Il 4 e il 5 dicembre, il Nuovo Teatro Verdi di Brindisi ha proposto una gradevolissima “Madama Butterfly” di Puccini
di Fernando Greco Per la gioia dei melomani salentini, solitamente più avvezzi alle platee del Petruzzelli di Bari o del Politeama di Lecce, il Nuovo Teatro Verdi di Brindisi ha proposto una gradevolissima “Madama Butterfly”, andata in scena il 4 e il 5 dicembre. In quest’epoca di “vacche magre” e per di più in una città avara di iniziative culturali, il cartellone del Verdi si contraddistingue per la qualità e l’abbondanza dell’offerta culturale, che spazia dalla prosa al musical, dall’opera lirica alla musica sinfonica. E quest’anno il tassello operistico è stato rappresentato dalla “Madama Butterfly”, popolarissima opera di Giacomo Puccini, in un nuovo allestimento coprodotto dalla Fondazione Nuovo Teatro Verdi in associazione con la Fondazione Pergolesi – Spontini di Jesi e il Teatro dell’Aquila di Fermo. La tragedia di una donna sola La predilezione di Puccini (1858-1924) per i personaggi femminili si estrinseca in maniera quanto mai compita con “Madama Butterfly”, che dopo “Manon Lescaut”, “La Bohème” e “Tosca” rappresenta l’ennesimo vertice compositivo del musicista lucchese, opera alla quale egli rimase legatissimo al punto da considerarla“… la più sentita e suggestiva che io abbia mai concepito”. Né deve trarre in inganno l’ambientazione esotica del libretto, scritto dal team Giacosa-Illica su una pièce di Belasco, apparentemente nell’alveo di quel gusto per l’Oriente tipicamente fin de siècle, diffusosi in Europa a cavallo tra Ottocento e Novecento sulla scia di opere letterarie quali “Madame Chrysanthème” di Pierre Loti (1887) o musicali come “The Mikado”, operetta di Gilbert & Sullivan del 1885, per non parlare dell’”Iris” di Mascagni rappresentata a Roma nel 1898, i cui sostenitori furono probabilmente i responsabili del clamoroso fiasco della prima rappresentazione di “Butterfly” avvenuta alla Scala nel 1904. Di fatto quest’opera è la tragedia di una donna sola, resa matura all’età di quindici anni da un destino di povertà che l’ha portata dapprima ad esercitare la professione più antica del mondo e poi a credere ciecamente in un matrimonio fittizio con un ufficiale americano che, com’era nell’ordine delle cose, l’abbandona senza scrupoli dopo averla resa madre. E Butterfly, che alla rincorsa non già del sogno americano, ma semplicemente di “un bene piccolino”, si è illusa di poter rinnegare la propria religione, finisce col diventare vittima di quella stessa cultura, rifugiandosi in un hara-kiri suicida poiché “con onor muore chi non può serbar vita con onore”. Se dunque per Mimì o per Manon si poteva parlare di un destino di morte quasi prestabilito, Butterfly e Tosca sono invece donne in cui è più manifesto il dramma interiore, la morte come fine della schizofrenia tra virtuale e reale. La tecnica “scenografica Il tessuto musicale dell’opera segue la vicenda a mo’ di un continuum dal forte potere evocativo (la cosiddetta “tecnica scenografica”, secondo la definizione di Ulrich Schreiber), con momenti di franca valenza impressionista (vedi l’intermezzo che caratterizza il trascorrere della notte e l’incedere della luce mattutina) ed espliciti riferimenti alla tradizione giapponese. Il ruolo sopranile della protagonista è quanto mai arduo, tutto giocato su un’ampia estensione vocale che persiste nell’ambito di un lirismo cantabile, scevro da bamboleggiamenti di maniera, come appunto il carattere di Butterfly, donna matura fina dalle sue prime battute, ovvero l’intenso e difficilissimo arioso “Spira sul mare”. Accanto a lei il personaggio di Pinkerton appare a bella posta campione di vuota virilità e perbenismo, completamente a disagio davanti alla schiettezza della ragazza: anche la sua vocalità, tronfia della propria tessitura tenorile, non appare mai del tutto in sintonia con l’intensità del soprano, perfino nel duetto d’amore del primo atto. Lo spettacolo La regia dello spettacolo brindisino è stata affidata a Fabio Ceresa, assistente alla regia per il Teatro alla Scala di Milano, in collaborazione con Giada Tiana, Claudia Abiendi per le scene e Massimo Carlotto per i costumi. Scomparso il ridondante esotismo di maniera dei primi poster di Metlicovitz, l’Oriente è soltanto evocato da alcuni oggetti scenici, dai costumi e da una sorta di “tori” posto al centro della scena, un tempietto rosso che nel primo atto ricorda molto quello dello storico allestimento scaligero di Ponnelle per la “Frau ohne schatten”, ma nell’evolversi della tragedia si scompone e si lacera come l’anima della protagonista, fino a dissolversi completamente verso la fine dell’opera, quando il suicidio si consuma nella più estrema solitudine. Gli interpreti Molto affiatato il cast vocale, dominato dal soprano russo Liudmila Slepneva nei panni di Butterfly. A parte qualche attimo di scollamento dal tessuto orchestrale, la cantante ha esibito un eccellente lirismo a servizio di un’interpretazione di crescente intensità che non ha mancato di commuovere il pubblico, come nel duetto (“Una nave da guerra!.. Scuoti quella fronda di ciliegio”) con la serva Suzuki, interpretata da un’altrettanto intensa Elena Bresciani. Lodevole aplomb scenico ed emissione corretta e gradevole per il tenore Giuseppe Varano nel ruolo di Pinkerton. Non ci si lasci ingannare dall’apparente brevità della parte di Sharpless, unico ruolo maschile che, alla pari dei grandi ruoli baritonali straussiani coevi, abbia un’introspezione psicologica e fin dall’inizio dell’opera abbia coscienza dell’imminente tragedia, qui interpretato dal baritono barese Marcello Rosiello con dovizia di mezzi vocali, ma forse in maniera un po’ troppo giovanile e pimpante. L’odioso cinismo del personaggio di Goro è stato trasmesso intatto dall’ottima interpretazione del tenore Roberto Jachini Virgili. Uniformemente discreto il resto del cast, che si completava con Mattia Olivieri nel ruolo di Yamadori, Dario Russo in quello dello zio Bonzo; Manuela Boni era Kate, mentre l’Ufficiale del Registro era interpretato da Alessandro Pucci. Applausi dopo il “Coro a bocca chiusa” per il Coro Lirico Marchigiano “Vincenzo Bellini” ben istruito da David Crescenzi. Protagonista dell’opera alla pari del soprano, l’Orchestra Sinfonica “Tito Schipa” di Lecce si è prodotta in un’ intensa interpretazione della struggente musica pucciniana, concertata dal giovane direttore pugliese Nicola Marasco.
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