Tornare a seminare. Fuori dalla caverna della modernità

di Valentino Losito*

Il web è la caverna moderna in cui trascorriamo la maggior parte della nostra vita. E’ comoda, luminosa, scorrevole, sempre disponibile, con spazi infiniti e tempi velocissimi. Ma forse proprio per questo è anche il luogo che si trasforma in una trappola dorata capace di sviluppare una “solitudine anonima della tastiera che produce il microclima ideale per estrarre dalle viscere un orrore che forse neppure esiste”. (1) Ecco perché spesso somiglia ad una caverna sulle cui pareti tracciamo i segni dell’odio, della violenza, della chiusura, dell’ignoranza sbandierata come vessillo di libertà, in forma di graffiti elettronici.
Poi vi è l’altro inganno. Il web ha reso ognuno di noi padrone del mezzo con cui produciamo notizie, commenti, immagini, realizzando una sorta di comunismo dell’informazione, con la comunicazione sottratta finalmente alle élites. La pratica e la mitologia del web fanno sentire ognuno nelle condizioni di fare da solo, scavalcando ciò che, a ragione o a torto, è ritenuto “casta”, privilegio, imbroglio.
E’ quel fenomeno che portò Umberto Eco a scrivere che “i social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. È l’invasione degli imbecilli».
E’ la fine delle mediazioni o almeno di quelle che abbiamo conosciuto in un tempo in cui, ad esempio, i partiti mediavano idee e progetti politici, i giornali le notizie e le scuole i saperi.
Che cosa possiamo e dobbiamo fare? Forse quello che suggeriva Max Weber e cioè “evitare di promettere e seminare soluzioni facili ma aiutarci a leggere la complessità di un modo sempre più indecifrabile. Nella Repubblica di Platone si racconta di una nave in mezzo a onde sempre più minacciose. Tutti iniziano a litigare perché ognuno vuole decidere come affrontare la tempesta che incombe, qualcuno avrebbe consigli da dare ma l’isteria ormai domina e nessuno sembra più in grado di ragionare. L’unica alternativa è cercare di calmare i compagni di viaggio, raffreddare gli animi perché si possa tornare ad affrontare e auspicabilmente a superare le difficoltà in modo sensato.
E’ il compito più difficile nel mondo della post-verità in cui l’emotività sembra aver definitivamente trionfato. Ogni epoca attinge alle proprie risorse per descrivere quello che accade e per educare. “E per spiegarne il valore gli antichi ricorrevano a metafore agricole: si tratta di seminare, coltivare, avere pazienza. Contro il proprio tempo, per il proprio tempo”. (2)
Per far questo, ed è ancora Platone ad aiutarci, dobbiamo, se non altro, avere coscienza di essere di nuovo chiusi in una caverna, anche se lucente ed elettronica, con gambe e collo incatenati, impossibilitati a volgere lo sguardo indietro, dove arde un fuoco. Tra la luce del fuoco e gli uomini incatenati vi è una strada rialzata e un muricciolo, sopra la strada alcuni uomini parlano, portano oggetti, si affaccendano nella vita di tutti i giorni.
Non riusciamo a conoscere la vera esistenza degli uomini sulla strada poiché ne percepiamo solo l’ombra proiettata dal fuoco sulla parete di fronte e l’eco delle voci, che scambiamo per la realtà. Se potessimo finalmente liberarci dalle catene potremmo volgere lo sguardo e vedere finalmente il fuoco, venendo così a conoscenza dell’esistenza degli uomini sopra il muricciolo di cui prima intendevamo solo le ombre.

(1) Massimo Gramellini “La parola vigliacca “ – Buongiorno del 17/1/ 2015
(2) Mauro Bonazzi “Weber sulla nave di Platone” – La Lettura 24/12/ 2016

*Presidente dell’Ordine dei Giornalisti di Puglia

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