//LA STORIA DELLA DOMENICA. La storia di Manuela, che torna in Salento e sviluppa Comunità
di Simona Palese //LA STORIA DELLA DOMENICA. “Eh ma queste cose si possono fare solo al nord, qui da noi non funzioneranno mai”. Se esistesse un breviario delle frasi che spostano i nervi (ma motivano) i giovani pugliesi che tornano al sud, questa sarebbe sicuramente tra le prime tre. Chissà quante volte se l’è sentita dire Manuela Baglivo, che si è messa in testa di realizzare una Social Street a Tricase. Proprio sulla base di esperienze esistenti altrove (la più importante e nota è la Social Street di via Fogazzara a Bologna), Manuela ha creato un gruppo su Facebook e promosso i primi incontri “reali” per attivare la creazione di una Strada sociale nel centro storico di Tricase. Una bella scommessa, che richiede visione e tenacia, e mi pare che a Manuela non manchino. Tornare al Sud e scommettere sull’innovazione sociale. Come nasce quest’idea? Nasce, come spesso accade, da una necessità. Io sono tornata a Tricase, nel mio paese, dopo tredici anni di girovagare per l’Italia e per l’Europa, per studio e lavoro. Sono tornata quasi tre anni fa non per scelta, devo dire, ma per una particolare esigenza familiare. Tre anni fa vivevo a Bologna, lavoravo come insegnante – ovviamente precaria, ma soprattutto cercavo di coltivare la mia passione che è la scrittura. Nel momento in cui sono tornata qui, il mio più grande timore era di reinserirmi in un contesto che non conoscevo più. Avevo paura di non riuscire a integrarmi, di sentirmi forestiera a casa mia. Ho subito pensato che avrei dovuto darmi da fare e contribuire a una socialità diversa. Perché purtroppo mi rendevo conto che quello che si dice del meridione, il famoso “ma voi vi conoscete tutti, siete una famiglia allargata, c’è una solidarietà diffusa tra vicini di casa” corrispondeva solo a un luogo comune, a un’ipotesi dell’immaginario collettivo. Era così forse per i nostri genitori, o per noi quando eravamo piccoli, ma in gran parte quella solidarietà sociale è scomparsa. Perché secondo te la coesione sociale è in difficoltà? Io credo che sia un risvolto intrinseco della crisi, che ovviamente non è solo economica ma anche sociale e culturale. Le disparità tra le classi sociali crescono, e ad esempio anche i bambini che prima giocando per strada o in cortile erano di fatto tutti uguali tra loro, oggi subiscono in qualche modo le sottolineature di queste differenze. La gente ha paura, difende il proprio sempre più striminzito orticello, si rinchiude socialmente nel proprio spazio. Proprio questa tendenza secondo me va scardinata. Come funziona la Social Street che stai immaginando? Io vivo nel centro storico, nella prima via di Tricase che è via Tempio. Ho pensato che fosse naturale partire da lì. Mi piacerebbe che si attivasse una rete di solidarietà tra vicini, abitanti del centro ma anche commercianti, professionisti, gestori di attività ristorative o ricreative. Il primo passo è stato creare un gruppo su Facebook (www.facebook.com/groups/219426064905845) al quale iscriversi e sul quale scambiare informazioni, ma anche richieste, proposte, occasioni di cooperazione e solidarietà. Ho realizzato anche delle locandine che ho esposto innanzitutto sul portone di casa mia, e poi anche in alcuni negozi e bar della zona. Gli orizzonti sono infiniti e imprevedibili: ci si può organizzare per un babysitting sociale, per il sostegno agli anziani, per avere agevolazioni sulle attività commerciali del centro, o per condividere spazi o spostamenti in macchina. Si possono organizzare pranzi o cene sociali, andare insieme al cinema, non sentirsi mai soli. Questo immagino. Le persone come si stanno rapportando a questa idea? In maniera diversa, mi viene da dire. Nel senso che molti si sono incuriositi e interessati subito. Soprattutto le persone più alfabetizzate su facebook hanno iniziato a interagire nel gruppo, a scambiarsi dritte o richieste. Io ho fatto anche una sorta di porta a porta per informare le persone più grandi di quello che stavamo provando a fare. Spesso ho incontrato diffidenza, reticenza ad ascoltare e a comprendere il progetto. Molto di quello che sto provando a fare ruota intorno alla Fiducia, che credo sia una parola e un concetto chiave di questa nostra fase storica. È una grande scommessa, non sempre è semplice, ma vale la pena provarci. Anche perché a Tricase non esiste solo il centro storico, e allargare il progetto all’intero paese sarebbe davvero una rivoluzione culturale. Cosa auguri a te stessa e alla Social Street di Tricase per il prossimo futuro? Mi piacerebbe che presto questo progetto si concretizzasse nella realtà, mi piacerebbe che facebook fosse un punto di partenza con cui organizzare feste di quartiere, occasioni per incontrarsi e fare comunità. Mi piacerebbe che le persone passassero dalla critica del “ma la politica non pensa a noi, non organizza mai niente” al “questa cosa vogliamo e possiamo farla insieme”. Spesso i cittadini sono molto più aperti e creativi delle istituzioni o delle amministrazioni, e anche se questa non è una gara a chi fa meglio, mi piacerebbe che la mia comunità lo dimostrasse. Ti sei mai pentita di essere tornata a vivere qui? Il primo anno è stato duro, forse non ero pronta io. Ma oggi faccio un bilancio tutto positivo. Sono riuscita a inserirmi in un network lavorativo molto stimolante, di ragazzi che come me si occupano di informazione e comunicazione. E ho di fronte questa meravigliosa scommessa della Social Street, che voglio vincere perché significherebbe far vincere tutta la comunità. No, non sono pentita. Anzi sono felice e piena di energia. Si può fare. Rimettendo al centro la fiducia e la cooperazione. Allora in bocca al lupo a Manuela, a Tricase, al Salento che ha sempre più voglia di comunità.
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