Lecce. In una lettera dal carcere, pesanti accuse della Bartolomeo verso gli inquirenti. “La scientifica a casa mia? Mai vista”
Le parole arrivano scandite e pesanti. Direttamente dal Carcere di Borgo San Nicola, dove è rinchiusa Lucia Bartolomeo, accusata di aver ucciso il marito con un’overdose di eroina. Come sempre Lucia scrive a mano su un foglio protocollo a righe da quarta elementare. Sull’onda della sentenza di assoluzione per Amanda Knox e Raffaele Sollecito, analizza con durezza il suo processo, lanciando accuse gravi verso gli inquirenti. Le accuse riguardano il modo in cui sono state condotte le indagini, i rilievi, l’autopsia e le sue affermazioni non possono che far sorgere il dubbio, atroce, che dietro le sbarre ci sia un’innocente. “A casa mia – dice Lucia – la scientifica non è mai venuta”. Come hanno potuto ricostruire i movimenti di Lucia prima e dopo la morte del marito? “Le indagini sono partite 15 giorni dopo la morte di mio marito”, afferma. In 15 giorni, non ci può essere il ragionevole dubbio che la scena del delitto sia irrimediabilmente compromessa? “La presunta arma del delitto, la flebo, mai esaminata, inesistente”, dice Lucia. Come si può avere la certezza che l’eroina sia stata somministrata tramite le flebo? “L’autopsia effettuata dopo 17 giorni non ha mai stabilito la causa certa della morte”, precisa. Se non si ha l’arma del delitto (la flebo) e non è nota con certezza la causa della morte, come si fa a ricostruire la dinamica del delitto? Infatti, dice Lucia, “nonostante gli esami tossicologici abbiano permesso di rinvenire nel fegato tracce di “eroina da strada”, le perizie, di parte, dell’accusa, del giudice, non giungono a certezza. Non si sa se, come, quando e quanto, ma solo: forse. A questa conclusione sono giunti anche gli onorevoli giudici della Corte d’Assise d’Appello di Lecce. Quando manca la prova scientifica, – conclude Lucia – il quadro probatorio è indiziario e fragile, le indagini pasticciate, le numerose perizie contraddittorie, non vi è neanche certezza di delitto, cosa resta”? L’atroce dubbio. Ecco la lettera completa di Lucia Bartolomeo. Alla cortese attenzione della direttrice del giornale “Il Tacco d’Italia” Dott.ssa M.Luisa Mastrogiovanni Oggi sono felice. Il 3 ottobre 2011 dovrebbe essere una data per sempre ricordata. Al di là dell’assoluzione, soggettiva, di Amanda Knox e Raffaele Sollecito, oggettivamente, per una volta, la giustizia italiana ha agito secondo diritto. Per una volta i giudici sono stati effettivamente terzi e imparziali. Un po’ meno felice mi rende il dubbio che le decisioni degli stessi siano state conseguenza dei riflettori, puntati dall’America, sul nostro sistema giudiziario. Un po’ meno felice mi rende il dubbio che, se Raffaele non avesse avuto il padre medico legale, la sorella poliziotta, sarebbe ancora rinchiuso nelle patrie galere, magari con un ergastolo. E’ possibile che in Italia, per avere un giusto processo, che garantisca la parità tra accusa e difesa, la rigorosa valutazione delle prove, bisogna conoscere o essere qualcuno? Gli altri, tutti gli altri, i poveri Cristo, i figli di nessuno, devono marcire nelle mani dello Stato? Queste mie riflessioni spero non giungano mai a certezza… fra breve lo saprò. Vorrei essere smentita. Sono Lucia Bartolomeo e scrivo per non dimenticare questo giorno…scrivo per fare i miei più sinceri auguri a due ragazzi, Amanda e Raffaele…scrivo soprattutto nell’ennesimo tentativo di risvegliare le coscienze. Per una volta, il binomio “bella e diabolica” non è stato sufficiente (per fortuna) a produrre condanna. Essere “un’ammaliatrice” non vuol dire essere un’assassina. Avere un carattere che nasconde e non ama condividere le proprie emozioni non vuol dire essere in grado di ammazzare qualcuno. A casa mia la scientifica non è mai venuta. Le indagini sono partite 15 giorni dopo la morte di mio marito. La presunta arma del delitto, la flebo, mai esaminata, inesistente. L’autopsia effettuata dopo 17 giorni non ha mai stabilito la causa certa della morte. Nonostante gli esami tossicologici abbiano permesso di rinvenire nel fegato tracce di “eroina da strada”, le perizie, di parte, dell’accusa, del giudice, non giungono a certezza. Non si sa se, come, quando e quanto, ma solo: forse. A questa conclusione sono giunti anche gli onorevoli giudici della Corte d’Assise d’Appello di Lecce. Quando manca la prova scientifica, il quadro probatorio è indiziario e fragile, le indagini pasticciate, le numerose perizie contraddittorie, non vi è neanche certezza di delitto, cosa resta? Resta il pesante macigno del pregiudizio dell’opinione pubblica prima, dei magistrati forcaioli poi. Basta per essere motivo di sentenza? Fuga forse ogni ragionevole dubbio? Resterà comunque, per chi se ne è reso artefice, il fardello pesante di aver stroncato la giovane vita di una donna e della sua figlioletta. Non smetterò mai di lottare per restituire alle nostre esistenze dignità e verità. Non smetterò finché il sole continuerà a risplendere sulle mie sciagure. Auguri Amanda e Raffaele, giustizia ha trionfato ed è stato rettificato un enorme errore giudiziario, nella speranza che mai più accadrà di privare un innocente della propria libertà. Lucia Bartolomeo Lecce, 4-10-11 Casa circondariale, Borgo San Nicola
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