Parte da Casarano la battaglia del pane

L'iniziativa di un piccolo imprenditore

La genuinità del pane in Puglia e in Italia è a rischio. Fabio Fattizzo, titolare del “Molino Fattizzo” di Casarano, lancia l’offensiva contro i mugnai pugliesi che, a causa di una legislazione carente, possono vendere farine scadenti come farine di grano duro

Parte da Casarano la battaglia per la genuinità di pane in Puglia e in Italia. Un piccolo produttore di farina di grano duro, il “Molino Fattizzo” di Casarano, lancia l’offensiva contro i mugnai pugliesi che, grazie ad una legislazione carente, possono vendere farine scadenti come farine di grano duro. A denunciare da tempo questa situazione, tanto da interessare tutti i soggetti istituzionali e di comparto, è Fabio Fattizzo, socio dell’omonimo mulino, che ha inviato di recente una relazione ad Enzo Russo, assessore regionale all’Agricoltura. L’assessore ha ascoltato la denuncia di Fattizzo il 22 giugno scorso, durante una riunione provinciale dei panificatori, promettendo un intervento. Russo, infatti, avrebbe in mente di istituire un tavolo, con tutti i soggetti coinvolti, presso la Prefettura di Lecce per verificare quello che Fattizzo denuncia da tempo. Ma che cosa ha scritto nella relazione? “Ci sono prodotti della macinazione del grano duro – si legge nel documento – che sono merceologicamente distinti ma analiticamente sovrapponibili per quanto riguarda la determinazione delle ceneri. Questo succede fra il semolato classificato dal Dpr 187/2001 e la farina di produzione locale senza estrazione di semola e non classificata dallo stesso Dpr. Succede la stessa cosa – prosegue la relazione – tra la farina di grano duro e le farinette di svestimento, ossia quelle farinette rinvenienti dopo l’estrazione della semola e dopo l’estrazione del semolato, non destinate ad alimentazione umana secondo la normativa. Vi è quindi la concreta possibilità di una immissione in filiera di queste farine – osserva Fattizzo – cambiandone la denominazione merceologica, o direttamente cambiando l’etichettatura o miscelandole alla farina di produzione locale”. Questo è una parte del problema. Un altro aspetto della vicenda è la trasformazione di farine una volta destinate ad alimentazione zootecnica a quella umana. E’ la conseguenza delle varie modifiche apportate alla legislazione classificante le farine di grano duro. “La prima classificazione, tra cui vi è il semolato, risale alla legge 580/1967 – spiega la relazione –; da allora si sono avute successive modifiche della legge 580 per giungere al Dpr 187/2001. Queste modifiche hanno riguardato tutte un allargamento progressivo di margini di riferimento del semolato, portandoli da 0,9-1,2% della legge 580/67 agli attuali 0,9-1,35% del Dpr 187/2001. Ciò significa che le farine comprese tra 1,2 e 1,35% di ceneri sono state incluse progressivamente fino ad arrivare entro i margini di riferimento del semolato, quindi destinate ad alimentazione umana”. Il paradosso è che “mentre i margini di riferimento del semolato (e quindi la quantità) sono stati aumentati per legge, la quantità risultante del semolato si è ridotta sino a quasi a scomparire in alcuni casi. Questo si evince – conclude la relazione – dagli atti di una precedente indagine dei Nas presso alcuni grossi impianti del barese e del foggiano”.

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