo Sperti, a Rodolfo Monteforte, allorquando questi usciva dal carcere e ai figli, Marco e Simone Sperti per la successiva divulgazione ai destinatari. Allo stesso modo, Lucia Monteforte provvedeva a portar notizie degli affiliati in libertà al marito detenuto”.

LA FACOLTA’ DELLA DONNA DI PRENDERE DECISIONI E IMPARTIRE DIRETTIVE

Lucia Monteforte ha la facoltà di prendere decisioni, come di fatto le ha prese, e di impartire direttive agli affiliati del marito anche senza che questi ne sia preventivamente portato a conoscenza. In particolare, possono riferire di un episodio di cui sono venuto a conoscenza nel 2016 nel carcere di Taranto, nel periodo di comune detenzione con tale Floriano di San Donaci, affiliato a Piero Soleto di San Donaci, il quale mi raccontò che poco prima del suo arresto, Lucia Monteforte si era recata personalmente a San Donaci, accompagnata da Massimo Sperti, da Soleto a cui chiese la cessione di un quantitativo di cocaina a titolo gratuito, il cui ricavato della vendita sarebbe servito per il pagamento delle spese legali sostenute dal marito. Floriano mi disse che fu proprio lui a consegnare 100-150 grammi di cocaina a Lucia Monteforte, nonostante versassero già il punto sempre in favore del clan Campana”.

L’AZIONE PUNITIVA NEI CONFRONTI DELL’EX MARITO CHE NON CONCEDEVA IL DIVORZIO

Romano ha raccontato ai pm della Dda di Lecce anche di quando la donna,”nel 2014, inviò” nella sua abitazione, in piazza Raffaello, a Brindisi, “Antonello Gravina, Antonio Signorile e Massimo Sperti”. Il motivo: “Per chiedermi sostegno per l‘azione punitiva contro il suo ex marito, di cui al momento non ricordo il nome, reo di comportarsi male nei suoi confronti, in particolare per non essere concorde nel concederle il divorzio e per i problemi che stava creando con i figli,ma di questi ne sconosco i dettagli”.

Poi una precisazione: “In quel periodo, l’ex marito di Lucia Monteforte aveva stretto una relazione sentimentale con una mia lontana parente, quindi Lucia ritenne opportuno portarmi a conoscenza della vicenda”. Dalle parole ai fatti, nel racconto del brindisino: “Incaricai personalmente il mio affiliato Claidi Tatani a compiere l’azione in danno dell’ex marito, presso il quale si recò armato e in compagnia di altri miei affiliati”.

“Lo picchiò e lo minacciò intimandogli di non creare più alcun tipo di problema alla donna e ai suoi figli, cosa che effettivamente ha fatto da quel momento in poi non si è più verificata”.

“Nel 2017 sono stato trasferito nel carcere di Voghera dove incontrai Francesco Campana al quale dissi che l’azione in danno dell’ex marito di Lucia era stata portata a termine. Nella circostanza mi riferì che quella era stata una iniziativa della moglie, della quale solo successivamente era stato informato. Aggiunse che comunque Lucia poteva impartire direttamente disposizioni agli affiliati in caso di necessità,qualora lui non fosse stato in grado di far uscire personalmente gli ordini”.

IL FURTO IN UN BAR DEL RIONE COMMENDA DI BRINDISI E LA PUNIZIONE

Romano ha riferito un altro episodio sulla donna e sul fatto che impartisse disposizioni agli affiliati: Nel 2013 avvenne un furto in un bar del rione Commenda di Brindisi dove furono aperte le casse delle macchinette videopoker”. Qui lavorava una parente di Lucia Monteforte. “Lucia mi incaricò, unitamente ad Antonio Signorile, di scoprire gli autori del fatto anche perché il bar pagava la protezione a Francesco Campana”. Rintracciato l’autore del furto, Romano e gli altri lo minacciarono. E il responsabile chiese scusa.

Dopo un foglio rimasto in bianco perché coperto da omissis, si legge: “Lucia Monteforte è una sorta di reggente del clan Campana relativamente al gruppo familiare” e ancora “consegnava i pizzini diretti da Giovanni Donatiello a Francesco Campana e viceversa”.

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