PD consapevole del collasso della sanità

Lettera di Sergio Martina a Blasi sul suo tentativo di salvare la scialuppa della sanità pugliese

di Sergio Martina Avverto sempre più spesso che la verità, per noi di sinistra, soprattutto la verità che riguarda noi stessi, somiglia allo sguardo inesorabile della Medusa. Evitiamo disperatamente di guardarla negli occhi, per non restarne pietrificati. Ci manca l’intelligente leggerezza di Perseo, che tagliò la testa della Medusa volando su sandali alati, senza guardare mai direttamente il suo volto, ma guardandone il riflesso sul suo scudo di bronzo. Ci soccorra l’allegoria del mito, allora, per affrontare con leggerezza i problemi che noi stessi abbiamo prodotto, ad esempio nella sanità, evitando con intelligenza di restare pietrificati nell’atto stesso di svelare la verità del suo stato. Quattro domande sulla sanità pugliese: C’è, tra le aziende e gli enti del servizio sanitario della regione Puglia, un’azienda o ente che, dal 2005 ad oggi, ha ridotto le spese o, perlomeno, ha rispettato il limite di deficit programmato? NO. Dal 2006 ad oggi, c’è un’azienda sanitaria pugliese che ha ridotto, seppure di poco, il numero degli iscritti nelle liste di attesa ed i tempi di attesa? NO. Qualcuno può credibilmente affermare che, dal 2005 ad oggi, le prassi concrete di affidamento degli appalti delle ASL pugliesi sono state rese non dico trasparenti e legittime, ma appena appena moralizzate? NO. Al di là della cerchia dei tifosi acritici, c’è un solo cittadino pugliese che, negli ultimi sei anni di gestione di ospedali e distretti sanitari di Puglia ne ha percepito il miglioramento del livello etico; di umanizzazione dei servizi resi; di elevazione della qualità sanitaria delle prestazioni erogate in rapporto anche alla generale evoluzione tecnico-scientifica e al maggior volume di risorse impiegate? NO. Questo sistema non poteva dare frutti diversi Se l’esperienza di nessuna ASL e di nessun ente sanitario di Puglia consente di dare risposte affermative alle quattro precedenti domande, significa che la malattia del servizio sanitario regionale non risiede nei direttori generali, amministrativi e sanitari, ma direttamente nella politica. I direttori di vario tipo, nell’attuale sistema, sono solo una forma derivata in cui tale malattia si manifesta. Le mistificazioni della legge regionale n. 4/2010 Le recenti scelte fatte dal legislatore regionale in materia di internalizzazione del personale adibito ai servizi elementari connessi all’organizzazione sanitaria non solo individuano puntualmente chi ha covato e diffuso la malattia, ma dicono anche che si tratta di una malattia che sfida le leggi dell’evoluzione. E’ come se, oggi, vedessimo riapparire i dinosauri. Le ragioni di giustizia sociale con cui tali scelte sono state giustificate (dare certezza di prospettiva ai lavoratori precari) dimostrano,da un lato, una concezione ideologica del lavoro e della sua organizzazione, e, d’altro lato, l’incapacità di tracciare sentieri riformisti di tutela del lavoro: mettendo in campo soluzioni innovative eppure inattaccabili, sostenute da un consenso più ampio e ragionato di quello dei soli lavoratori coinvolti. Poteva cioè nascere qualcosa di innovativo, progressivo ed esemplare, ma si è saputo solo fare passi indietro. Il principio di anti-sussidiarietà Anche le recenti scelte che hanno centralizzato in sede regionale la definizione dei meccanismi per superare l’intollerabile allungamento delle liste e dei tempi d’attesa sfidano le leggi dell’evoluzione, perché deresponsabilizzano chi ha il dovere di decidere in materia hic et nunc, caricando la politica, che per definizione opera illuc et tunc, di oneri impropri. Per questa via l’intero sistema sanitario diventa irresponsabile. La politica oggi teorizza la necessità della rottura col passato, senza però indicare il modello di sanità regionale alternativo. Tale modello non può essere confuso col cosiddetto piano di rientro appena approvato, ridottosi, in definitiva, ad una mera applicazione di tagli lineari. I nuovi manager salvatori della sanità pugliese Nella narrazione del presidente Vendola, la rottura di cui il sistema sanitario ha bisogno sta tutta nel metodo di selezione dei suoi aspiranti manager ed, ora che tale metodo sarà concretamente applicato, “tutti i cittadini dovrebbero essere contenti perché è stata realizzata una selezione d’avanguardia per tutta l’Italia”. Ecco! La politica ha svolto il suo compito e la sanità pugliese è salva. Io, che ho partecipato alla selezione degli aspiranti manager e sono stato ritenuto NON IDONEO; che ho ricorso al TAR Puglia per contestare l’illegittimità ed irrazionalità di tale giudizio ricevendone, dopo ben 70 giorni, una sentenza di “difetto di giurisdizione”; che mi appresto a ricorrere al Consiglio di Stato per vedere affermata la competenza del giudice amministrativo a decidere la questione, ritengo che la POLITICA NON HA FATTO IL SUO DOVERE e che la sanità pugliese (i suoi utenti, naturalmente) è in pericolo più che mai. Poiché so che chi di allegoria ferisce di allegoria perisce, attendo tranquillamente che i difensori dello status quo mi ritorcano contro, sin troppo ovviamente, la favola della volpe e dell’uva. Corro consapevolmente il rischio, prima di tutto perché non denunciare la degenerazione del sistema sanitario regionale sarebbe complicità; in secondo luogo perché, prima di denunciare pubblicamente, ho cercato e continuerò a cercare un giudice a Berlino, che riconosca con una sentenza le mie ragioni o i miei torti. La prova del nove Assumendo, ora, che la malattia della sanità regionale risieda davvero nel suo management ed assumendo, ancora, che l’elenco dei candidati direttori generali idonei non era pronto prima ancora della nomina della commissione d’esame, è di grande interesse capire se il metodo con cui questa selezione è avvenuta ha selezionato davvero l’antivirus appropriato per la malattia del sistema sanitario pugliese. (segue)

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