La Corte d’Assise di Foggia ha riconosciuto Giovanni Caterino, 40 anni, unico imputato, come basista del commando armato che il 9 agosto 2017 uccise il boss di Manfredonia Mario Luciano Romito, il cognato Matteo De Palma e i fratelli Aurelio e Luigi Luciani, agricoltori, ammazzati perché testimoni involontari dell’agguato. Per i giudici, togati e popolari, l’imputato – arrestato due anni fa – era alla guida dell’auto che fece da apripista al gruppo di fuoco sulla strada provinciale 272
FOGGIA – Fine pena mai. Carcere a vita per l’unico imputato nel processo sulla strage di stampo mafioso, avvenuta sul Gargano: Giovanni Caterino, 40 anni, di Manfredonia, è stato condannato all’ergastolo con l’accusa di concorso nel quadruplice omicidio, aggravato dalla premeditazione e dal metodo mafioso, per l’uccisione di Mario Luciano Romito, boss della città, del cognato Mattero de Palma, e di due agricoltori, Aurelio e Luigi Luciani, fratelli, testimoni involontari dell’agguato. Ammazzati per farli tacere per sempre.
LA SENTENZA DELLA CORTE DELL’ASSISE DI FOGGIA
La sentenza è stata emessa dalla Corte d’Assise di Foggia, a conclusione del dibattimento scaturito dall’inchiesta della Direzione distrettuale antimafia di Bari, sulla mattanza avvenuta la mattina del 9 agosto 2017, sulla strada provinciale 272. I giudici (togati e popolari, collegio presieduto da Antonio Civita), dopo tre ore di camera di consiglio, hanno aderito alla richiesta di condanna, così come era stata avanzata dalla pm della Dda di Bari, Luciana Silvestri.
La magistrata Antimafia, al termine della requisitoria durata più di due ore, aveva chiesto l’ergastolo per Caterino, arrestato il 16 ottobre 2018 e attualmente detenuto nel carcere di Bari. Caterino si è sempre dichiarato innocente. Ieri ha partecipato all’udienza conclusiva del processo di primo grado, in videoconferenza. Il processo, per via della pandemia, si è svolto a porte chiuse.
LA STRAGE DI MAFIA SUL GARGANO: IL RUOLO CONTESTATO A GIOVANNI CATERINO
Da ieri, anche per la Corte d’Assise, Giovanni Caterino, è il basista del commando armato che quella mattina entrò in azione per fare fuoco e uccidere Romito, uscito dal carcere appena sei giorni prima. Assieme a Romito, trovò la morte il cognato che gli faceva da autista. Nessuno scampo per i due agricoltori di San Marco in Lamis che a quell’ora stavano percorrendo la provinciale per lavoro, a bordo di un Fiorino di colore bianco: anche Aurelio Luciano, 43 anni, e il fratello Luigi, 47, furono uccisi dal gruppo di fuoco.
Almeno tre persone. Ma nessuno dei sicari ad oggi è stato identificato. La sola verità processuale (non definitiva) è relativa alla persona che, nella ricostruzione della Dda, fece da basista: Caterino, stando a questa impostazione, era alla guida di una Fiat Grande Punto e pedinò l’auto usata da Romito, un Maggiolone. I killer, erano dietro, su una Ford C Max. Erano armati di un mitragliatore Kalashnikov, un fucile calibro 12 e una pistola 9×21. La pioggia di fuoco, attorno alle 10.
LA RIVALITA’ TRA I GRUPPI DI STAMPO MAFIOSO: LI BERGOLIS-MIUCCI E ROMITO-RICUCCI
Stando all’accusa, Caterino pedinò il boss anche nei giorni precedenti e lo fece per conto del clan Li Bergolis-Miucci, rivali di Romito, a capo dell’omonimo gruppo legato ai Ricucci. Nell’ordinanza di custodia cautelare eseguita a carico di Caterino, il giudice per le indagini preliminari Marci Galesi, sottolineò la rivalità esistenza tra i due gruppi, rimarcando come l’esistenza del clan di stampo mafioso nella zona del Gargano è stata riconosciuta in via definitiva il 4 ottobre 2011, con la sentenza scaturita dall’inchiesta Iscaro-Saburo.
Il provvedimento di custodia venne notificato anche a Luigi Palena, 50 anni, con l’accusa di detenzione e porto di armi. Palena è stato già condannato in primo grado alla pena di due anni e otto mesi, con il riconoscimento dell’aggravante mafiosa, nel processo con rito abbreviato.
Lo stesso Caterino, sempre secondo quanto sostenuto dalla Procura antimafia, voleva eliminare Pasquale Ricucci, alias Fic secc’, per vendicare l’agguato fallito nei suoi confronti, organizzato il 18 febbraio 2018, come diretta conseguenza della strage dell’agosto 2017. Ricucci, a sua volta, venne ucciso l’11 novembre 2019.
LE PARTI CIVILI AMMESSE AL PROCESSO: ANCHE COMUNE DI SAN MARCO E REGIONE PUGLIA
Sono stati ammessi al processo, come parti civili i familiari delle vittime, il Comune di San Marco in Lamis e la Regione Puglia. “Sembra quasi una vittoria ma non lo è, perché mio marito non c’è. Oggi più che mai mi manca morire. Dopo più di tre anni finalmente respiro un po’ di aria pulita”, ha detto la vedova di Luigi Luciani, Arcangela Petrucci. “Mi aspettavo la richiesta di ergastolo, oggi l’aver ascoltato il pm che ha ripercorso tutto quello che tendenzialmente è successo il 9 agosto 2017, mi ha convinta ancor di più che quell’uomo che oggi è imputato, il presunto basista, era lì presente. Ho chiesto di poter vedere questa persona, in faccia, negli occhi, e raccontargli semplicemente chi era mio marito, come vivevamo prima della tragedia, di parlargli di mio figlio. Gli avrei parlato di gente onesta“.
“Con la sentenza è stato compiuto un primo importante passo sulla strada della verità e un importante riconoscimento per la nostra città”
ha detto il sindaco di San Marco in Lamis, Michele Merla. “La barbara uccisione dei fratelli Luciani ha colpito la loro famiglia e l’intera comunità sammarchese è stata offesa, lesa nella sua onestà e operosità, danneggiata nei suoi valori”. “L’attuale Amministrazione comunale ha fortemente voluto la costituzione di parte civile come simbolo di ribellione al potere mafioso e vicinanza alla famiglia che mai è stata lasciata sola”, ha sottolineato il primo cittadino.
“Il Comune continuerà a chiedere giustizia e verità per il giusto riscatto della nostra terra”.
Sui canali social anche il commento del governatore della Regione Puglia, Michele Emiliano:
“Ci siamo schierati dal primo momento al fianco delle famiglie colpite e della comunità per reagire, attraverso la giustizia, a tutta quella inaudita violenza”.
“Ieri sera la Corte d’Assise di Foggia ha condannato alla pena dell’ergastolo uno degli autori della strage, accogliendo così le richieste della Procura distrettuale antimafia e della Regione Puglia, costituita parte civile con l’avvocato Francesco Mastro. La condanna restituisce al popolo pugliese un senso di giustizia e verità dopo l’irrimediabile dolore di quelle morti. Il mio abbraccio alla famiglia di Luigi e Aurelio, alle loro mogli, ai loro cari, alla comunità di San Marco in Lamis. Tutta la Puglia è con voi”, ha scritto Emiliano.
LA DIFESA DI GIOVANNI CATERINO: “SONO INNOCENTE”. L’AVVOCATO: “PROCESSO INDIZIARIO”
Il difensore di Giovanni Caterino presenterà ricorso in Appello non appena saranno depositate le motivazioni alla base della sentenza: “Questo è un processo indiziario: non c’è una prova rappresentativa diretta”, ha sempre sostenuto l’avvocato Pietro Nocita. “Pur di trovare un soggetto autore di questo fatto che ha molto scosso l’opinione pubblica sono partiti da spunti investigativi, il che significa che io sospetto che lui sia il colpevole però poi non lo dimostro”, prosegue l’avvocato. “Il giorno della strage non è dimostrato che l’imputato fosse nell’auto che seguiva il boss Mario Luciano Romito perché non vi è nessuna prova della sua presenza”.
Per il difensore è rilevante una telefonata intercettata, inserita nel fascicolo del dibattimento: “Dimostra che Caterino si trovava in un posto lontanissimo dal luogo dell’agguato. È una telefonata che lui ha fatto: la cella agganciata è a Manfredonia, in corrispondenza dell’ora della strage”. Il penalista contesta anche il movente: “E’ solo ipotizzato, non dimostrato: l’imputato è persona incensurata, mai indagata per il reato associativo”.
Agguato di stampo mafioso. Una strage sul Gargano.
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