Dottorandi e dottorati. Tempo di cambiare

Riforma per l'Università

Grazie alla battaglia già portata avanti da tempo dall'Adi, un emendamento in “contropiede” del senatore di An Valditara potrebbe trasformarsi nell'occasione adeguata per risolvere concretamente i problemi di una categoria accademica che rappresenta il possibile futuro del paese

Domenico Jervolino* La questione dei dottorati di ricerca ha conquistato un attimo di notorietà nel tormentato dibattito sulla finanziaria, grazie all'approvazione a sorpresa di un emendamento del senatore Valditara, che aumenta (senza copertura) gli stanziamenti per le borse dottorali. Il governo, si è detto, è andato sotto; ma la confusione è grande e si rischia di non capire cosa veramente succede. Il senatore-professore di An, in realtà, ha giocato per così dire di contropiede, bruciando sui tempi l'effetto dell'annuncio di un provvedimento che aveva già fatto i suoi progressi per una intelligente campagna dell'associazione dei dottorandi e dottori di ricerca (ADI) che – riecheggiando un vecchio motivo degli anni trenta aveva lanciato la parola d'ordine: “se potessi avere mille euro al mese!”. In effetti le retribuzioni di metà dei dottorandi italiani sono al disotto di questa soglia, mentre l'altra metà è invece senza borsa, e anzi deve pagarsi le tasse d'iscrizione! La campagna dell'ADI alla quale avevamo dato adesione e sostegno, aveva già sortito l'effetto, anche per la disponibilità del ministro Mussi, di prevedere l'adeguamento della borsa dottorale con soldi veri e non puramente annunciati o auspicati. Ma il ministro e la sinistra unita hanno fatto di più. E' proprio di ieri la presentazione da parte del ministro al CUN – l'organismo rappresentativo delle università italiane – delle linee guida per la riforma del dottorato; e sempre ieri un comunicato congiunto dei responsabili università e ricerca dei quattro partiti di sinistra, ha confermato l'impegno a trovare soldi veri e a realizzare provvedimenti utili per il dottorato e i dottorandi che rappresentano – dal nostro punto di vista – il futuro dell'università. Non solo perché da qui devono uscire i docenti di un'università rinnovata e liberata da familismi e clientele e restituita al suo ruolo di alta formazione inseparabile dalla ricerca, ma anche perché il dottorato deve rappresentare in Italia, come già lo è nel resto del mondo, il livello superiore della stessa formazione universitaria, da spendere non solo per l'autoriproduzione dell'istituzione accademica, ma per rispondere alla domanda sociale di sapere e di cultura, e per realizzare quella visione della conoscenza come bene comune e come fondamento della convivenza democratica, per la quale ci battiamo e che sempre più si va affermando come unica possibile risposta civile alla mercificazione dei saperi nel capitalismo globalizzato, che si presenta anche come capitalismo cognitivo. Quindi questione strategica e non provvedimento meramente assistenziale per i giovani in esso impegnati. In questo senso vanno fatti dei passi avanti rapidamente: trovare soldi veri per aumentare le retribuzioni e per estenderle a tutti coloro che hanno titolo per averle, ma anche per finanziare le attività delle scuole dottorali, prevedere percorsi postdottorali, incrementare la mobilità e gli scambi internazionali, soldi freschi e subito, anche per servizi quali le biblioteche, i computer, i viaggi, l'apprendimento delle lingue. Assicurare la serietà dei percorsi formativi e dei nessi con l'attività di ricerca – come incominciano a fare le linee guida, senza a concedere al pressappochismo e al localismo in un settore che vuole orizzonti ampi e internazionali, contatti frequenti fra giovani, docenti, tutori. Bisognerà valorizzare il titolo dottorale anche come momento di accesso alle professioni che richiedono un alto livello di formazione. Mentre un campo specifico d'iniziativa si profila per l'uso dei dottorati per l'aggiornamento degli insegnanti e dei pubblici funzionari che possono benenficiare di periodi di congedo retribuito, obiettivo che si potrebbe -riprendendo lo spirito delle 150 ore – riproporre anche per l'insieme del lavoro dipendente, magari introducendo questa tematica in sede contrattuale, come una forma superiore ed elevata di educazione degli adulti. Su tutti questi punti c'è l'impegno di Rifondazione e della nascente Sinistra della conoscenza, a partire dalla cooperazione e dalla partecipazione di tutti i soggetti interessati e dei loro movimenti e associazioni. Su questo ci misureremo nei prossimi mesi e anni, per impostare un'iniziativa politica conseguente secondo un'etica della responsabilità: responsabilità da esercitarsi verso le giovani generazioni e le prospettive di sviluppo umano e civile del nostro paese. * Responsabile Università e ricerca Rifondazione comunista, coordinatore del Dottorato in Scienze filosofiche dell’Università Federico II di Napoli

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