Rifiuti e mafia. Gli insospettabili

Le ditte e le modalità operative delle nuove aziende che secondo la Commissione parlamentare d’inchiesta sui rifiuti sono sotto la ‘sfera d’infuenza’ del boss Scarlino

L’Universo Scarlino si arricchisce, per la Prefettura, di satelliti e asteroidi. Molte le aziende che sono sotto la “sfera d’influenza”, secondo quanto appurato dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti in provincia di Lecce. C’è da capire (e su questo sono in corso indagini), in che modo si stringono gli accordi, i collegamenti, come vengono tessute le tele e le trame di un business sotterraneo e in continua evoluzione. SFOGLIA QUI LA RELAZIONE DELLA COMMISSIONE PARLAMENTARE D’INCHIESTA.

La relazione territoriale della Commissione parlamentare d’inchiesta recentemente approvata ruota principalmente attorno alle aziende del gruppo salentino dei Rosafio. Si tratta di “Progetto Ambientale Menhir” con sede a Diso, ”Geotec ambiente Srl” con sede a Veglie, “Rosafio Rocco Servizi Ambientali” e “Rosafio Srl”. A queste si aggiungono aziende “insospettabili” come: “Edilcav Srl”, “Aqualife Srl”, “Calora Surl”, “Sea Marconi Envirotek Italia Srl” e “Ats Consulting Srl” (non tutte interessate al settore dei rifiuti), considerate “nella sfera di influenza” dei Rosafio (come riferito in una nota della Prefettura di Lecce) e per le quali si stanno eseguendo accertamenti al fine di verificarne l’operatività, i mezzi utilizzati, i soggetti che vi lavorano. I riferimenti alle ditte citate, già colpite da interdittiva antimafia, compaiono nelle pagine del documento prodotto dall’organismo bicamerale che si occupa del fenomeno e che è stato approvato il 20 giugno scorso.

NELLA FOTO: L’imprenditore di Taurisano Gianluigi Rosafio

L’approfondimento (i cui contenuti saranno discussi in un convegno che si svolgerà a Bari il 23 ottobre 2012) è stato redatto sulla base di audizioni, sopralluoghi e note scritte: fra il 2010 e i primi mesi del 2012, è stato, infatti, possibile raccogliere tutto il materiale che costituisce il cuore del resoconto grazie alla collaborazione di magistrati, autorità di polizia, prefetti e questori.
Molti gli argomenti di analisi e discussione, tra cui le attività riconducibili alla gestione dei rifiuti solidi urbani e soprattutto di quelli industriali (tossici e nocivi) che rappresentano “alcuni dei settori di intervento di maggiore interesse per le organizzazioni criminali, in quanto offrono la possibilità di realizzare guadagni più consistenti, in particolare nel caso in cui l’amministrazione dei Comuni non si mostri efficiente, lasciando spazi che vengono occupati da chi intende realizzare profitti illeciti”. In merito al tema delle imprese che operano nel settore dei rifiuti, sulla base di investigazioni e informazioni, si è accertato che molte aziende che lavorano in questo business sono “riconducibili, direttamente o indirettamente, alla famiglia Rosafio, legata da rapporti di parentela alla famiglia Scarlino, indicata – quest’ultima – come nucleo di spicco appartenente a una frangia della Sacra Corona Unita operante in sud Salento”.
In particolare – dice testualmente la nota inviata dalla Prefettura – “hanno formato oggetto di indagini – interforze, alcune società operanti nel servizio della raccolta dei rifiuti riferibili a Gianluigi Rosafio, figlio di Rocco e genero di Giuseppe Scarlino, detto ‘Pippi calamita’, esponente del clan ‘Padovano – Giannelli – Scarlino’. Rosafio, attraverso le ditte ‘Progetto Ambientale Menhir’ con sede a Diso (Le), ‘Geotec ambiente Srl’ con sede a Veglie (Le), ‘Rosafio Rocco Servizi Ambientali’ e ‘Rosafio Srl’ – avvalendosi di metodi di intimidazione tipicamente mafiosi nei confronti delle imprese concorrenti – svolgeva attività di smaltimento illecito di rifiuti”.

La Procura della Repubblica, in proposito, aveva anche chiesto il rinvio a giudizio per l’imprenditore e altre 35 persone. La condotta contestata riguardava il traffico illecito di rifiuti, attraverso l’allestimento di mezzi e attività continuative dirette a un sistematico smaltimento di rifiuti pericolosi e non. In particolare, come si legge in una nota inviata dal procuratore di Lecce, Cataldo Motta (luglio 2012), il gruppo “Rosafio” – attraverso le imprese “Rosafio Rocco servizi ambientali” e “Rosafio Srl” esercenti l’attività di smaltimento e depurazione delle acque di scarico e attività affini – “gestiva ingenti quantitativi di rifiuti liquidi che venivano trasportati presso gli impianti di depurazione di Corsano, Presicce, Melendugno, Galatina, Taurisano e presso la discarica di ‘Monteco’ di Ugento. Venivano poi effettuati scarichi di rifiuti liquidi in aperta campagna, su strade di pubblico transito, con smaltimento degli stessi all’interno della discarica ‘Monteco’ di Ugento (non autorizzata alla ricezione di rifiuti liquidi) e in una vasca interrata all’interno di immobili di proprietà dei Rosafio, dotata di un pozzo di uscita che consentiva lo sversamento dei liquidi direttamente nella falda acquifera sottostante. Il tutto utilizzando documenti di trasporto falsamente compilati e avvalendosi di intimidazioni in virtù della sua stretta parentela con Scarlino”.
Si creavano così condizioni di assoggettamento dei concorrenti, attraverso “comportamenti prevaricatori e rapporti di corruttela con le locali forze di polizia che gli consentivano di impedire il libero dispiegarsi delle attività concorrenziali”.

Il procedimento penale si è poi concluso, in primo grado, con sentenza di condanna per lo smaltimento illecito, ma non è stata riconosciuta in quella sede l’aggravante dell’avere agito con metodo mafioso. A pagina 232 della sentenza vi sono le motivazioni in merito al mancato riconoscimento della circostanza aggravante, rispetto alla quale, secondo quanto ritenuto dal tribunale, non è stato raggiunto un livello probatorio adeguato. Si riporta una parte della sentenza in cui si affronta la questione: “(…) In conclusione, è necessario rilevare nella condotta del reo concreti elementi di intimidazione evocatori del fenomeno mafioso, un contegno inequivocabilmente riconoscibile nel senso non tanto della necessaria appartenenza a un sodalizio mafioso, quanto piuttosto della sicura e precisa evocazione del potenziale intimidativo proprio del medesimo”.

La Procura della Repubblica di Lecce ha interposto appello sostenendo come quegli stessi elementi valutati dal tribunale come indicativi dell’insussistenza del metodo mafioso, fossero in realtà da valutare come elementi di prova pienamente dimostrativi dell’assunto accusatorio con la continua evocazione della famiglia Scarlino. E così, l’appello del 2011 ha riformato la sentenza emessa nell’ottobre 2009 e affermato la “condotta mafiosa”.
La sentenza era di particolare importanza perché, sebbene i fatti contestati si riferissero agli anni 2002 e 2003, vi era “implicitamente il riconoscimento dell’esistenza di clan mafiosi riconducibili alla Scu e l’utilizzo del metodo mafioso per il controllo del settore dei rifiuti che realizza una sorta di monopolio di fatto, basato sulla disponibilità di mezzi e sulla possibilità di praticare prezzi concorrenziali in ragione delle modalità illecite dello smaltimento”.
Con il riconoscimento della “modalità mafiosa” i provvedimenti interdittivi per le attività di “Geotec” arrivano, nel marzo 2012, da Roma e dal capoluogo salentino per “Cogea” (i precedenti, emessi dalla Prefettura di Lecce, sempre nei confronti della “Geotec” erano stati impugnati davanti al Tar che li aveva confermati e di fronte al Consiglio di Stato che invece li aveva annullati con sentenza del 2010).

Intanto, erano intervenuti anche mutamenti negli assetti societari e amministrativi, interpretati dalle forze di polizia come “condotte finalizzate, da un lato, a ottenere l’annullamento delle interdittive antimafia (attraverso la presa di distanza della società dai soggetti attenzionati dalle forze dell’ordine), dall’altro, a sottrarre i beni di Rosafio a eventuali future misure di prevenzione patrimoniale. Sono stati infatti posti in essere atti traslativi di proprietà di immobili a terzi presunti intestatari fittizi”.
Le indagini comunque continuano: le forze di polizia stanno procedendo a ricostruire i passaggi che hanno determinato l’assegnazione della raccolta dei rifiuti urbani, con particolare riferimento al territorio di competenza dell’Ato Le/2, alle ditte che si sono aggiudicate l’appalto. Sono state inoltre condotte indagini mirate a verificare se l’influenza della famiglia Rosafio/ Scarlino si estenda anche alle altre aree di raccolta dell’Ato Le/2. Al fine di verificare la riconducibilità alla famiglia Rosafio/ Scarlino delle imprese che hanno rapporti con gli enti locali e le pubbliche amministrazioni, sono in corso approfondimenti da parte di un gruppo Interforze Appalti che opera attraverso specifici controlli da effettuare direttamente presso i cantieri e/o presso le sedi della società. Novità anche sul fronte del procedimento giudiziario contro Rosafio: nell’anno in corso, la Cassazione ha annullato la sentenza di appello (di cui sopra) circa l’aggravante delle “modalità mafiose” (gli altri reati sono prescritti) e il processo è da rifare.

Ora la Corte d’Appello di Lecce dovrà pronunciarsi con una nuovo collegio giudicante. Un altro filone di indagini svolte dalla Polizia di Stato ha riguardato, invece, il sequestro preventivo di numerosi beni mobili e immobili, riconducibili alla famiglia di Salvatore Capoti, “soggetto orbitante nel sodalizio mafioso del clan Padovano, denunciato quale titolare della ditta ‘Cosmo’ per turbativa della gara d’appalto per l’aggiudicazione, a Gallipoli, del servizio di raccolta dei rifiuti solidi urbani”. Sempre a Gallipoli, la Questura ha eseguito approfonditi accertamenti sulla posizione di un soggetto, operatore ecologico presso l’azienda di raccolta dei rifiuti urbani di Gallipoli, ritenuto contiguo alla criminalità organizzata e sospettato di esercitare indebite pressioni sui colleghi e sull’azienda anche con il ricorso all’intimidazione violenta.
Il soggetto, che la questura aveva già denunciato per favoreggiamento (aggravato dalle modalità mafiose) dei responsabili dell’omicidio di Salvatore Padovano, capo dell’organizzazione gallipolina della Scu, è stato proposto al tribunale di Lecce per l’adozione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza. Anche in passato, la questura aveva svolto accertamenti su alcuni episodi di intimidazione verificatisi in danno di dirigenti e personale delle aziende per la raccolta di rifiuti del capoluogo (società “Aspica Srl” e “Ecotecnica Srl”).
Come evidenziato nella documentazione inviata dal prefetto di Lecce, “sono in corso accertamenti finalizzati a verificare se permangano i condizionamenti dei clan di stampo mafioso nel settore dei rifiuti attraverso società apparentemente riferibili ad altri soggetti”. Anche il Questore ha fatto riferimento agli approfondimenti investigativi in corso in merito alla presenza, negli organici di talune aziende di raccolta dei rifiuti, di soggetti gravati da pregiudizi penali. “La caratura criminale di alcuni di essi si traduce a volte in una vera e propria ingerenza sulle dinamiche aziendali, specie nella gestione e controllo delle risorse organiche”.

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