Brindisi, omicidio Carvone: un indagato per l’uccisione del 19enne e 6 condanne per tentata estorsione

Di Stefania De Cristofaro

BRINDISI – Il papà cerca giustizia e non si arrende. Spera che chi sa parli e ogni giorno si siede davanti alla tomba del figlio, gli parla e accarezza la sua foto: Giampiero Carvone è stato ucciso con un colpo di pistola calibro 7,65 alla nuca sotto la sua abitazione, a Brindisi, nel rione Perrino, la notte fra il 9 e il 10 settembre 2019. Aveva 19 anni. Per la procura è stato ammazzato per aver rubato l’auto, il giorno prima, alla persona sbagliata, una del suo quartiere, tanto da rendere necessario un incontro a casa dello stesso Carvone. Quartiere in cui si conoscono tutti, quartiere che forse continua a nascondere la verità su quella sera e a tacere il nome dell’assassino.

UN RAGAZZO INDAGATO NELL’INCHIESTA SULL’OMICIDIO DEL 19ENNE

Qualche elemento evidentemente nuovo deve esserci se è notificato un avviso di proroga delle indagini per l’omicidio, a uno dei sei ragazzi brindisini condannati ieri nel processo sulla tentata estorsione ai danni del padre di Carvone dopo il furto dell’auto, considerato il movente del fatto di sangue. Al momento è indagato a piede libero Alessandro Colucello che, dal canto suo, ha sempre rivendicato l’estraneità ai fatti.

Stando a quanto si apprende, la proroga andrà a scadere a gennaio. Solo dopo, quindi, sarà possibile conoscere le decisioni della procura: se procedere con un’ulteriore proroga o se, al contrario, siano stati raccolti tutti gli indizi per chiedere il rinvio al giudizio del tribunale.

LA SENTENZA DEL TRIBUNALE DI BRINDISI A CONCLUSIONE DEL DIBATTIMENTO: 6 CONDANNE

Alessandro Colucello è l’imputato al quale il tribunale di Brindisi, ieri sera, ha inflitto la pena più lieve al termine del dibattimento scaturito dall’inchiesta sulla tentata estorsione ai danni del padre del 19enne e sui colpi di fucile sparati in aria la sera del 9 settembre, vicino ala chiesa del rione, dove stavano giocando i bambini. Fucile e pistola dell’omicidio non sono mai stati trovati.

La pena più alta è stata inflitta a Stefano Coluccello, 32 anni: 7 anni, 10 mesi e 20 giorni più 9.900 euro. Sei anni, 10 mesi e 20 giorni più 5.900 euro sono stati inflitti a Giuseppe Lonoce, 37 anni (parente acquisito di Lonoce); 3 anni, 6 mesi e 4mila euro per Aldo Bruno Carone; 2 anni, 10 mesi e 3mila euro a Eupremio Carone (i due sono fratelli); 2 anni più 5mila euro ad Alessandro Coluccello (fratello di Stefano Coluccello) e 5 anni, un mese e 20 giorni più 8.600 a Giuseppe Sergio (nipote dei Coluccello). Condanne inferiori rispetto a quelle invocate dal sostituto procuratore Raffaele Casto.

Le motivazioni della sentenza del tribunale, presieduto da Gianantonio Chiarelli (a latere Francesco Cacucci e Barbara Nestore), saranno depositate fra 90 giorni. I difensori degli imputati hanno anticipato il ricorso in Appello.

UN TESTE IN UDIENZA FA IL NOME DI UN RAGAZZO COME QUELLO DELL’ASSASSINO

Nel dispositivo non c’è alcun riferimento alla posizione di un testimone ascoltato durante il dibattimento che, nell’udienza del 24 aprile scorso, ha riferito in aula di sapere chi ha ucciso Carvone. E ha fatto il nome dell’assassino. Nome che non coincide con quello del ragazzo destinatario dell’avviso di proroga delle indagini per l’omicidio. Testimonianza arrivata a sorpresa.

In quell’occasione, il teste dopo aver riferito di conoscere solo di vista Giampiero Carvone, ha detto di aver ricevuto la confessione di un ragazzo di Brindisi: secondo questa versione, è stato quest’ultimo ad ammettere di aver ucciso il 19enne, più o meno a distanza di una settimana “dopo il fatto”. E’ quanto si legge nella trascrizione dell’interrogatorio d’udienza, dove sono ovviamente in chiaro sia il nome del teste che quello del giovane indicato come autore dell’omicidio.

La verità del teste è la seguente: “Mi ferma, mi chiama in disparte e mi dice: ‘Vedi che ho dichiarato che stavo a casa tua perché tu sei del quartiere Perrino”. Queste dichiarazioni il ragazzo le fa “ai carabinieri o alla polizia”, a distanza di poche ore dall’omicidio. E ancora: “Io lì per lì mi sono messo paura, perché lui poi mi ha confessato quella sera di essere sotto effetto di sostanze stupefacenti e quindi io lì per lì ci ho creduto e non ci ho creduto”, si legge sempre nella trascrizione dell’interrogatorio.

“Mi ricordo benissimo questa frase: ‘sono uscito stamattina dopo 9 ore di interrogatorio’”. Quanto al giorno della confessione, il testimone non è stato in grado di ricordarlo. “Direi una bugia. Più o meno una settimana, era venerdì o sabato, c’era molta gente giù in centro, c’erano molti ragazzi”.

Nessun dubbio, invece, da parte del testimone, sulle dichiarazioni che quel ragazzo avrebbe fatto in questa circostanza: “Mi disse che in caso mi dovessero chiamare, io dovevo dichiarare che lui stava con me e che al momento degli spari, lui è scappato e se n’è andato sotto dove noi chiamano grattacieli o comunque sia i palazzi rosa”.

GLI SPARI NEL RIONE PERRINO PRIMA DELL’OMICIDIO DI GIAMPIERO CARVONE

A quali spari faceva riferimento questo ragazzo? Il teste risponde in questi termini: “Agli spari di quando c’è stato il caso, poi l’uccisione di Giampiero, quelli della notte”. Stando a quanto hanno accertato dagli agenti della Squadra mobile diretti da Rita Sverdigliozzi, il 9 settembre ci sono stati spari attorno alle 21,20 nei pressi della chiesa, poi alle 24 e infine all’una, orario dell’omicidio di Giampiero Carvone.

Il teste ha precisato: “La sparatoria che poi è avvenuta l’uccisione di Giampiero”. Il teste ha anche detto che in quel momento il ragazzo “guardava nel vuoto perché era sotto effetto di sostanze”. E ha aggiunto: “Io poi gli ho detto: ‘Ma ammesso e concesso che questo ragazzo abbia fatto chissà quale sgarro, non sarebbe stato meglio spararlo nelle gambe e vederlo – io gli feci un esempio – e vederlo magari sfregiato a vita che ucciderloCioè io non oso immaginare, mettermi nei panni di quella povera mamma”.

Quel pensiero, il pensiero del dolore dei genitori per aver perso un figlio di 19 anni ucciso a colpi di pistola, non ha spinto il teste a parlare con la polizia o con i carabinieri. “Chi mi avrebbe creduto? Scusami, eh”, ha detto il testimone al pubblico ministero. Il pm ha chiesto: “E mo il tribunale le deve credere?. “Mah, non lo so”.

La testimonianza alla fine c’è stata in un’aula di giustizia, questo sì. Non è chiaro quanto valore abbia e se ne abbia. Certo è che gli agenti della Mobile stanno continuano a indagare per arrivare a dare un nome e un volto a chi ha ucciso Giampiero Carvone che qualche errore certamente l’ha commesso se lui stesso ha ammesso di aver rubato l’auto, ma non per questo doveva morire ammazzato. Non c’è e non può esserci alcuna giustificazione. E non può esserci ancora omertà.

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