Rapito, stuprato e poi ucciso sulla spiaggia di Torre Chianca. Il caso del piccolo Daniele Gravili è stato riaperto. E’ uno dei 27 gialli italiani di cui si occupa l’Unità delitti insoluti
18 anni fa, quando si consumò l’orribile episodio, l’inchiesta che ne scaturì venne archiviata, dopo indagini condotte a 360 gradi dagli inquirenti coordinati dal magistrato Cataldo Motta, attuale capo della Procura. Vennero prelevati campioni di saliva su decine di persone ed effettuati i test del dna e le relative comparazioni con altri casi del genere. Allora non fu possibile risalire al responsabile di tanta crudeltà. Ma oggi i fascicoli sono stati ripresi dagli archivi e nuove ricerche sono partite. Stavolta si possono avvalere di metodologie di analisi più all’avanguardia, certamente impensabili 18 anni fa. Aveva appena tre anni Daniele Gravili, il bimbo di Lecce, rapito e stuprato e poi ucciso sulla spiaggia di Torre Chianca il 12 settembre del 1992. Finì nella mani del suo carnefice per caso, mentre i suoi genitori stavano ultimando il trasloco che dalla casa in villeggiatura al mare li avrebbe riportati in città. Pochi minuti fuori dal loro controllo ed avvenne il più terribile dei reati. Il piccolo venne stuprato e poi abbandonato sulla spiaggia, con la testa nella sabbia. Venne ritrovato dopo circa mezz’ora di ricerche dal garzone di un supermercato, distante circa mezzo chilometro da casa. Era ancora vivo. Trasportato d’urgenza al “Vito Fazzi” di Lecce, lì spirò cinque ore dopo. Morì per via della sabbia che gli si era infilata nei polmoni. A quel punto i medici scoprirono che non si era trattato di un incidente e che Daniele non aveva infilato da solo la testa nella sabbia. E non era stato neppure il mare, in seguito ad un annegamento, a riportarlo a riva in quelle condizioni. Qualcuno nella sabbia ce l’aveva messo di proposito. Qualcuno che l’aveva prima stuprato e poi aveva fatto in modo che il bimbo, che aveva visto e che avrebbe potuto raccontare, non lo facesse. Sul corpicino i segni della violenza sessuale furono inconfutabili. Ma nessun testimone aveva visto. E nessun test portò all’identità del responsabile. Oggi l’inchiesta è stata riaperta. Quello di Daniele è uno dei 27 casi italiani irrisolti di cui si sta occupando l’Unità delitti insoluti (Udi) che si è costituita un anno fa alla Direzione centrale anticrimine della polizia.
Sostieni il Tacco d’Italia!
Abbiamo bisogno dei nostri lettori per continuare a pubblicare le inchieste.
Le inchieste giornalistiche costano.
Occorre molto tempo per indagare, per crearsi una rete di fonti autorevoli, per verificare documenti e testimonianze, per scrivere e riscrivere gli articoli.
E quando si pubblica, si perdono inserzionisti invece che acquistarne e, troppo spesso, ci si deve difendere da querele temerarie e intimidazioni di ogni genere.
Per questo, cara lettrice, caro lettore, mi rivolgo a te e ti chiedo di sostenere il Tacco d’Italia!
Vogliamo continuare a offrire un’informazione indipendente che, ora più che mai, è necessaria come l’ossigeno. In questo periodo di crisi globale abbiamo infatti deciso di non retrocedere e di non sospendere la nostra attività di indagine, continuando a svolgere un servizio pubblico sicuramente scomodo ma necessario per il bene comune.
Grazie
Marilù Mastrogiovanni
------
O TRAMITE L'IBAN
IT43I0526204000CC0021181120
------
Oppure aderisci al nostro crowdfunding