Lecce. L’allestimento leccese ha visto trionfare una compagnia di canto eccellente in cui ha brillato il soprano Giovanna Casolla nei panni della protagonista
di Fernando Greco LECCE – Esplosione di applausi per “La Gioconda” di Amilcare Ponchielli, prima opera in Cartellone per la 43esima Stagione Lirica della Provincia di Lecce, andata in scena al Politeama il 10 febbraio scorso. L’allestimento leccese ha visto trionfare una compagnia di canto eccellente in cui ha brillato il soprano Giovanna Casolla nei panni della sfortunata protagonista. La cantante partenopea, che non ha certo bisogno di presentazioni, ha sfoderato una voce che ha ancora del miracoloso in quanto a timbro e volume, alle prese con una partitura invero al limite per la sua estensione vocale, come dimostrato da un paio di perigliose notine del primo atto acciuffate con difficoltà. Ciò premesso, va ribadito che la Gioconda della signora Casolla è stata soggiogante grazie anche a una vis scenica impagabile che le ha permesso di cesellare un personaggio sempre credibilissimo in un climax ascendente che ha raggiunto il suo vertice nell’ultimo atto dell’opera quando, dopo un “Suicidio!” da manuale (… e qui la voce ha letteralmente scoperchiato il teatro), l’artista ha sventagliato tutta una variopinta tavolozza di sentimenti, passando dal dolore intimo e soffocato, durante il colloquio con Enzo e Laura, al sarcastico duetto finale con Barnaba, in cui un provocatorio sorriso cedeva il passo al drammatico e definitivo colpo di scena. Al pari di lei si sono fatte apprezzare altre due vere primedonne, ovvero i mezzosoprani Elisabetta Fiorillo e Anna Rita Gemmabella nei rispettivi ruoli di Laura e della Cieca. Anche la voce della signora Fiorillo ha letteralmente “tagliato” l’orchestra, trasmettendo intatta tutta la trepidazione del suo personaggio che brucia di passione come un carbone ardente sotto la cenere: commovente fino alle lacrime la preghiera “Stella del marinar”, letteralmente sommersa di applausi e richieste di bis, così come il duetto con la Casolla “L’amo come il fulgor del creato”, vero scontro tra due leonesse.

Dopo l’interessante Azucena dell’anno scorso, Anna Rita Gemmabella è tornata a Lecce con un altro ruolo “materno” che ci è sembrato calzarle a pennello: scenicamente e vocalmente credibile nei panni della Cieca, anche lei ha saputo toccare il cuore del pubblico intonando “A te questo rosario”, momento cardine dell’intreccio drammaturgico. Seppur chiamato all’ultimo momento a sostituire l’indisposto William Joyner, il tenore Antonino Interisano ha offerto una lodevole prestazione nel ruolo di Enzo: la voce non sarà straripante come quella delle colleghe, ma molto corretta e gradevole, accoppiata a un’efficace caratterizzazione del personaggio nonostante l’assenza di prove. Il “cattivo” Barnaba ha trovato nel baritono bulgaro Ventseslav Anastasov voce potente e notevole phisique du role. Storico interprete di Alvise anche su disco, il basso Roberto Scandiuzzi ha offerto a Lecce un’ulteriore prova da fuoriclasse, vuoi per una voce imponente vuoi per un’autorevole presenza scenica, regalando il meglio di sé nel terzo atto dell’opera. Tra serio e faceto, verrebbe quasi da chiedersi come mai, davanti a tanta prestanza vocale e fisica, Laura scelga di tradire Alvise o Gioconda rifiuti di concedersi a Barnaba. Efficace Carlo Provenzano nei panni di Zuane, tollerabili Giorgio Schipa, Francesco Spedicato e Maurizio Coppini nei rispettivi ruoli di Cantatore, Isepo e Pilota.

Il Coro Lirico di Lecce diretto da Francesco Pareti si è disimpegnato con affiatamento e motivazione notevoli, raggiungendo la sua vetta interpretativa nel finale terzo. Il pubblico ha tributato il giusto plauso a Fredy Franzutti e alle sue piacevoli coreografie, molto ben danzate dal Balletto del Sud: travolgente la Danza delle Ore che, nella generale impostazione neoclassica, ha saputo offrire momenti di intelligente originalità. L’orchestra “Tito Schipa” ha suonato al meglio sotto la compita direzione del giovane Christoph Gedschold, attento sia a trasmettere l’idea di un travolgente sinfonismo sia a rispettare e seguire scrupolosamente i cantanti. Ai variopinti costumi di Valerio Maggioni si contrapponeva il minimale assetto scenico a cura di Cristiano Bacchi e di Paolo Panizza, basato su due blocchi semoventi che di volta in volta mimavano i ponti e le calli di Venezia, nonché la prua del brigantino di Enzo; il tutto arricchito da retroproiezioni. Ciò ha avuto alterna efficacia, togliendo molto a quel sapore di Grand-Opéra insito nella partitura di Gioconda. Il momento più debole è costituito proprio dal finale terzo, che invece dovrebbe essere il più spettacolare: dov’è il cadavere di Laura che Alvise dovrebbe mostrare ai presenti? Non è possibile sostituire il macabro colpo di scena con una semplice maschera retroproiettata senza perdere in efficacia drammaturgica. Viceversa, è stato molto bello vedere, nel primo atto, la Bocca dei Leoni retroproiettata sullo sfondo. La regia di Petar Selem muove in maniera molto credibile le masse corali ed i protagonisti, coadiuvata dall’inveterata perizia scenica del cast. Non è credibile però che nel primo atto Laura compaia in scena senza la maschera prevista dal libretto, perché così non si capisce come mai Enzo per riconoscerla debba attendere di udire la sua voce. Ottima la scelta di utilizzare i sovratitoli, grazie alla quale anche il pubblico meno avvezzo al teatro lirico ha potuto gustare appieno questo dramma complesso ed affascinante.
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