Cronaca di una giornata tra le ragazze della 'Morvillo'

Brindisi. DA IL FATTO QUOTIDIANO OGGI IN EDICOLA, il racconto di Maria Luisa Mastrogiovanni sulle ragazze sopravvissute alla strage di Brindisi

Di Maria Luisa Mastrogiovanni Dietro il vetro che protegge la prima stanza a sinistra del reparto Grandi ustioni, al piano terra dell’ospedale Perrino di Brindisi, si sono presentate in 19, un sabato afoso di giugno. In punta di piedi, tutta la classe 3°A “Servizi sociali”, gli occhi fermi al di là del vetro. Le compagne di classe di Azzurra, ricoverata lì da quel maledetto 19 maggio, sono andate a incoraggiare l’amica che voleva sostenere l’esame di qualifica del terzo anno. Non è permesso entrare nelle stanze dei grandi ustionati. Si parla attraverso il vetro, con una cornetta telefonica. I professori hanno rivolto ad Azzurra poche domande, simboliche. Nessun compito scritto, perché non può usare la mano destra, gravemente danneggiata dalla deflagrazione. La prima domanda, per allentare la tensione, poi una breve conversazione in francese e infine una domanda di psicologia, sull’adolescenza. E’ stato un modo per Azzurra per parlare di sé. Ha solo detto “noi adolescenti ci sentiamo in crisi, siamo smarriti”. Ma era un tappo che aspettava di essere tolto, perché è partito l’applauso. Azzurra rideva e piangeva, le sue amiche al di là del vetro si abbracciavano, libere tutte. Riscattate, finalmente, con le cinque ragazze ferite gravemente dalla bomba all’istituto Morvillo Falcone di Brindisi. E riscattata Melissa. La vita dopo la bomba, era stata promossa. E andava avanti. Azzurra invia tutto il giorno sms con la sua mano sinistra, ma s’innervosisce perché non riesce a digitare bene. Vorrebbe applaudire Valeria, sua migliore amica, il primo luglio prossimo, al saggio di “danza in disordine”, con cui interpreterà quello che ha provato in questi 30 giorni in cui il caos è piombato nelle loro esistenze. Compirà 17 anni il prossimo ottobre e dice di non voler più uscire di casa, quando ci tornerà, perché “è brutta”. Ma Azzurra è bellissima, anche ora. La bomba non ha toccato il suo viso. Ma lei non lo vede. Perché si sente la bomba addosso, vede ancora il fumo e la devastazione. Sono passati dei giorni prima che ricordasse quei momenti. Pensava di essere stata investita da un autobus e si raccomandava con Valeria: “Attenta, guarda sempre a destra e a sinistra, prima di attraversare la strada”. Poi piano piano sono affiorati alla memoria i ricordi. Sabrina, con lei nella stanza, frequenta la 4 B “Operatore socio sanitario”. E’ di un anno più grande e i suoi problemi di salute sono un po’ più gravi. Non riesce a sentire da un orecchio e questo la innervosisce molto, perché vorrebbe chiacchierare. Le sue gambe sono state gravemente ferite, così come le braccia e le mani. Anche lei presto sosterrà un breve esame per essere ammessa al quinto anno. I loro genitori sono in contatto con quelli di Veronica, che ora è a Pisa dove è stata sottoposta al quarto intervento che le ha dato una speranza in più di farcela, anche se la prognosi è sempre riservata. Selena è andata a trovare Azzurra e Sabrina appena sono state trasferite nel reparto Chirurgia plastica, dove è stata ricoverata anche lei per due settimane. Selena ancora fa fatica a camminare perché la caviglia destra le fa male. Le fiamme l’hanno morsa in profondità e proprio ieri Luigi Marasco, primario di Chirurgia plastica al Perrino ha deciso che ancora non è il momento per sottoporla all’ennesima operazione. Indossa sempre, anche la notte, sottili guanti bianchi. Selena sta rinascendo, come la pelle delle sue mani e i suoi capelli. E come le mani ha bisogno di protezione: la mamma non la lascia un attimo. A giorni alterni la accompagna in ospedale per le medicazioni e al cimitero, da Melissa. Ora la sua quotidianità è questa. I custodi sono gentili e permettono a sua mamma Francesca di varcare il cancello con l’automobile, per avvicinarsi quanto più possibile alla tomba di Melissa, perché Selena cammina a fatica. Ma a la può fermare dall’andare a far visita alla tomba della sua migliore amica, lei, che l’ha vista morire tenendole la mano. Quando le chiedi “come va?”, risponde “meglio”. E’ la sua risposta, la stessa da un mese. Ogni giorno con i suoi genitori e le altre amiche aggiunge un tassello di normalità alla “danza in disordine” delle loro vite. 20 maggio 2012 Selena e le altre: 'ci raseremo i capelli' ARTICOLO TRATTO DA IL FATTO QUOTIDIANO la testimonianza delle compagne di classe di Melissa Bassi e il ricordo di quei terribili momenti Selena ha il viso ricoperto da unguenti. La bomba le ha portato via il primo strato di pelle. I capelli sono bruciati e vuole farsi uno shampoo, perché sente puzza di fumo. La leggerezza dei suoi 16 anni viene fuori così, sopravvissuta immune alla tragedia. Ha il corpo completamente bendato, tranne il viso. Sorride. E quando con la sua leggerezza chiede “Come sto?” e si lamenta perché non ha più i capelli, le sue compagne di classe, la seconda A “servizi sociali”dell’Istituto professionale “Francesca Morvillo-Falcone”, tutte intorno al letto ridono e la rassicurano: “Adesso ce li rasiamo tutte, i capelli”. E’ così che con i loro 16 anni dicono “no”. Selena come ogni giorno prende con Melissa Bassi il bus numero 8 delle 7.05 da Mesagne. Non sa ancora che la sua compagna di classe è morta. La giovanissima mamma Francesca si raccomanda alle amiche, prima di entrare nella stanza del reparto Chirurgia plastica al secondo piano dell’ospedale Perrino di Brindisi, mentre indossano i camici verdi e il cappello e i copri-scarpe passano parola: “Attenzione, Selena non lo sa”. Selena racconta di aver sentito solo una grande spinta alle sue spalle e poi si è ritrovata con il fuoco addosso, mentre non sa come ha trovato la forza di alzarsi, spegnerselo con le mani, schiaffeggiandosi la carne su cui avevano avuto presa le fiamme, per poi mettersi al riparo al di là del cancello della scuola. A terra c’era Melissa, immobile, e Azzurra. “In ambulanza eravamo insieme, racconta Selena, ho visto Melissa con i vestiti completamente bruciati, era nuda. Poi non ricordo più a. Ho visto Azzurra tutta nera, il viso, i vestiti, le mani. Ho lasciato a terra Veronica. Non si muoveva. Ricordo tanto fumo,la puzza di bruciato”. Il papà di Selena fa il muratore. E’ un uomo imponente e gentile. Non si stacca un attimo da sua figlia, va e viene dal corridoio, parla con i parenti, gli amici, i ‘suoceri’ di Selena. “Sono ragazze tranquille – dice – sono tutte fidanzate”. “Tranne me”, gli ribatte Federica. E’ la compagna di banco di Melissa e orgogliosa dice che era la prima della classe. Ha un viso intelligente e gli occhi bistrati di nero dietro occhialoni alla moda: “Melissa voleva fare la maestra d’asilo, come me. Amava il rap, Fedez e Guèpequeno. Non facevamo a di speciale: il pomeriggio ci sentivamo in continuazione facebook e il sabato pomeriggio tutti in villa a Mesagne”. Fuori dalla stanza dove sono ricoverate Selena e Vanessa, arrivano a gruppetti, hanno gli occhi spauriti, camminano in punta di piedi per non far rumore nei lunghi corridoi verdi dell’ospedale, presidiati da forze dell’ordine, croce rossa, protezione civile. Si tengono per mano. Si salutano chiamandosi “amò”, ridono e dicono che non è vero. Non è reale. Poi si abbracciano e se qualcuna singhiozza, piangono tutte. Veronica e Vanessa, due sorelle di 17 e 19 anni, entrambe ferite gravemente, sono figlie di un noto imprenditore edile di Mesagne, che recentemente ha eseguito lavori su un bene confiscato alla Sacra corona unita. I compagni di classe e i genitori non vedono alcun nesso, ma sembra più un frase detta per tagliare corto. Cala il gelo anche quando si fa il nome di Ercole Penna, pentito di primo piano della Sacra corona unita di Mesagne, la cui nipote, che non è tra i feriti, frequenta l’Istituto. La scuola che porta il nome di Francesca Morvillo, magistrata e moglie di Giovanni Falcone, nel Salento è un istituto simbolo dell’antimafia sociale. Da anni un gruppo di docenti tenaci hanno organizzato gruppi di studio sulla legalità, lettura dei quotidiani, tirocini nelle scuole primarie, vincendo nel 2004, con il loro giornale “Volare. Sulle ali del Falcone”, il primo premio del concorso nazionale indetto dall’Osservatorio giovani editori e dal Corsera. Elvira d’Alò è una delle docenti che ha visto nascere il percorso sulla legalità del Borrillo Falcone e ora, da dirigente di una scuola primaria, accoglie le studentesse della sezione“servizi sociali”, quella di Melissa e delle sue amiche, per il tirocinio:“Ogni giorno ci sporchiamo le mani con la disperazione e la povertà”. Gli studenti, per la quasi totalità ragazze, provengono da famiglie molto umili: figlie di contadini e operai. Giovedì dovrebbero sostenere le prove di preesame per la qualifica del terzo anno come “operatore sociale”. “Sono brave ragazze – dice la professoressa Farenga – molto legate tra li loro, fanno gruppo. Tutto sommato è una bella scuola”. Di quelle che avviano i ragazzi al lavoro, nel settore moda, ottico, servizi socio sanitari. E anche per questo al Borrillo-Falcone si pianificano percorsi su misura per recuperare ragazzi che hanno una passato difficile, che per vari motivi vivono in case famiglia, figli di detenuti, ragazzi che hanno dei trascorsi giudiziari. Anche per questo i laboratori sulla legalità sono considerati imprescindibili. Gli episodi di bullismo e di spaccio, dicono le studentesse, ci sono, ma niente di eccezionale, “come in tutte le scuole”. Come se ci fosse un limite entro il quale l’uno e l’altro possono essere considerati routine. Non ne parlano volentieri, ma confermano che il bullismo esiste tra le ragazze, quelle spavalde, forti, che arrivano a picchiare a sangue le compagne. E’ successo. Marcello, papà di Sabrina e Vittoria si sfoga: “Va bene tutto, mettano pure le bombe dove vogliono, ma non a scuola. A scuola no, lasciate stare i ragazzi”. Parla come se si rivolgesse a qualcuno, ma nei giorni precedenti, dice, non hanno avuto alcun segnale né avvertimento, a Mesagne, che stesse per accadere qualcosa. Sua figlia di 17 anni è in prognosi riservata. Di solito il sabato come tante altre sue compagne, non va a scuola perché “c’è il sabato fascista”, ma ieri c’era la carovana antimafia, tutte dovevano andarci e quindi si sono accordate per prendere l’autobus delle 7.05. Come ogni giorno, da Mesagne. Le sue amiche sull’autobus non hanno notato a di diverso dal solito. Le solite persone, le solite amiche, le solite facce, la solita quotidianità. Morena raggiunge ogni giorno la scuola dal quartiere La rosa. La accompagna il papà. Ha sentito un gran boato e correndo è arrivata direttamente nell’inferno. Dove sono state proiettate, illese, Valeria della 3A e Francesca della 2°, che con Melissa facevano un terzetto indissolubile. Si sono scambiato un cuscino bianco con la stampa delle loro foto. Ricordano poco, tanto fumo, poche grida. Le loro compagne appena scese dall’autobus a terra. Ramona e Giada, compagne di classe di Melissa e Selena, si sono salvate perché non erano ancora arrivate a scuola, ma dai loro quartieri, molto lontani dalla zona del Tribunale, hanno sentito il boato scuotere le finestre delle loro case. Una raffica di sms per sapere come stavano le amiche, che cosa fosse successo e ad ogni messaggio si aggiungeva un dettaglio in più, un nome in più, mentre tutte si precipitavano all’ingresso della scuola. Dove non vogliono più tornare.

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