La rivolta dei giornalisti precari, politically correct. Per non disturbare il manovratore

Lecce. Dall’idea di un boicottaggio per i ritardi vergognosi con cui arrivano gli stipendi ad una sfilata di adesivi buonisti che non danno fastidio a nessuno. C’est il Salento

Tutto è iniziato con un appello su facebook di uno ‘storico’ cameraman delle tv private leccesi, Vincenzo Siciliano. Ha denunciato che in tre televisioni leccesi da mesi, in alcuni casi anche da nove, i cameraman e giornalisti non ricevono gli stipendi. Ha proposto di disertare le dirette tv previste a partire dalle chiusura dei seggi nei 22 comuni della provincia di Lecce, compreso il capoluogo, dove si vota per il rinnovo dei consigli comunali. La forte azione di protesta si è tramutata, di post in post, in una blanda azione dimostrativa, definita ‘pacifica’, da una non meglio identificata “Informazione precaria”, un gruppo di cui si sono immediatamente fatti portavoce, non si capisce bene a che titolo, due voci ufficiali dell’Ordine dei giornalisti, il vicepresidente dell’Ordine dei giornalisti di Puglia Pierpaolo Lala e la componente il consiglio nazionale dell’Ordine Daniela Pastore, oltre all’addetta stampa dell’agenzia di comunicazione Bamakò, Ilaria Marinaci. La bellissima e orgogliosa alzata di capo del cameraman e di alcuni operatori e giornalisti che sembravano volere aderire all’iniziativa è stata ricondotta ad un’iniziativa irreggimentata dal cappello ufficiale che è stato posto a forza su quel capo alzato. I giornalisti e i cameramen che aderiscono alla ‘pacifica’ rivolta, apporranno sul bavero degli adesivi con frasi che dovrebbero far riflettere sulla dignità del lavoro giornalistico: “L’informazione non è un hobby”, “Anche l’informazione nel suo piccolo s’incazza”, ecc. Wow, quale coraggio. Quale profonda riflessione deontologica degna di una “conferenza spanza”. E’ come se gli operai di una fabbrica che vogliano scioperare perché non vedono una lira da nove mesi siano poi indotti con le buone a continuare a lavorare mettendosi sulla tuta blu un adesivo, dove non possono scrivere neanche il perché della protesta. Le frasi che verranno apposte sul bavero non includono quelle contenute nell’accorato appello di Siciliano: “Lavoro, ma Canale 8 non mi paga da novembre”, “Lavoro, ma L’atv non mi paga da nove mesi”, “Lavoro, ma Telerama non mi paga da tre mesi”. Oppure: “State guardando una tv che campa con i soldi pubblici ma non mi paga”. Sarebbe bene che gli operatori tv, invece di aspettare gli adesivi simpatici e carini dell’organizzazione ufficiale, si scrivessero a penna dei foglietti da appuntare con le spille. Meno belli e meno buonisti. Ma più veri ed efficaci. Invece tutto è stato diluito in un melenso lagnare sulla precarietà. Che novità. Andiamolo a dire a chi in casa ha parenti che si sono ammazzati per la crisi. Invece, da domani nell’informazione salentina tutto come prima, l’importante è non dare fastidio e non disturbare il manovratore, che in questo caso è l’editore e la politica. Non hanno perso tempo neanche i sindacati a porsi affianco dei lavoratori sfruttati: la Cgil ha diramato un comunicato in cui, parlando delle graduatorie stilate dal Corecom Puglia, in base alle quali saranno poi assegnati i finanziamenti pubblici alle Tv private (legge 448/98), confonde la voce relativa al fatturato delle aziende con quella dei soldi che le tv riceveranno. Peccato che quanto spetta ad ogni rete tv ancora il Ministero non l’abbia deciso. E buona diretta a tutti. Ps. Organizziamo una vera giornata di riflessione sul precariato. Io porterò la mia esperienza personale, vera e sincera. Per quello che può valere. Eccola. Sono diventata giornalista professionista da free lance. Sono stata la prima della provincia di Lecce. Quando sono andata dall’allora vicepresidente dell’Assostampa a chiedere alcuni chiarimenti sull’iter per diventare professionista da free lance mi ha detto testualmente “non sapevo di quest’eventualità”. Free lance significa precaria per scelta, perché accettare di diventare praticante e poi professionista con un contratto significa mettersi al servizio di un editore, cioè un padrone. Il mio giornale, editato da una cooperativa di giornalisti di cui sono primus inter pares, non prende finanziamenti pubblici. Né commesse dalla politica. Da un anno e mezzo mi sono autosospeso lo stipendio, a causa della flessione del fatturato, perché per me vengono prima gli stipendi dei miei giornalisti e i compensi dei collaboratori e poi il mio. Ma non mi sento di fare un’azione eccezionale. E’ giusto che sia così. Quindi la mia famiglia ha più che dimezzato le sue entrate. Ho altissimo il senso della mia deontologia professionale e dell’importanza del mio mestiere. Ma non mi metto adesivi fatti da altri sul petto. Quando un politico non vuole parlare con il mio giornale perché si è offeso per la pubblicazione di alcune notizie, non faccio manifestazioni sotto la sede del partito, ma penso di aver fatto bene il mio lavoro, se si è offeso. Il mio curriculum con laurea a pieni voti, master post laurea, professionismo e 15 anni di esperienza, si piazza sempre ai primi posti nelle classifiche delle selezioni pubbliche per addetto stampa, ma poi nei colloqui stranamente sono un disastro, e nelle classifiche definitive vengo sbattuta in fondo, perché vince chi deve vincere. E’ già successo nelle selezioni per addetto stampa del Gal serre salentine e l’ultima selezione della provincia di Lecce, per l’Osservatorio delle politiche sociali. Dove al colloquio ho preso 4,5 su 10, io, che non ho mai preso un’insufficienza neanche alle medie, e nonostante abbia disquisito di sussidiarietà verticale e orizzontale degli enti locali e della modifica del Titolo V della costituzione. Mentre nella classifica per titoli ero seconda. Non faccio ricorso al Tar, perché costa troppo. Faccia questo, di utile, l’Ordine dei giornalisti, se vuole essere al fianco dei precari: garantisca assistenza legale gratuita a chi lo chiede o ne ha bisogno, e garantisca un’assicurazione per i rischi professionali (comprese le querele intimidatorie), perché non esiste. Continuo a scrivere per il mio giornale e per importanti testate nazionali (Il Sole 24 ore, Il Fatto quotidiano, giornale), che mi pagano quanto deve essere pagato un professionista. Sono convinta di rendere, con il mio mestiere, un servizio pubblico e necessario come l’acqua e che l’informazione sia un bene comune. Ma questo forse non ha più importanza per molti. Quando questo non avrà più importanza per la maggior parte, sarò sempre dalla parte della minoranza per cui questo ha senso e quando sarò costretta a scendere a compromessi per fare la giornalista, cambierò mestiere.

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