A colloquio con l’artista-cantautore Antonio Riso
110 opere, tra disegni, ritratti a matita, dipinti ad olio. Ha chiuso i battenti mercoledì scorso (era stata inaugurata il 14 settembre) un’originale mostra di pittura ideata dall’artista tricasino Antonio Riso. L’evento, intitolato “Origini e pensiero”, si è svolto nella biblioteca provinciale “Girolamo Comi” di Lucugnano
Di Paolo Palomba È stata inaugurata il 14 settembre e ha chiuso i battenti mercoledì scorso l’originale mostra di pittura, ideata dall’artista tricasino Antonio Riso. L’evento, intitolato “Origini e pensiero”, si è svolto a Lucugnano di Tricase, negli storici locali della biblioteca provinciale “Girolamo Comi”. Sono state presentate, ad un pubblico motivato, 110 opere (disegni, ritratti a matita, dipinti ad olio) ispirate alla raccolta poetica intitolata “L’altra faccia della luna”, scritta dal medesimo autore ed ancora inedita. Il protagonista dell’iniziativa è uno “spirito libero” autodidatta, perennemente alla ricerca di pianeti emotivo-espressivi divergenti, affrancati da schematismi e protocolli, nello scenario del realismo soffuso e glissato, quindi ideato per fare coesistere, con geniale maestria, l’intuizione razionale e la voce del cuore. A fare gli onori di casa sono intervenuti i rappresentati delle istituzioni territoriali, contribuendo ad introdurre il repertorio di un pittore dei sentimenti, impegnato ad assemblare i codici non verbali, nella modulazione caleidoscopica del talento d’alta indole. Erano presenti, tra gli altri, Antonio Musarò, sindaco di Tricase; Donato Valli, già rettore dell'Università del Salento; Alessandro La Porta, direttore della biblioteca provinciale “Bernardini”di Lecce; Giovanni Nuzzo, docente di Storia dell'arte presso il liceo scientifico “Stampacchia” di Tricase e direttore del settimanale “BelPaese”; Vincenzo Abati, critico d'arte. L’approccio alle tempere di Antonio Riso, per l’osservatore sensibile, diventa un insolito tuffo nel mix di sensazioni suggestive, fluttuanti nell’habitat naturale e antropico del Grande Salento. In tale arcipelago di emozioni, pertanto, il rispetto della vita diventa una bussola di valori schietti da perseguire pazientemente, ricorrendo al sodalizio tra le arti. Questa tavolozza inconsueta di colori-idee, privilegiando il canale dei linguaggi visivi, assume indubbie sfumature di natura pedagogica, concretizzandosi in una tela composta e armonicamente ispirata alla terra del rimorso. Per cogliere il senso e il significato di questo particolare orientamento di stile, abbiamo intervistato il pittore salentino, esaminando gli aspetti biografici che solitamente fondano la tendenza espositiva di un artista. Maestro, come nasce il suo approccio alla pittura? “Questo meraviglioso viaggio che è l’Arte, in senso lato, ha inizio sin dalla mia primissima adolescenza, quando frequentavo le scuole medie inferiori a Tricase. Ricordo che già allora disegnavo di tutto: figure umane, oggetti vari, animali; insomma, ciò che mi capitava e che poteva stimolare la mia fantasia. A volte ritraevo i personaggi storici o i paesaggi geografici perché ritenevo che ciò mi facilitasse nello studio. Ero affascinato, come lo sono attualmente, dall’aspetto magico e segreto delle cose e dall’illusione di ombre modulate dall’effetto chiaroscuro. E’ questo lo scenario che mi trasmette emozioni forti dal punto di vista artistico”. Nelle Sue opere si riscontrano due facce dell’esistenza: una dimensione pessimistica, connotata da sfumatura cromatiche fredde, “scavalcata” dal ricorso sistematico alle tonalità calde, simbolo di vitalità. Quali sono le radici che fondano tale opzione espressiva? “La dimensione pessimistica va interpretata in senso positivo, ossia come la volontà di stimolare, in chi osserva una mia grafica o un mio dipinto, dinamiche di riflessione. La pittura, oggi, deve poter dare dei segnali forti, che facciano riflettere i politici e la gente comune che, al di là della materialità e del perbenismo, ci sono valori consolidati da rispettare: esiste un patrimonio artistico da presentare e proteggere, quale filo di speranza cui guardare, per costruire un mondo migliore”. L’itinerario formativo che ha sperimentato nell’adolescenza vanta la presenza di un educatore speciale: quali insegnamenti le rimangono del suo rapporto d’amicizia con don Tonino Bello? “Grazie ad una mia breve esperienza di vita nel seminario di Ugento ho avuto modo di conoscere don Tonino Bello, che ha rappresentato per me e per i miei compagni un fratello maggiore. Il nostro don Bosco trasmetteva ai ragazzi vitalità e voglia di vivere, col sorriso sulle labbra; era un punto di riferimento essenziale nel cammino della nostra maturazione: la sua presenza costante rappresentava garanzia di ascolto e sicurezza. Gli insegnamenti di don Tonino rimangono scolpiti nella mia mente e sono ancora oggi uno stimolo per affrontare le difficoltà quotidiane. Quando ero pensieroso, don Tonino mi scuoteva con una pacca sulle spalle dicendo: ‘Antonio, se ti senti con la testa fra le nuvole, prendi la matita e prova a disegnare il mare; vedrai, ti ritornerà il sorriso e il buonumore’”.
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