La musica di Rossini si sposa al potere restando felicemente infedele
Nozze reali nel Regno (per ora) Unito e nella Spagna già disunita, nozze milionarie in Puglia e attoriali (ma sempre principesche) a Venezia provvedono alla nostra dose minima stagionale di ancien régime. Ne ignoriamo la colonna sonora, ma da tempo le classi dominanti non sono più l’avanguardia estetica del pianeta. Nel 1825 il reazionario Carlo X volle Rossini. Per essere precisi quel re non si sposava, s’incoronava a Reims, riaccendendo le speranze dei sudditi scrofolosi venuti a farsi guarire con un tocco, cabaret stracco risalente alla remota notte dei re taumaturghi. Il musicista pesarese era un “rosso” costretto a vivere e musicare in tempi di “nero” (per usare la metafora cromatica di Stendhal, che tanto lo amava). Accettò la regal commissione ma, col librettista Balocchi, si baloccò a scrivere un’opera che mostrava, en abîme, nobili di mezza Europa in viaggio proprio per quella cerimonia, ingabbiati in una locanda sulla strada. Buñuel non avrebbe saputo fare di meglio. Qui i signori corteggiano e gorgheggiano, la padrona dello stabilimento balneare fa un piano marketing in decasillabi e il professor trombone stila un catalogo di preziosità antiquarie e accenti locali. Poi il re rientra a Parigi e vanno tutti in fibrillazione come un inviato speciale del tiggì.
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