Se il Welfare di Signore (e Cacciari) arrivasse in Parlamento…

Il libro di Cacciari sollecita la nascita di una nuova azione politica per superare inerzie mentali o ideologiche e responsabilizzare dal basso il potere locale

di Giacomo Grippa Ho partecipato alla presentazione, presso le Officine Cantelmo, dell'ultimo libro del prof. Mario Signore dal titolo: “Prolegomeni ad una nuova/antica idea del Welfare” (ed. Pensa). Nel lungo, seguito dibattito, intessuto dall'autore e dal prof. Massimo Cacciari, amico di lungo corso delle sue fatiche filosofiche, sono state poste a verifica le varie impostazioni dei modelli di Stato sociale, storicamente e meritoriamente realizzati, oggi in crisi non solo a causa della limitatezza delle risorse, ma anche maggiormente dal dispendioso centralismo statalista e dalla sprecona parcellizzazione di enti ed apparati. Si tratta della “entocrazia”, la ulteriore gemmazione sul territorio della partitocrazia. I due relatori hanno ben “messo a fuoco” la iniqua concentrazione delle ricchezza in Italia e nel mondo, nonché l'alta evasione fiscale che non permette risposte “universalistiche” “ai bisogni fondamentali delle persone. Una “comunità” – ha sottolineato Cacciari – smentisce se stessa se esclude e non include; il dolore o l'ingiustizia patito anche da un solo cittadino fa venir meno i legami sociali, colpisce l' intera stessa comunità. Se positivo ed insistente è stato il richiamo a superare inerzie mentali o ideologiche per responsabilizzare dal basso il potere locale, corroborato dall'apporto del volontariato, del cosiddetto Terzo Settore, l'incontro ha riproposto ventennali inerzie, denunce ed inadempienze, ha sollecitato la formazione di una nuova, qualificata azione politica. Certo, se il libro di Signore arrivasse in Parlamento, ne favorirebbe il cambiamento. Forse per la natura dell'iniziativa il dibattito avrebbe potuto registrare, più che una condivisione in nuce su alcune precise priorità o indicazioni programmatiche, una verifica, un esame più diretto dell'ordine societario, dell'articolazione cioè della società. Nel mio intervento ho proposto di analizzare di come la famiglia diventi “ammortizzatore sociale, di come al bisogno di servizi, sempre di base e pubblici, rispondano l'associazionismo privato o le imprese “della carità” attraverso le quali passa la colonizzazione clericale dell'utenza. Non volevo minimamente attaccare l'istituto della famiglia o considerare i credenti non autonomi dal potere religioso, come inteso dai relatori. E' arcinoto di come la famiglia surroghi lo Stato in tanti compiti, di come su questi si attivino le organizzazioni confessionali, libere o al solo scopo di catechizzare i destinatari dei servizi pubblici. Intanto le alte gerarchie ecclesiastiche e la classe politica al seguito continuano a negare la varietà delle forme di famiglia, continuano a non riconoscere i diritti civili alle coppie di fatto, come reiterato dal sindaco di Milano nel recente incontro con il papa. Certo “Porta Pia” è lontana, ma Pisapia ce l'avvicina.

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