Petruzzelli: “Il barbiere di Siviglia” e la forza del pensiero.

di Fernando Greco

(foto di Clarissa Lapolla)

Fernando Greco

Inaugurazione sold-out per la Stagione Lirica 2023 del teatro Petruzzelli di Bari con la singolare messa in scena del “Barbiere di Siviglia” di Gioachino Rossini a cura di Davide Livermore, regista che da sempre fa parlare di sè per l’originalità delle sue proposte.

Creatività dirompente e iconoclasta

“Il barbiere di Siviglia” rappresenta il capolavoro assoluto di un compositore “più avvezzo alla commedia che alla tragedia”, come lo stesso Rossini amava definirsi, e conserva intatta la sua freschezza a più di due secoli dalla sua creazione. Per dirla con Ildebrando Pizzetti, è come la luce che sorge ogni mattina, e che non è oggi quella di ieri, ma non è un’altra: ogni volta quest’opera ci riempie il cuore di letizia e di gioia”. Dal tessuto musicale all’evolversi delle situazioni, tutto nell’opera si incastona come in un perfetto meccanismo a orologeria che scandisce il ritmo di una comicità sempre incalzante, senza attimi di cedimento o stagnazione.

L’allestimento creato da Davide Livermore per il Teatro dell’Opera di Roma, ripreso a Bari da Alessandra Premoli, continua a dividere il pubblico in estimatori e detrattori fin dal 2016, anno in cui ha debuttato in occasione del bicentenario della nascita del “Barbiere”. Diciamo subito che la visione in diretta dal palcoscenico del Petruzzelli è stata molto più gradevole rispetto alla ripresa televisiva del debutto romano: assodata la solita intelligenza del regista, la sua creatività dirompente e iconoclasta si è tradotta in uno spettacolo al contempo divertente e sapido di idee.

La forza del pensiero

Complici la perizia digitale del team D-Wok e le illustrazioni fumettistiche di Francesco Calcagnini, le intenzioni risultano chiare fin dal video che accompagna la sinfonia iniziale: si parla di rivoluzione. Partendo dalla Rivoluzione Francese e dal testo di Beaumarchais che ha ispirato la partitura rossiniana, cade la testa di ogni monarca o dittatore della storia, da Luigi XVI a Hitler fino a Mussolini, poichè Figaro insapona il viso a ognuno di loro per poi tagliargli il collo con il rasoio. Quest’immagine racchiude tutta l’esplosiva energia di Figaro, simbolo del self-made man che sconvolge l’ammuffito ordine precostituito grazie alla forza del suo intelletto ovvero l’intelletto dei popolani, scarpe grosse e cervello fino, simboleggiati da topolini che scardinano le fondamenta dei palazzi nobiliari, come si vede nella prima immagine del video introduttivo. Peraltro un simpatico topo meccanico si aggira per tutto lo spettacolo, emblema della “forza del pensiero, – secondo le parole dello stesso Livermore – un pensiero molesto, naturalmente. Perchè un topo in una stanza crea scompiglio. E’ l’incarnazione di un’idea rivoluzionaria che cambia un ordine. Il topo è l’unico animale che seriamente minaccia il primato dell’Uomo sulla Terra”.

Anche il Conte d’Almaviva, alla fine della sua serenata, viene idealmente ghigliottinato mentre la sua testa mozza continua a cantare grazie all’effetto illusionista creato dal mago Alexander. L’avvicendarsi delle epoche storiche rispetto al valore universale della vicenda si rispecchia nei dettagli di scene e costumi (rispettivamente di Davide Livermore e di Gianluca Falaschi) con tanto di esplicita datazione fino all’ultimo quadro, datato 2016 e caratterizzato dall’esplosione del televisore, forse l’ultimo tiranno in ordine cronologico.

Bisogna riconoscere che Livermore abbia messo tanta carne al fuoco, sebbene il rischio di eccessivo didascalismo sia controbilanciato dalla godibilità dell’aspetto visivo gothic style ispirato ai cartoon realizzati da Terry Gilliam per gli irriverenti Monty Python e alla loro serie televisiva “Flying Circus”, grazie anche al sapiente disegno luci di Francesco Raponi.

Sebbene sia stato riferito il verificarsi di qualche dissenso nei confronti della regia durante la serata inaugurale del 22 gennaio (come già a Roma nel 2016), la serata del 25 gennaio qui recensita è stata coronata da calorosi applausi per tutti.

L’orchestra e le voci

L’Orchestra del Petruzzelli ha intessuto il raffinato ordito strumentale in maniera impeccabile seppur con alcuni momenti di lieve asincronia tra musica e canto laddove il canto si faceva più incalzante e veloce, come nel finale primo e nel rondò finale di Almaviva. Sul podio il maestro Stefano Montanari, che ha anche accompagnato al fortepiano i recitativi secchi con brio e originalità.

Omogeneamente valido il cast vocale. Il mezzosoprano Laura Verrecchia ha dato vita a una Rosina spigliata e forte di una vocalità fascinosa per timbro e agilità, efficace nel rendere il personaggio nella brunita corda mezzosopranile più consona alle intenzioni del suo autore rispetto alle successive versioni per soprano. Nei panni dell’intrigante barbiere, il baritono Markus Werba si è avvalso di quella disciplina belcantistica e liederistica che lo ha reso famoso a livello internazionale per rendere al meglio la freschezza di un Figaro sempre irresistibile per presenza scenica e virtuosismo vocale, in sintonia con la visione registica che lo ha voluto di aspetto quasi adolescenziale, da autentico enfant terrible. Dopo essere stato Ernesto nel “Don Pasquale” dello scorso novembre, il tenore sudafricano Levy Sekgapane è tornato a Bari per interpretare il ruolo del Conte d’Almaviva in maniera forse ancor più credibile, poichè la coloratura rossiniana gli ha permesso di compiere formidabili prodezze vocali, evidenti soprattutto nel rondò finale “Cessa di più resistere”, eseguito con assoluta precisione seppur con volume non eccezionale. Una volta tanto è stato possibile ascoltare questo brano nella sua interezza, dal momento che viene tagliato talmente spesso da risultare assente perfino nel programma di sala barese. Il baritono Marco Filippo Romano rappresenta da alcuni anni una garanzia nel repertorio buffo. Già apprezzato dai melomani pugliesi nel ruolo di Bartolo in seno all’edizione 2018 del Festival della Valle d’Itria e nel ruolo di Geronimo nel “Matrimonio segreto” del 2019, a Bari è tornato a vestire i panni di Don Bartolo con fraseggio sempre cristallino e non comune vis comica, nonostante il pesante trucco di scena che lo ha trasformato in una sorta di zio Fester in sedia a rotelle. Malgrado il braccio meccanico, il basso Adolfo Corrado è stato un Don Basilio di voce imponente e di giovanile prestanza fisica, disimpegnandosi con maestria nell’esecuzione della celebre aria “La calunnia è un venticello”. Discreto il soprano Ani Yorentz nel ruolo di Berta, puntuali il baritono Janusz Nosek nei panni di Fiorello e il basso Gianfranco Cappelluti in quelli dell’Ufficiale. Giustamente sornione l’Ambrogio di Nicola Valenzano.

Come sempre il Coro del Petruzzelli istruito da Fabrizio Cassi ha portato a termine in modo lodevole l’impegno scenico e vocale.

La Stagione Lirica 2023 del Petruzzelli proseguirà a febbraio con la “Salomé” di Richard Strauss nell’allestimento di Damiano Michieletto attualmente in scena nel Teatro alla Scala. Ulteriori informazioni sul sito www.fondazionepetruzzelli.it.

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