Sodade

Cesária Évora, da Capo Verde in capo al mondo

La lingua creola dell’arcipelago di Capo Verde fu coniata dagli schiavi che dall’Africa continentale erano deportati su quelle isole deserte al largo del Senegal e mescolavano i propri idiomi con quello dei padroni portoghesi. Se dagli ultimi anni del ‘900 la vecchia “saudade” lusitana viene più spesso declinata in “sodade” lo si deve a una cantante scalza che dai bar di Mindelo ha introdotto i ritmi, il canto e la lingua capoverdiani nei teatri e studi d’incisione di Parigi e poi del mondo: Cesária Évora. “Morabeza” è un’altra parola chiave del repertorio; vuol dire amabilità, gentilezza, affetto, calore. Testi ridenti su melodie malinconiche si alternano a ritmi solari su parole più fosche (d'altronde non c’è latitudine dove il sole non proietti i suoi fasci d’ombra). Se vuoi sapere se il sangue di vergine è davvero così buono, devi andare a prendertelo lì in fondo a quella stradina, canta in “Sangue de Beirona”. Cesária Évora è morta il mese scorso nell’isola in cui era nata, terra di emigranti e marinai che sognano il ritorno, ma anche il naufragio perenne e definitivo. È dolce morir nel mare, aveva cantato con la brasiliana Marisa Monte. Leopardi aveva detto qualcosa del genere.

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