Damas de Blanco. Donne di Cuba

Il racconto di una silenziosa protesta tutta al femminile. Per aggirare la censura e denunciare il regime, senza urlare

Non puoi non accorgerti di loro quando ne vedi una. Spesso hanno la pelle nera, ancora giovani, fiere nel portamento. E completamente vestite di bianco, un bianco accecante che risalta molto di più dei pur sgargianti colori che le avvolgono, splendide. Sono una delle tante spine nel fianco del regime cubano che da quasi 60 anni governa un bellissimo Paese incastonato nel Mar dei Caraibi e prostrato dall’embargo americano, il famigerato “Bloque” (su un enorme cartellone ho letto questa definizione: “Il più grave genocidio della storia”). Le Damas de Blanco nascono come associazione di mogli e madri di prigionieri politici, circa 200 originariamente. Per la visita di Papa Wojtyla, Fidel Castro concesse l’amnistia a circa la metà di essi, ma gli altri restano dentro, alcuni con condanne di 25 anni. Ogni domenica queste donne sfilano silenziosamente davanti alla chiesa di Santa Rita a L’Avana, con le foto dei propri cari appuntate sul petto. Niente slogan, nessuna escandescenza, nessuna presenza maschile. Un piccolo corteo bianco che però tiene desta l’attenzione del regime. La gente non le ignora ma deve fingere di ignorarle. Nei 15 giorni che ho trascorso a Cuba moltissime persone mi hanno confessato, sia pure senza usare paroloni, che sperano che alla morte di Fidel Castro possa essere introdotta un po’ di democrazia; ma molti mi hanno detto senza esitazione che quello sarà un giorno di lutto. La gran parte dei detenuti sono giornalisti o intellettuali, la categoria più temuta da ogni regime dittatoriale. Per questo l’associazione dei giornalisti cubani appoggia, sia pure con discrezione, il movimento delle Damas de Blanco: fare opposizione manifesta al governo equivale ad andare in carcere e indurre a vestire di bianco un’altra donna. Alla base di tanto accanimento c’è il solito teorema antiamericano, secondo cui la Cia incoraggia e finanzia il dissenso interno per provocare il rovesciamento del regime, anche grazie ai soldi degli esuli cubani che vivono in Florida e che costituiscono una lobby ormai potentissima anche negli stessi Usa. Nel 2005 il movimento è stato insignito del premio “Andrei Sajarov” per la Libertà di Coscienza che il Parlamento Europeo assegna alle organizzazioni per la difesa dei diritti umani e la difesa dello Stato di diritto. Il regime cubano impedì alle esponenti di Damas de Blanco di partire per Strasburgo. Dal loro sito internet, le Damas fanno un appello a chi volesse appoggiarle durante un viaggio a Cuba, affinché partecipi alle loro marce e porti medicine per i loro congiunti. Anche senza recarsi a Cuba, il movimento invita i simpatizzanti a scrivere alle Damas delle lettere di solidarietà o a contattarle via telefono. Io ne ho incontrata una, l’ho avvicinata per parlarle. Conoscevo la loro storia prima di partire e volevo solo offrire un cenno di solidarietà. Ma lei non ha inteso rispondere a nessuna domanda, forse temendo di essere osservata, non mi ha neppure confermato di essere una Dama; infatti, ci siamo incontrate davanti al Campidoglio (in fase di restauro) in mezzo a centinaia di persone che sciamavano in ogni direzione: turisti, cittadini normali, forse agenti in borghese. Tutto quello che mi ha concesso è una foto insieme. E un bellissimo sorriso. Ma, non richiesta, le ho promesso che avrei parlato della loro esistenza. Se volete saperne di più: http://www.damasdeblanco.com

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