Poli si esprime sugli aiuti europei all’occupazione

Italia “illegale” da 12 anni

Si rischia un secondo rinvio alla Corte di Giustizia Europea e una “batosta” per le aziende e i contribuenti. Ecco cosa pensa l'ex sindaco di Lecce Adriana Poli Bortone sugli aiuti in favore dell'occupazione in Italia

“Il governo italiano a luglio è stato messo in mora dall’Unione Europea sugli aiuti all’occupazione elargiti dal centrosinistra a partire dal 1995 e risultati largamente illegali. Deve rispondere entro settembre: cosa aspetta?”. Se lo chiede l’europarlamentare di An (gruppo UEN) on. Adriana Poli Bortone, di fronte alla messa in mora rivolta all'Italia dalla Commissione Europea, riguardo al mancato recupero degli aiuti all'occupazione illegali e incompatibili col mercato comune, concessi a un gran numero di imprese italiane negli anni '90. In moltissimi casi tali imprese, allo scadere del contratto di formazione e lavoro, non assunsero definitivamente (come dovevano) i precari. “Questi precari – sottolinea l’on. Poli Bortone – furono letteralmente fabbricati dal centrosinistra che non li tutelò al momento dell’assunzione negata, mal impiegando oltretutto i fondi europei. Allora pagarono tanti precari (con buona pace della retorica delle sinistre) tra storture, favoritismi e ingiustizie, con assunzioni di non aventi diritto o con indebito rifiuto finale di assumere da parte delle aziende”. “Ora – continua la parlamentare – a pagare il lassismo di allora saranno le aziende che furono sovvenzionate, che dovranno restituire i soldi degli aiuti maggiorati degli interessi fino alla data del recupero. Ma pagherà anche il contribuente, poiché in caso di persistente inadempienza l’Italia, in attesa del recupero, dovrà versare una penalità o una somma forfettaria”. Per saperne di più. A partire dal novembre 1995, all’indomani della caduta del primo governo Berlusconi, il governo italiano di centrosinistra instaurò un regime di aiuti (consistenti nell’esenzione dagli oneri sociali) a favore dell'occupazione mediante contratti di formazione e lavoro nonché a favore della loro trasformazione in contratti a tempo indeterminato. Sennonché, la Commissione Europea autorizzava un tale programma soltanto nel caso della creazione di nuovi posti di lavoro nell'impresa beneficiaria a vantaggio di lavoratori mai prima occupati o disoccupati, e nel caso dell’assunzione di persone con particolari difficoltà di inserimento o di reinserimento sul mercato del lavoro (minori di 25 anni, laureati fino a 29 anni di età, disoccupati di lunga durata). Inoltre, gli aiuti alla trasformazione in contratti a tempo indeterminato dovevano obbligatoriamente essere finalizzati all’aumento netto dei posti di lavoro stabili rispetto ai posti esistenti nell'impresa. Tutto ciò fu largamente violato, per cui la Commissione Europea avviò un procedimento contro l’Italia, e l’11 maggio 1999 dichiarò gli aiuti elargiti dal centrosinistra italiano incompatibili con le norme dell'Unione europea, ingiungendo all'Italia di recuperare presso le imprese sovvenzionate le somme maggiorate degli interessi calcolati dalla data in cui furono erogate ai beneficiari fino a quella del loro effettivo recupero. Il centrosinistra pensò bene di non ottemperare finché il 1° aprile 2004 la patata bollente raggiunse il centrodestra intanto giunto al governo: la Corte di Giustizia Europea condannò l'Italia per mancata osservanza dell'obbligo, derivante dal trattato CE, di eseguire la decisione di recupero. Dopo aver recuperato solo parzialmente il dovuto, il centrodestra nel 2006 ha dovuto restituire la questione al centrosinistra, che la determinò a suo tempo. Nel luglio scorso, quindi, la Commissione Europea ha inviato all'Italia una lettera di costituzione in mora invitandola a presentare, entro due mesi, chiare informazioni onde valutare se ha ottemperato ai suoi obblighi di recupero. In caso negativo, la Commissione potrà inviare all'Italia una richiesta formale di conformarsi alla sentenza della Corte. In caso di ulteriore inadempienza, potrà rinviare l'Italia dinanzi alla Corte per la seconda volta (articolo 228 CE, procedimento per inosservanza di una sentenza della Corte) e chiedere alla Corte di comminare il pagamento di una penalità o di una somma forfettaria fino all'effettiva esecuzione delle decisioni.

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