Il Centro Antiviolenza Renata Fonte incontra la Ministra Roccella

La Riforma Cartabia ha introdotto normative che danneggiano le donne vittime di abusi. Il Renata Fonte di Lecce ha illustrato al Ministro Roccella una situazione che, insieme ad altri centri antiviolenza, denuncia da tempo

Roma – Il Centro Antiviolenza Renata Fonte, ha incontrato la Ministra Eugenia Roccella e le ha esposto le difficoltà che incontra nella sua attività di supporto alle donne vittime di abusi. Sono tanti e complessi gli ostacoli che bisogna affrontare per accompagnarle e sostenerle nei meandri delle istituzioni, percepite dalle donne stesse come ostili.

RIFORMA CARTABIA

La Riforma Cartabia prevede come attenuante (all’art 62 cp) “l’avere svolto il colpevole un programma di giustizia riparativa con la vittima”. Senza specificare se la vittima possa rifiutarsi (sembra proprio di no) e se l’eventuale rifiuto venga valutato negativamente dal Giudice a danno della vittima. Il timore del Centro Renata Fonte è che si possa arrivare al punto che i Servizi sociali convochino le donne per incontri con il maltrattante per poi stilare una relazione negativa, per lei, in caso di rifiuto.

La Riforma Cartabia prevede che l’assenza della vittima all’udienza per la quale è citata, senza legittimo impedimento, equivalga a remissione tacita della querela. Molte donne intimorite potrebbero non andare in udienza, il giorno della convocazione, senza dare per tempo giustificazioni scritte all’avvocato, che si troverebbe davanti a una remissione tacita di querela non potendo giustificare per iscritto l’assenza.

La Riforma Cartabia prevede che si ha remissione tacita di querela se il colpevole svolge un percorso di giustizia riparativa a meno che la vittima non sia incapace per età o infermità o sia soggetto particolarmente vulnerabile. E come si stabilisce la vulnerabilità? Con l’art 90 quater CPP che dice testualmente: “Agli effetti delle disposizioni del presente codice, la condizione di particolare vulnerabilità della persona offesa è desunta, oltre che dall’età e dallo stato di infermità o di deficienza psichica, dal tipo di reato, dalle modalità e circostanze del fatto per cui si procede. Per la valutazione della condizione si tiene conto se il fatto risulta commesso con violenza alla persona o con odio razziale, se è riconducibile ad ambiti di criminalità organizzata o di terrorismo, anche internazionale, o di tratta degli esseri umani, se si caratterizza per finalità di discriminazione, e se la persona offesa è affettivamente, psicologicamente o economicamente dipendente dall’autore del reato”. Quindi non è sufficiente un maltrattamento se le modalità e le circostanze non sono ritenute gravi dal giudice. Sarebbe stato meglio specificare – ha indicato il Centro Renata Fonte alla Ministra – che le vittime di maltrattamenti e di lesioni in famiglia sono in automatico vulnerabili. La valutazione è troppo discrezionale e nei casi di violenza solo psicologica la donna si ritrova praticamente nelle mani del giudice, unico a poter decidere se la vittima è vulnerabile o no.

CUAV

In questo scenario possibile e molto preoccupante, agiscono i CUAV (2022), Centri di recupero per uomini violenti, già noti con il loro primo acronimo CAM (Centri Ascolto uomini Maltrattanti 2009) che consentono all’abusante, grazie alle attestazioni di professionisti della redenzione, di ottenere benefici e sconti di pena. Così il reato di violenza contro le donne resta sostanzialmente impunito. Grave la commistione tra Centri antiviolenza per donne e Centri di recupero per maltrattanti sollecitata, favorita e supportata finanziariamente da istituzioni ed enti locali.

Il Centro Antiviolenza Renata Fonte ha sottolineato alla Ministra quanto siano pericolosi gli incontri finalizzati a capire a che punto sia il percorso di redenzione del violento, a causa del corto circuito che si potrebbe creare e che, forse, si VUOLE creare: la donna che rifiuti di incontrare l’uomo che ha denunciato potrebbe essere considerata responsabile della mancata redenzione dello stesso. Potrebbe essere accusata di non essere collaborativa, di non voler giungere a una soluzione del conflitto. Quindi se poi accade l’irreparabile, se l’è cercata. Oppure il suo rifiuto, giunto sul tavolo del magistrato, potrebbe condizionare la decisione dello stesso in merito all’affidamento dei figli minori.

LEGGE 54

Il Centro ha fatto presente alla Ministra che, da quando esiste questa legge, 2006, le donne che si rivolgono al Centro, devono affrontare assieme ai figli, un percorso a ostacoli, un calvario. La legge è diventata uno strumento di controllo e di addomesticamento e le vittime di violenza in famiglia lo sanno. Ormai è opinione diffusa che è sufficiente l’accusa di PAS per perdere i figli. Vederli strappati con la forza per essere depositati in casa famiglia o ancora peggio collocati con i padri, anche recidivi per reati di violenza, e affidati al servizio sociale. Ormai una donna che denuncia o sottolinea la violenza subita nel corso di una causa civile per l’affido dei figli, sa che può passare dalla parte del torto. Sa che può essere accusata di creare LEI un conflitto e di essere una madre malevola. La PAS è una teoria sconfessata dalla sentenza 13274 del 2019 con cui la Cassazione stabiliva che l’affido esclusivo di un minore a un genitore non si può fondare solo sulla diagnosi di sindrome dell’alienazione parentale (PAS) o sindrome della ‘madre malevola’ e che dalla Suprema Corte arriva un altro verdetto destinato a fare giurisprudenza nella sconfessione di un istituto, di cui viene spesso messa in dubbio la scientificità, ma che continua a essere utilizzato, talvolta sotto altri nomi o evocato con altri giri di parole, nei Tribunali, con l’esito di allontanare i bimbi dalle loro madri.

Questa Legge ha svelato il risentimento e la rivalsa di un maschile che non riesce a fare i conti con la libertà femminile. Il Centro ha chiesto controlli e provvedimenti urgenti sulla sua applicazione e, in definitiva , sulla sua validità.

CODICE ROSSO

In ultimo il Centro, al netto dei fatti di cronaca, ha fatto presente alla Ministra che queste sono solo alcune delle normative (con relativi stanziamenti di risorse) che le istituzioni, concordi, hanno promulgato nel tempo per il contrasto alla violenza maschile sulle donne. Lo stesso Codice Rosso non fornisce un supporto agile e funzionale, anzi diventa un ulteriore inciampo. Resta il vuoto normativo relativo al diritto di visita dei minori, nel lasso di tempo che intercorre tra la denuncia sporta dalla donna e l’adozione del provvedimento da parte del Tribunale. Resta, in assenza di un provvedimento, che nella maggior parte dei casi non viene emesso tempestivamente, il diritto del padre di vedere i figli e la madre non può ostacolarlo. Resta l’invito spesso rivolto dai giudici alle parti ad accordarsi in sede di ordine di protezione. Resta la confusione, non casuale, tra conflitto e violenza. Resta la mancata comunicazione – sebbene espressamente prevista dall’art. 14 L. 69/2019 – tra Procure e Tribunale ordinario (non solo tra Procure, ordinaria e minorile), quando pendono giudizi collegati.

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  1. In data 15 gennaio 2024 Avvocato360 organizza un webinar gratuito dal titolo “Violenza di genere: riforma Roccella e novità sul Codice Rosso”, avente quali relatori l’Avv. Federica Liparoti e il Dott. Luca Bonzanni.

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