Taranto, “Ambiente svenduto”: le motivazioni della sentenza

Erano attese da 18 mesi le motivazioni della sentenza del processo ‘Ambiente svenduto’ del 31 maggio 2021 che ha portato alla condanna in primo grado di 26 imputati tra dirigenti dell’ex Ilva, funzionari della pubblica amministrazione ed esponenti politici. Tutti, a vario titolo, colpevoli di aver provocato disastro ambientale, avvelenamento di sostanze alimentari e di aver esposto lavoratori e abitanti ai fumi tossici e mortali emessi dallo stabilimento siderurgico.

di Daniela Spera

‘Il delitto di disastro non è un reato di danno ma un reato di pericolo (…) con la conseguenza che perché il reato possa dirsi perfezionato è sufficiente che si crei un pericolo per la pubblica incolumità.’ È quanto si legge nel capitolo II- ‘Il disastro’- della corposa documentazione depositata lo scorso 29 novembre.

Ma è solo uno dei concetti chiave esplicitati dalla Corte d’Assise di Taranto. In quasi 3700 pagine vengono spiegate le ragioni delle condanne a partire dalle prime denunce fino ad arrivare alle condotte palesemente criminali di quanti, a vario titolo, si sono resi responsabili di un imponente disastro ambientale che ha interessato diverse aree limitrofe alla zona industriale.

Centrale è la mancata applicazione della normativa ambientale, elusa da un’AIA (Autorizzazione Integrata Ambientale) cucita su misura, che faceva sì che la “legalità” di ILVA fosse solo apparente in un contesto di gestione del tutto “abusiva”.

E ancora si legge, facendo riferimento ai risultati della perizia chimico-ambientale scaturita dopo l’incidente probatorio: ‘Proprio le numerose e varie … emissioni non convogliate che si originano dai diversi impianti dello stabilimento Ilva… in particolare le polveri, rilasciate con le emissioni non convogliate (diffuse- fuggitive), derivanti dall’esercizio degli impianti dello stabilimento e delle attività connesse, stimate da Ilva, dopo gli interventi di adeguamento… la quantità di polveri che fuoriesce dall’acciaieria determinata dal cosiddetto fenomeno di slopping... oltre che la presenza significativa di sostanze pericolose e metalli nelle emissioni diffuse incontrollate dalle attività produttive (…) hanno condotto i periti a rispondere negativamente ad un altro quesito posto loro dal GIP, ovvero se all’interno dello stabilimento ILVA di Taranto siano osservate tutte le misure idonee ad evitare la dispersione incontrollata di fumi e polveri nocive alla salute dei lavoratori e di terzi.’

Nella relazione, la Corte d’Assise, presieduta dalla dott.ssa Stefania D’Errico, raccoglie le testimonianze più significative, per molti aspetti drammatiche e decisive. Riporta dichiarazioni di consulenti di parte, medici, e testimoni che aiutano a rendere ancora più chiara la logica delle motivazioni.

Capitolo per capitolo si passano in rassegna gli eventi e i reati: l’avvelenamento, il disastro, i fiduciari, gli omicidi colposi, il trattamento sanzionatorio, la confisca, i reati contro la pubblica amministrazione, i favoreggiamenti e l’associazione a delinquere ‘articolata con divisione di posizioni e competenze, in parte coincidente con il gruppo familiare ed in parte con la struttura aziendale, protesa ad una gestione dello stabilimento improntato al dispregio delle regole’.

Certo, si dovranno attendere gli altri gradi di giudizio (Appello e Cassazione) prima di mettere la parola fine a questa complessa vicenda giudiziaria. Intanto, proveremo a raccontarla, così, com’è stata già scritta, ripercorrendo le pagine di questo importante documento.

L’intera documentazione ci è stata fornita, in uno spirito di collaborazione, dal Corriere di Taranto.

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