Aggressione Mazzola, condannata Laera: riconosciuto il metodo mafioso

Bari, un anno e 4 mesi alla boss del quartiere Libertà. Riconosciuto il danno alle parti civili. Cafiero De Raho: “Un protocollo per proteggere i giornalisti in maniera preventiva, nel corso delle loro inchieste”. Verna: “Serve aggravante per chi cerca di impedire l’esercizio dell’informazione”

di Marilù Mastrogiovanni

Monica Laera, boss del quartiere Libertà di Bari è stata condannata in primo grado, dal gup del Tribunale del capoluogo pugliese Giovanni Anglana, ad un anno e 4 mesi di reclusione (sconto di pena dovuto a seguito del rito abbreviato) per l’aggressione e le minacce di morte nei confronti di Maria Grazia Mazzola, inviata del Tg1. E’ stato riconosciuto il metodo mafioso come strumento di controllo del territorio e intimidazione nei confronti della giornalista.

Riconosciuto il danno, da quantificarsi, alle parti civili: oltre alla stessa giornalista, l’Ordine nazionale dei giornalisti, Federazione della stampa italiana, Associazione Stampa romana, Comune di Bari, Rai, Libera.

Il presidente dell’Ordine nazionale dei giornalisti Carlo Verna ha dichiarato:

“L’aggressione a Maria Grazia Mazzola è stato un attacco alla libertà d’informazione, alla più importante testata giornalistica del servizio pubblico. Con questa sentenza è stata affermato il diritto alla libertà di stampa anche nel quartiere Libertà. Noi abbiamo portato la nostra solidarietà ma il coraggio è stato di Maria Grazia Mazzola che non solo è andata a fare domande su un territorio presidiato dalla mafia, ma ha anche saputo creare un’alleanza per la legalità, con don Ciotti, le associazioni della città, dando un contributo ad un progetto di giustizia sociale.

Oggi la partita della libertà d’informazione si gioca su due tipologie di fenomeni in crescita: le minacce on line e le querele temerarie. Ci auguriamo che il disegno di legge contro le querele temerarie del collega e senatore Primo Di Nicola sia presto approvato.

Ma voglio avanzare un’altra proposta: ci deve essere un’aggravante nel caso si cerchi di impedire l’esercizio di una funzione professionale dalla forte valenza sociale e civile, come la professione giornalistica. Da oggi ci auguriamo che i cronisti di periferia grazie al coraggio di Maria Grazia Mazzola si sentano più forti”.

Il procuratore nazionale antimafia Cafiero De Raho, nel corso alla conferenza stampa ha proposto di adottare un protocollo, sul modello di quello già adottato quando era capo della procura di Reggio Calabria, per fare in modo che un giornalista, quando si rechi per un’inchiesta giornalistica in un quartiere dove può essere esposto ad un rischio di reazione violenta, sia protetto dalle forze dell’ordine, da lontano, mimetizzate, senza disturbare il suo lavoro. “E’ necessario – ha affermato – intervenire in modo preventivo anche aiutando il giornalista a svolgere il suo lavoro. Anche perché non sono tante le inchieste che necessitano di questo tipo di protezione: sono tali da poter essere gestite da un questore o un comandante provinciale dei Carabinieri e della Finanza. Si dovrebbero concordare protocolli di questo tipo”.

Un controllo del territorio che invece il 9 febbraio di tre anni fa, in via Petrelli, quartiere Libertà, era esercitato dal clan Strisciuglio.

L’aggressione della giornalista ne fu una manifestazione simbolica, del tipo “colpirne uno per educarne 100”, come ha scritto l’avvocata della Rai Caterina Malavenda nella sua memoria.

Monica Laera uscì per strada dirigendosi verso la giornalista, aggredendola con un pugno e minacciandola di morte: “Non tornare più qui sennò ti uccido”.

Frase proferita a favore delle telecamere del principale Tg della Rai, servizio pubblico.

Una dimostrazione di forza per dire “qui ci siamo noi”.

Invece, ha detto Antonio Feroleto, avvocato di Stampa romana, “il diritto all’informazione è un diritto sacrosanto”.

Questa sentenza ristabilisce il diritto di andare sui territori a fare domande, la conferma dell’aggravante del metodo mafioso dà voce all’esercizio del diritto di poter fare informazione e fare le domande scomode in posti scomodi, perché è quello che deve fare la vera informazione.

Don Luigi Ciotti ha ricordato il lavoro portato avanti dalla parrocchia dei Salesiani, da don Francesco Prete, l’importanza della legalità non come parola vuota ma come strumento per arrivare alla giustizia sociale.

Leonardo Metalli, del Cdr Tg1, ha espresso la solidarietà da parte dei 160 giornalisti della testata giornalistica, ribadendo la necessità di sentirsi una comunità unita e forte di fronte a episodi di questo tipo.

Maria Grazia Mazzola ha sottolineato il rischio che la boss Laera rimanga impunita, perché dopo oltre tre anni si è ancora al primo grado di giudizio: “Mi auguro che la boss Laera sconti la pena di un anno e 4 mesi e mi auguro che ci siano pattuglie di giorno e di notte nel quartiere Libertà perché i Salesiani, con don Francesco, sono degli eroi. Sono circondati nel raggio di 200 metri dal clan Laera, ma vanno avanti, così come tutti i volontari che lavorano per dare un’alternativa a dei ragazzi, eroici anche loro, che vogliono frequentare le scuole professionali. Se aver avuto la mandibola rotta può essere stato utile per accendere un faro sulla situazione delle mafie a Bari, ne è valsa la pena”.

Il comunicato di Stampa Romana

Il giudice ristabilisce la verità. Dopo tre anni all’aggressione mafiosa subita da Maria Grazia Mazzola inviata speciale del TG1, il giudice ha condannato a 1 anno e 4 mesi di reclusione Monica Laera esponente del clan Strisciuglio di Bari, per i reati di lesioni e minacce in continuità aggravate dal metodo mafioso.

Il 9 febbraio 2018 Maria Grazia Mazzola nell’ambito di un’inchiesta per l’approfondimento della testata, poneva domande per strada sul suolo pubblico, sul figlio dei due boss Monica Laera condannata già in Cassazione per 416 bis e Lorenzo Caldarola in carcere condannato per lo stesso reato.

Riconosciute dal giudice anche le richieste di parte civile tra cui Stampa Romana, Ordine Nazionale dei Giornalisti, Fnsi, Libera e Comune di Bari.

Non è accettabile che una cronista venga aggredita per strada e subisca lesioni permanenti, con minacce di morte. E la libera informazione non può subire ostacoli ne’ ci sono zone del paese off limits.

Questa decisione rilancia anche il tema di ottenere maggiori tutele normative per i cronisti.

Il comunicato di FNSI

Anche in questa occasione, come sempre, la Federazione nazionale della Stampa italiana – anche a nome dell’Usigrai – era parte civile. Il sindacato dei giornalisti, rappresentato in giudizio dall’avvocato Roberto Eustachio Sisto, si era mobilitato con l’Usigrai già all’indomani dell’aggressione, promuovendo una manifestazione pubblica nel quartiere Libertà di Bari, dov’era avvenuto il fatto.

«Continueremo ad assicurare senza sosta la nostra presenza al fianco di tutte le croniste e i cronisti minacciati, a tutela della loro sicurezza e del diritto dei cittadini a essere informati. Non ci possono essere temi o territori oscurati per le intimidazioni delle organizzazioni criminali», affermano Fnsi e Usigrai.

Per l’avvocato Roberto Eustachio Sisto, «la condanna con l’aggravante mafiosa costituisce il riconoscimento che nel nostro Paese l’informazione e la giustizia sono più forti di qualsiasi tentativo di intimidazione, fisica e non. Anche il riconoscimento del risarcimento dei danni nei confronti della Fnsi legittima ancora una volta l’operato del sindacato».

Il comunicato del sindaco Antonio De Caro

Soddisfatto il sindaco Decaro, per il quale la condanna «riconosce la brutalità dell’aggressione subita da Maria Grazia Mazzola mentre svolgeva il suo lavoro. Il Comune, nel costituirsi parte civile con gli avvocati civici Biancalaura Capruzzi e Camilla Caporusso nel processo ai danni di Monica Laera, ha voluto sin da subito condannare con fermezza quest’atto violento chiaramente riconducibile a logiche di supremazia e controllo del territorio proprie dei clan criminali. L’informazione, il diritto alla cronaca e il lavoro di denuncia nella nostra città – conclude – sono un diritto sacrosanto da difendere in tutte le circostanze».

 

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