Torino. Una sentenza che fa storia in tema di responsabilità e sicurezza sul luogo di lavoro. I giudici hanno inflitto 16 anni e mezzo di pena a Herald Hespenhahn, amministratore dell'azienda nella quale morirono, nel dicembre di 4 anni fa, sette dipendenti
di Andrea Gabellone Dal 15 aprile 2011, potrebbe essere cambiata la storia della giurisprudenza italiana in materia di lavoro. I 16 anni e mezzo di pena che i giudici di Torino hanno inflitto a Herald Hespenhahn, amministratore delegato della Thyssen, non restituiranno la vita ai sette operai morti tre anni e mezzo fa, ma rappresentano un punto di svolta per le responsabilità di qualsiasi azienda nei confronti dei propri lavoratori. Ripartiamo da quella notte tragica: tra il 5 e il 6 dicembre del 2007, le fiamme della linea 5, all’acciaieria Thyssen di Torino, divampano in maniera incontrollabile bruciando le vite di Rosario Rodinò, Rocco Marzo, Bruno Santino, Angelo Laurino, Roberto Scola, Antonio Schiavone e Giuseppe Demasi. Per pura casualità, quell’enorme lingua di fuoco risparmia Antonio Boccuzzi, uno di loro; l’unico a poter raccontare, fin dai primi momenti, come realmente sono andate le cose. I ricatti dell’azienda, gli estintori vuoti e l’assenza assoluta di sicurezza sono dati determinanti per il processo. Svelano, innanzitutto, una linea di pensiero secondo cui la vita di sette persone vale meno di 20.000 euro, il costo dell’impianto anti – incendio mai realizzato, forse perché ritenuto superfluo. In secondo luogo, mettono in condizioni il pm Raffaele Guariniello di accusare l’amministratore delegato della Thyssen per “omicidio volontario con dolo eventuale”, evidenziando così che, non il fato, ma l’irresponsabilità criminale di qualcuno aveva provocato la tragedia. È la prima volta nella storia del nostro Paese che un’azienda deve rispondere ad un’accusa di tale gravità. Sette famiglie spezzate, con un’intera comunità solidale alle spalle, pretendevano ieri un segnale chiaro da parte della Giustizia italiana. In aula c’era anche Antonio Boccuzzi, il superstite di quella notte, oggi parlamentare del Pd. “Era importante che il processo terminasse in tempi accettabili e con una condanna esemplare per chi ha sbagliato – ci dice soddisfatto – credo e spero che la sentenza di ieri possa essere utile anche ad altri processi o procedimenti legati ad infortuni sul lavoro. Mi auguro che possa nascere una nuova giurisprudenza nei confronti di chi non mette i lavoratori al centro della propria missione imprenditoriale. La difesa ha parlato di una condanna influenzata dall’eccessivo peso mediatico del processo. Quali fattori, secondo lei, hanno reso questa sentenza “storica”? Sicuramente i motivi sono stati molteplici: tanto per cominciare la determinazione di Guariniello. L’inserimento del reato di omicidio volontario era una novità in un processo legato a infortuni sul lavoro. L’attenzione mediatica è stata importante, ma credo fosse un atto dovuto nei confronti di chi tutti i giorni perde la vita lavorando. Mi sento di dover ringraziare anche la città di Torino e il sindaco Chiamparino che, da sempre accanto alle famiglie, ha ben rappresentato la vicinanza dei cittadini a noi e al nostro processo. Come ha vissuto a livello personale la giornata di ieri? Quello di ieri era un traguardo molto atteso. Non solo durante la giornata di ieri, ma negli ultimi tre anni mi auguravo ci fosse una svolta significativa per la nostra vicenda. Nulla può ripagare il dolore per le persone che abbiamo perso, ma sono convinto che un giudizio di questo tipo costituisca un risarcimento morale importante e dovuto. Per questo, sono convinto che la sentenza di ieri non rimarrà soltanto nella storia, ma farà storia. Da qui può esserci un punto di partenza nuovo per intraprendere la nostra battaglia; una lotta ancora più ricca di motivazioni contro le morti bianche, che, non dimentichiamocelo, sono sempre una sconfitta non solo per il mondo del lavoro e per le imprese, ma per il Paese intero.
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