Co.co.pro, giù la maschera

La riforma del lavoro avviata dal Governo Monti ha puntato al lente sui contratti di collaborazione a progetto

La riforma del lavoro 2012 avviata dal Governo Monti, oltre a una congerie di tematiche e programmi inerenti i settori più vari del panorama socio-economico italiano, ha affrontato anche il tema dei contratti di collaborazione a progetto o “co co pro”. L’intento del programma revisionista è quello di smascherare i veri contratti di lavoro dipendenti da tutti quelli presunti tali. Tale presunzione è stata oggetto di precipue inchieste anche da parte della stessa compagine parlamentare. I “co co pro” sono risultati spesso penalizzati (per non dire sfruttati), da una forma di impiego che aveva tutte le caratteristiche di un rapporto subordinato (sulla carta), ma che nella pratica, ossia sul posto di lavoro, era tutt’altra cosa. Ecco perché la recente normativa tende a precisare in modo inequivocabile tutte le caratteristiche attraverso le quali si definisce e si concretizza il rapporto di lavoro subordinato di collaborazione a progetto. Il punto cardine è rappresentato dalla definizione stessa dell’oggetto del programma o del progetto. In tal senso il datore di lavoro nei nuovi contratti di collaborazione a progetto dovrà identificare bene e circoscrivere il più possibile il progetto non inserendolo in modo generico come spesso accadeva prima. Si può affermare in definitiva che i soggetti veramente coinvolti ed interessati da queste novità non siano tanto i lavoratori quanto i responsabili delle risorse umane ed i legali delle imprese che si troveranno semplicemente a modificare l’oggetto del contratti co co pro. Il legislatore a tal proposito non lascia “strade alternative di interpretazione”: il progetto deve essere “un’attività produttiva ben identificabile e funzionalmente collegata ad un determinato risultato finale cui il collaboratore partecipa direttamente con la sua prestazione”. Quindi il lavoratore, grazie a questa precisazione, dovrà prendere parte con la propria prestazione lavorativa all’intero programma di lavoro, fino al risultato finale, e non più ad una sola fase di esso. Secondo la nuova normativa, il lavoro potrà definirsi “subordinato” (anche in tema di compensi), se risulteranno soddisfatte le due eventualità di seguito elencate: 1) il rapporto di lavoro si sviluppa con una durata superiore a otto mesi per anno. I compensi percepiti nel medesimo anno e derivanti dalla collaborazione a progetto siano almeno pari all’80% dei corrispettivi complessivamente incassati dal lavoratore nel medesimo anno di imposta; 2) il lavoratore ha una sua stabile postazione ovvero fissa in una delle sedi dell’impresa. Di converso, non si parla di contratto di lavoro subordinato a progetto se le presunzioni di subordinazione citate non possono essere applicate laddove l’attività sia caratterizzata da elevate competenze tecniche acquisite attraverso percorsi formativi oppure esperienze maturate nell’esercizio concreto di attività particolari e inerenti a settori produttivi, commerciali o professionali particolarmente usuranti. Il vincolo di subordinazione, secondo la nuova normativa, non scatta anche se il lavoratore percepisce un reddito superiore a 1,25 volte il livello minimo imponibile ai fini del versamento dei contributi previdenziali previsti dalla Legge 233 del 1990, articolo 1 comma 3. Oppure laddove si tratti di attività per le quali è richiesta l’iscrizione ad un albo professionale. La nuova normativa ha svelato alcune direttive che con molta probabilità in precedenza molti datori di lavoro hanno “trascurato” o quanto meno, l’esistenza di una precisa normativa comporterà ad una maggior cautela tanto i datori di lavoro quanto tutti coloro che vorranno (o dovranno) affacciarsi a questa alternativa lavorativa. La popolazione attiva italiana che contrae forme di collaborazione di questo tipo è andata crescendo a livello esponenziale già dal 2007, arrivando nel dicembre 2011 a quota 1 milione 422 mila: il 46,9% (pari a 676 mila) sono collaboratori a progetto (co.co.pro.) e hanno un reddito medio di 9.855 euro l'anno. Lo comunica l'Isfol (Istituto per lo Sviluppo della Formazione Professionale dei Lavoratori), che stima anche che il 35,1% dei co.co.pro ha un'età inferiore ai trent'anni e il 28,7%, un’età tra i 30 e i 39 anni. L'84,2% dei co.co.pro. è caratterizzato da un regime contributivo esclusivo e non ha quindi un'altra occupazione: si tratta di 569 mila lavoratori, il cui reddito medio scende a 8.500 euro. Il buon proposito conclusivo è che presto si aprano spiragli importanti anche a livello stipendiale e contributivo per tutti i co.co.pro.

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