Funzione giudiziaria in vendita: la storia dell’ex procuratore di Taranto Capristo, tra favori, intrecci e complotti

I pubblici ministeri di Potenza chiedevano i domiciliari per l’ex magistrato, già arrestato a maggio 2020 e poi rimesso in libertà, per tentata concussione dopo la denuncia della pm Silvia Curione: il gip ha disposto l’obbligo di dimora. E’ accusato di corruzione in atti giudiziari: atteggiamento aperto e favorevole verso Ilva anche dopo 2 incidenti mortali e tentativo di patteggiamento nel processo Ambiente svenduto sul disastro ambientale. In carcere l’avvocato siciliano Piero Amara, ritenuto autore degli esposti anonimi contro l’ad De Scalzi, e il poliziotto Filippo Paradiso che millantava di essere della segreteria particolare di Salvini. Ai domiciliari il legale Giacomo Ragno e per il consulente Nicola Nicoletti, esterno alla struttura commissariale dell’Ilva

Di Stefania De Cristofaro

POTENZA – Giustizia in vendita. In 300 pagine il gip del tribunale di Potenza ha descritto il ruolo e le conoscenze dell’ex capo della procura di Taranto e prima ancora di Trani, Carlo Maria Capristo, per arrivare alla conclusione che l’ex magistrato ha sporcato la propria funzione, mettendola sul mercato in cambio di una serie di favori. Un mercimonio ad ampio raggio, per il denaro e il potere, per restare a capo di una procura.

L’ACCUSA: CORRUZIONE IN ATTI GIUDIZIARI PER CAPISTRO

Corruzione in atti giudiziari è l’accusa mossa nei confronti di Capristo, per il quale è stato disposto l’obbligo di dimora nella città di residenza, Bari. E’ attorno a Capristo che ruota l’ultima inchiesta della procura di Potenza che ha svelato il tentativo dell’ex magistrato di aggiustare le indagini su due incidenti mortali avvenuti nell’ex Ilva di Taranto e di arrivare al patteggiamento nel processo Ambiente svenduto sul disastro ambientale provocato dalla gestione del sito, nel periodo in cui la proprietà era della famiglia Riva, e accertato con sentenza lo scorso 31 maggio dalla Corte d’Assise di Taranto. C’è stato persino il tentativo di sostenere un complotto ai danni dell’Eni, per ottenere la sostituzione dell’amministratore delegato De Scalzi. Ma no, non è ancora finita. Lo scrive il giudice per le indagini preliminari, Antonello Amodeo.

GLI INDAGATI E LE MISURE CAUTELARI: PER CAPISTRO PROCURA CHIEDEVA I DOMICILIARI

Al momento gli indagati sono dieci, oltre a Capistro. La procura di Potenza aveva chiesto gli arresti domiciliari: per il gip le dimissioni dall’ordine giudiziario impediscono che l’ex magistrato possa avere contatti diretti con persone che ricoprono funzioni o qualifiche in strutture di vertice e che possa agire tentando di inquinare le prove del filone d’indagine.

In carcere sono finiti l’avvocato Piero Amara, siciliano, già consulente Eni, ritenuto autore degli esposti anonimi contro De Scalzi, ritenuti meritevoli di attenzione da parte di Capistro, diventato anche consulente Ilva e il poliziotto Filippo Paradiso che millantava di essere componente della segreteria particolare di Matteo Salvini (il quale, ovviamente non c’entra niente nell’inchiesta). Ai domiciliari l’avvocato di Trani, Giacomo Ragno, amico personale di Capristo, la cui presenza negli uffici della procura tranese all’epoca era definita ingombrante dai pm, e Nicola Nicoletti, socio della Pwc e consulente esterno della struttura commissariale dell’Ilva.

Tra gli indagati a piede libero, l’ex pm Antonio Savasta e l’ex gip Michele Nardi, già coinvolti nell’inchiesta sistema Trani, arrivata a processo con le prime condanne.

Le misure cautelari sono state seguite dal Nucleo di polizia economico-finanziario di Potenza, dal Gico di Roma, dalla tenenza di Molfetta e dalla Squadra Mobile di Potenza.

L’INIZIO DELLE INDAGINI: LA DENUNCIA DELLA PM SILVIA CURIONE

L’inchiesta di Potenza nasce come appendice di quella scaturita dalla denuncia della pm di Trani Silvia Curione nei confronti di Capristo. Denuncia che portato a maggio 2020 all’arresto dell’ex capo dei magistrati per tentata concussione ai danni della magistrata e al processo pendente a Potenza. Se Capristo ad agosto 2020 è tornato in libertà e subito dopo è diventato imputato, a seguire, ha assunto nuovamente lo status di indagato finendo nuovamente sotto la lente di ingrandimento della procura di Potenza.

E’ da qui che le maglie si sono allargate ed è apparsa in primis la figura di Ragno. Dalle dichiarazione dei redditi è emerso un incremento dal 2017, dopo la nomina di Capristo a Taranto, riconducibile a parcelle per incarichi dall’Ilva. E indagando sull’acciaieria e sull’inchiesta da cui è scaturito il processo Ambiente svenduto, arrivato a sentenza con condanne per disastro ambientale, sono venuti a galla Amara e Paradiso, quest’ultimo mediatore tra Capristo e l’avvocato siciliano.

PER AMARA E PARADISO IMPUTATI PER TRAFFICO DI INFLUENZE ILLECITE. L’AVVOCATO USAVA CRITTOGRAFIA MILITARE

Per Amara e Paradiso, di recente, c’è stata richiesta di rinvio a giudizio da parte della procura di Roma per traffico di influenze illecite: denaro da Amara a Paradiso come prezzo della mediazione con pubblici ufficiali in servizio in ambienti istituzionali, come il Csm.

Amara, stando a quanto si apprende dalla lettura dell’ordinanza, usava un sistema di messaggi con algoritmi militari, sintomatico per il gip di lobbing.

IL GIP: ASSERVIMENTO DUREVOLE FUNZIONE GIUDIZIARIA DA CAPRISTO

Secondo l’accusa, c’è stato un “asservimento durevole della funzione giudiziaria da parte di Capristo” per ottenere in cambio “un sostegno alle sue aspirazioni di carriera” e “benefici materiali”.

In particolare, Capristo “vendeva stabilmente ad Amara e Nicoletti la propria funzione sia presso la procura di Trani che presso quella di Taranto.

Paradiso, nella ricostruzione dell’accusa, ha svolto il ruolo di intermediario presso Capristo, “per conto e nell’interesse di Amara”. Capristo ha ottenuto “in cambio l’utilità costituita dal costante interessamento di Amara e Paradiso, il secondo stabilmente remunerato dal primo, per gli sviluppi della sua carriera”, dal momento che cessava definitivamente dal suo incarico di procuratore di Trani nel 2016 e  sarebbe rimasto privo di incarichi direttivi.

L’INTERESSAMENTO PER LA CARRIERA DI CAPRISTO: CONTATTI CON ALCUNI COMPONENTI DEL CSM

In che modo la coppia Amara-Paradiso si interessa alla carriera di Capristo? L’interessamento “consisteva in una obbligazione di mezzi e non di risultato verso Capristo” e si manifestava “in una incessante attività di raccomandazione, persuasione e sollecitazione svolta, in favore di Capristo, dai corruttori su componenti del Consiglio superiore della magistratura, da loro conosciuti direttamente o indirettamente e su soggetti ritenuti in grado di influire su questi ultimi, in occasione della pubblicazione di posti direttivi vacanti d’interesse di Capristo”. Fra questi, la procura generale di Firenze e quella di Taranto. 

IL CASO DEL COMPLOTTO ENI E L’ACCREDITAMENTO DELL’AVVOCATO AMARA

In veste di procuratore della repubblica di Trani accreditava presso l’Eni, l’avvocato Pietro Amara, quale legale intraneo agli ambienti giudiziari tranesi in grado di interloquire direttamente con i vertici della procura.

Stando a quanto ricostruito dalla procura di Potenza, c’è stata una “palese strumentalità di esposti anonimi, redatti dall’avvocato Pietro Amara, per accreditarsi presso i vertici Eni”. Esposti “nei quali veniva prospettata la fantasiosa esistenza di un pretesto e, in realtà, inesistente progetto criminoso concepito a Barletta affinché il fatto fosse di competenza della procura di Trani, che mirava a destabilizzare i vertici dell’Eni”.

La finalità? La risposta dell’accusa è la seguente: “sostituzione dell’amministratore delegato De Scalzi che, in quel momento, era indagato a Milano per corruzione”. Con le “delazioni si intendeva far apparire De Scalzi come vittima di un complotto ordito da soggetti che avevano rilasciato presso la procura di Milano, dichiarazioni indiziati a suo carico”.

Il primo degli esposti arriva alla procura di Trani e tale circostanza è stata definita “sospetta e apparentemente inspiegabile” perché “recapitato a mano, pur essendo anonimo, direttamente all’ufficio ricezione atti, senza che risultasse chi lo avesse consegnato, ricevuto e protocollato”.

Capristo dispone indagini “inconsuete, se non illegittime”, sostiene l’accusa. E sollecita i colleghi a svolgere approfondimenti investigativi “funzionali agli interessi di Piero Amara, che aveva inviato gli esposti e aveva la necessità di rafforzare e vestire la tesi del complotto contro l’amministratore delegato di Eni, De Scalzi”.

La procura di Potenza, inoltre, ha evidenziato una “interlocuzione impropria e anomala” tra Capristo e Amara sulle vicende oggetto degli esposti anonimi: “In primo luogo, nessun indagato o parte offesa aveva nominato Amara come legale. In secondo luogo, i procedimenti erano segretati e anche le stesse notizie di stampa sull’esistenza di indagini a Trani sul cosiddetto complotto Eni, erano del tutto inconferenti, se non sospette, e comunque non idonee a legittimare una interlocuzione tra un avvocato neppure nominato formalmente e il procuratore della repubblica di Trani”.

In tal modo, per l’accusa, si consentiva ad Amara di proporsi e mettersi in luce presso Eni come punto di riferimento e tramite presso l’autorità giudiziaria e allo stesso tempo come legale meritevole di altri incarichi.

Capristo, inoltre, “per compiacere le richieste di Amara”, dopo intese con “il sostituto procuratore della repubblica di Siracusa, Giancarlo Longo, la trasmissione dei procedimenti per motivi di competenza territoriale”. Tutto questo “nonostante la polizia giudiziaria delegata avesse rappresentato non solo l’infondatezza degli esposti anonimi, ma la connessione con indagini preliminari condotte nei confronti di De Scalzi dalla procura di Milano”.

Longo sarebbe stato corrotto – sostiene la procura di Potenza – affinché seguisse le indicazioni di Amara nella conduzione di un’indagine analoga sul complotto ai danni di De Scalzi. 

L’APPROCCIO DI CAPRISTO VERSO L’ACCIAIERIA E LA PROPOSTA DI PATTEGGIAMENTO

“Capristo mostrava apertamente di essere sia amico che estimatore dell’avvocato Amara e di Nicoletti e si rendeva promotore di un approccio dell’ufficio certamente più aperto, dialogante e favorevole alle esigenze dell’Ilva in amministrazione straordinaria”, allo scopo di agevolare la loro ascesa professionale. 

L’approccio più aperto avrebbe rafforzato nell’Amministrazione straordinaria di Ilva e soprattutto in Enrico Laghi, il convincimento che Amara e Nicoletti potessero interloquire con la procura di Taranto, in maniera più agevole. “Amara nelle vesti di legale” e “Nicoletti come consulente factotum“.

All’azienda, Capristo garantiva una gestione complessivamente favorevole di numerosi procedimenti e indagini in cui era coinvolta Ilva in As, sia come persona giuridica che in persona dei suoi dirigenti, anche attraverso il conferimento di incarichi, grazie alla collaborazione di Nicola Nicoletti, consulente esterno della struttura commissariale dell’Ilva.

Nell’ordinanza il gip fa riferimento a un’ulteriore condotta di Capristo che per l’accusa ha “assecondato e portato a conclusione trattative per arrivare a un patteggiamento nel processo Ambiente svenduto” sull’ex Ilva di Taranto. Patteggiamento rigettato dall’organo giudicante dopo essere stato avanzato da Ilva in As. La chiusura in tal modo del processo, aveva “valore strategico, non solo a livello processuale, ma anche ai fini dello sviluppo economico e produttivo dell’azienda”.

LE INDAGINI SU DUE INCIDENTI MORTALI AVVENUTI NELLO STABILIMENTO DI TARANTO

Sono state ripercorse, inoltre, anche le tappe di due indagini per incidenti mortali sul lavoro avvenuti nell’ex Ilva di Taranto. In un filone, Capristo ha “sollecitato il pm titolare a concedere la facoltà d’uso dell’Afo 2, nonostante l’accertata inadempienza da parte dell’Ilva rispetto alle prescrizioni”. Capristo, inoltre, “concordava con Nicola Nicoletti affinché l’operatore sul campo di colata fosse indotto a confessare la sua esclusiva responsabilità”, in modo tale da escludere “qualsivoglia coinvolgimento dell’azienda e della dirigenza”. Nicoletti, a sua volta, avrebbe fatto pressioni su uno degli avvocati dell’ufficio legale Ilva.

Capristo, sempre stando a quanto contestato, ha “richiesto al pm titolare di valutare favorevolmente la posizione di un ingegnere, difeso dall’avvocato Giacomo Ragno, suo amico, suggerendone lo stralcio e la definizione con richiesta di archiviazione”. Impostazione a cui il pm non aderiva.

L’ex procuratore capo di Taranto, “approfittando del periodo di ferie del pm titolare, ha indotto il sostituto a esprimere parere favorevole rispetto alla facoltà d’uso dell’impianto”.

Quanto all’altro incidente mortale nello stabilimento, Amara viene nominato difensore di fiducia dell’Ilva in As e secondo l’accusa Capristo riceve indicazioni dal legale per la nomina di un consulente tecnico per lo svolgimento del sopralluogo. L’inchiesta ha accertato che il consulente partiva da Torino per arrivare a Taranto con un volo pagato da Amara, tramite un prestanome. Anche in questa occasione, Capristo ha sollecitato i suoi sostituti al dissequestro dell’Afo 4 che avveniva in 48 ore, sulla base dell’impostazione difensiva dell’Ilva basata sulla insuperabile necessità di alimentare, per mezzo dei macchinari coinvolti nel sinistro, l’altoforno e quindi impedire sbalzi di temperatura che lo avrebbero danneggiato. Per la procura di Potenza questa impostazione era infondata perché la temperatura interna all’altoforno doveva essere mantenuta anche attraverso altri e più costosi sistemi. 

Non è tutto.

I RAPPORTI DI CAPRISTO CON LA STAMPA E GLI INCIDENTI LASCIATI INTENDERE COME SABOTAGGI

Sotto lo zoom della procura di Potenza, anche i rapporti tra Capristo e i giornalisti: venivano gestisti in modo da far intendere, sia pure implicitamente, che Ilva in As ovvero i suoi dirigenti, potessero essere stati vittime di attività di sabotaggio in loro danno.

Si fa riferimento all’atteggiamento di Capristo dopo un incidente mortale avvenuto all’interno dello stabilimento di Taranto nel 2016. “Abusando del suo potere -si legge nel provvedimento – insinuava in alcuni giornalisti il dubbio del sabotaggio e nella conferenza stampa tenuta poche ore dopo il dissequestro dell’impianto Afo 4, il 19 settembre 2016, lasciava intendere che non si trascurava l’ipotesi investigativa secondo cui, il sezionamento del nastro trasportatore potesse essere riconducibile a forze, interne ed esterne all’Ilva, che remavano contro il risanamento ambientale”.

Si faceva garante, inoltre, di “politiche di risanamento ambientale poste in essere da Ilva in As e quindi dai commissari straordinari, manifestando pubblicamente in più occasioni, che la sua procura aveva a cuore il risanamento ambientale dello stabilimento Ilva di Taranto e che, a questo fine, era necessario lo sforzo sinergico dell’autorità giudiziaria e dell’amministrazione straordinaria”. 

LA CONCLUSIONE DEL GIP SULLA FIGURA DI CAPRISTO: INDOLE A FINI ECONOMICI E POTERE

Dopo aver ripercorso le tappe delle indagini, il gip arriva a tratteggiare il ritratto finale di Capristo e scrive: “Indole volta al perseguimento di fini economici e di potere, sia propri che del gruppo di appartenenza, con abile capacità organizzativa e manipolativa”.

Per il gip i fatti sono gravi e si riferiscono a un arco temporale particolarmente esteso, da cui è ricavabile la non desistenza e il pericolo concreto di recidiva”. 

La procura di Potenza, nella richiesta di misure, ha evidenziato la “spregiudicatezza”, la “cerchia di persone di fiducia su cui poteva contare Capristo”, le “qualifiche soggettive di cui hanno abusato” e la capacità di “influenzare l’esercizio dei pubblici poteri anche al di fuori dello stretto ufficio di appartenenza.

Con riferimento alla posizione di Paradiso, la qualifica soggettiva è stata definita dalla procura di Potenza  “addirittura millantante” perché in alcuni casi, si sarebbe presentato come “il prefetto Paradiso”. In una circostanza, riferì a un colonnello incontrato al Viminale di essere “addetto alla segreteria particolare del ministro Salvini” e che potevano “darsi del tu” precisando che “era molto amico di Capristo e che Capristo assieme a lui, aveva pensato” che il colonnello potesse fare “l’addetto alla sicurezza presso l’Ilva”.

Paradiso, inoltre, sarebbe stato in grado di incontrare persone “componenti all’epoca dei fatti, del Csm” e alcuni onorevoli. 

I RAPPORTI TRA FILIPPO PARADISO E LUCA PALAMARA, ALL’EPOCA CONSIGLIERE DEL CSM

Il poliziotto Filippo Paradiso aveva rapporti anche con il magistrato Luca Palamara, all’epoca consigliere del Csm. Emerge che la procura di Perugia trasmetteva a Potenza i dati estratti dal telefono iPhone di Palamara. “Paradiso il 30 ottobre 2017 inviava a Palamara, attraverso il servizio WhatsApp, un messaggio in cui chiedeva all’interlocutore il suo indirizzo completo di Cap”. “Palamara – è scritto – il 28 agosto 2018 inviava a Paradiso un file che da report risulta vuoto, ma vi è la successiva conferma di lettura da parte di Paradiso.

IL SISTEMA DI CRITTOGRAFIA MILITARE USATO DALL’AVVOCATO PIERO AMARA

Quanto a Piero Amara, avrebbe usato un sistema di cripto-messaggistica denominato Wickr basato su algoritmi di crittografia militare. E’ quanto emerge dall’ordinanza di custodia cautelare firmata dal gip del tribunale di Potenza nella parte in cui si fa rinvio all’informativa della Guardia di Finanza di Roma, per descrivere come Amara avesse fidelizzato i soggetti che con lui avevano stretti rapporti.

Il sistema rende segrete le chat e tra le sue funzioni, c’è anche quella di impostare la durata dei messaggi: tra un secondo e 24 ore. Dopo queste periodo – stando quanto si legge nel provvedimento – i messaggi svaniscono nel nulla.

Scrive il gip: “Essere parte, unitamente a un ristretto numero di soggetti, di un giro che usa Wickr per scambiarsi messaggi riservati, è circostanza che permettere di connotare le attività di lobbing e traffico di influenze tra Amara e Filippo Paradiso”.

IL SEQUESTRO PREVENTIVO DI 287MILA EURO DISPOSTO DAL GIP

Il gip ha disposto, infine, il sequestro preventivo di 278mila euro nei confronti dell’avvocato Giacomo Ragno, pari all’importo delle parcelle professionali pagate da Ilva in amministrazione straordinaria in suo favore a seguito di incarichi professionali che Ragno otteneva, nei procedimenti a carico di dirigenti della società pendenti davanti all’Autorità giudiziaria di Taranto nel contesto del patto corruttivo. Le somme sono state ritenute provento del delitto di corruzione in atti giudiziari e del delitto di concussione per 5mila euro.

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