Processo Basile: torna in carcere Colitti senior

Nuovo colpo di scena nella sempre più intricata inchiesta sull’omicidio di Peppino Basile. Vittorio Colitti, il 67enne accusato, in concorso con il nipote, dell’omicidio del consigliere dell’Italia dei Valori assassinato ad Ugento la notte tra il 14 e il 15 giugno 2008, torna in carcere. Una nuova ordinanza di custodia cautelare è stata eseguita ieri pomeriggio, dai carabinieri del Reparto operativo di Lecce, nei confronti dell’agricoltore ugentino. L’ordinanza è stata emessa dal gip Carlo Cazzella su richiesta del sostituto procuratore della Repubblica titolare del procedimento, Giovanni De Palma. Vittorio Colitti era stato scarcerato per un vizio di forma il 9 settembre scorso su disposizione del Tribunale del Riesame, che aveva anato la misura cautelare a carico del vicino di casa della vittima. I giudici avevano stabilito l’inefficacia della misura in sede di Riesame, anando, di fatto, l’ordinanza emessa dalla Procura della Repubblica di Lecce il 29 novembre 2009. Si era trattato, in particolare, di una questione procedurale legata al diritto alla difesa, cioè alla trasmissione di tutti gli elementi, anche quelli sopravvenuti, a favore della persona sottoposta alle indagini. Gli atti in questione erano quelli relativi alle affermazioni di Giovanni Vaccaro, il presunto collaboratore di giustizia che ha fornito con le proprie dichiarazioni una ricostruzione alternativa dell’omicidio di Basile. Vaccaro si sarebbe adoperato in prima persona per fare un piacere ad un amico, un imprenditore leccese, e “dare una lezione a Basile” e per fare ciò “si sarebbe avvalso di due cittadini extracomunitari preferibilmente albanesi che non avrebbe avuto difficoltà a reclutare”. Dichiarazioni che, è giusto ricordarlo, erano state già ritenute dalla Procura del capoluogo salentino assolutamente irrilevanti. Solo un vizio di forma dunque, che non aveva, secondo gli inquirenti, intaccato in alcun modo l’ipotesi accusatoria. Per Colitti senior, oltre ai gravi indizi di colpevolezza, sussisterebbero anche i tre requisiti delle esigenze cautelari: il rischio di inquinamento delle prove, il rischio di fuga dell’imputato e il rischio di reiterazione del reato. Nei giorni scorsi il pubblico ministero aveva chiesto una proroga di sei mesi in relazione alle indagini preliminari nei confronti di Colitti senior. Il dottor De Palma aveva motivato la richiesta spiegando che non si potevano ritenere concluse le indagini poiché “occorre verificare la necessità di svolgere ulteriori approfondimenti investigativi in relazione alle emergenze processuali del dibattimento in corso di svolgimento presso il Tribunale per i minorenni di Lecce a carico di Vittorio Luigi Colitti”. La notifica della chiusura delle indagini, stranamente, è stata notificata proprio ieri, quasi contestualmente all’ordinanza di custodia cautelare. L’arresto di Vittorio Colitti arriva a pochi giorni dalla sentenza di primo grado sul presunto complice dell’agricoltore ugentino, il nipote diciannovenne Vittorio Luigi (minorenne all’epoca dei fatti). E’ atteso per il prossimo 27 dicembre, infatti, il verdetto dei giudici del Tribunale per i minorenni, il cui iter dibattimentale si è concluso ieri con le arringhe difensive. La difesa ha puntato il dito contro gli inquirenti colpevoli, a suo dire, di aver svolto indagini lacunose e superficiali. “Le indagini su questo omicidio per quanto, apparentemente, effettuate a 360 gradi, – scrive l’avvocato Francesca Conte nelle sue memorie difensive – in realtà sono state carenti sotto molteplici profili; a partire dai primi momenti in cui, i Carabinieri di Ugento, all’epoca comandati dal Maresciallo Congedi, sono comparsi sulla scena del crimine; scena del crimine che fu sicuramente gravemente e colpevolmente inquinata, tanto da evidenziarlo, in corsivo, nel loro verbale di sopralluogo”. La difesa ha poi analizzato la testimonianza della bambina, presunta testimone oculare dell’omicidio. Una testimonianza inattendibile, viziata da presunte pressioni che i giudici del Tribunale per i minorenni avrebbero fatto sulla madre, che altrimenti avrebbe rischiato di perdere l’affidamento della piccola. Le “pressioni” degli inquirenti non si sarebbero limitate, però, alla mamma della baby testimone ma avrebbero coinvolto altre persone tra cui don Stefano Rocca. L’accusa, rappresentata dal sostituto procuratore minorile Simona Filoni, ha chiesto per il giovane imputato una condanna a 15 anni di reclusione. Lunedì, dopo le eventuali repliche del pm, i giudici si riuniranno in camera di consiglio.

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