Pesach

di Barbara Toma

Mentre mi parla mi guarda dritto negli occhi, ha un volto dolce, naturalmente dotato di un espressione simpatica, un po’ bambina, ma in un attimo può trasformarsi in una donna estremamente sensuale.

E’ la prima volta che lavoro con lei, era bastato vederla a lezione per sapere che ci saremmo trovate bene, certe cose si sentono a pelle.

Dopo tanti anni torno a produrre uno spettacolo tutto mio. Non che ci siano date in vista, con i teatri sempre e ancora chiusi, ma per ripartire con qualcosa di concreto.

Ho scelto Erika per la mia rinascita.

La prima volta che ci siamo incontrate è stato 5 anni fa. Avevo appena finito un incontro con il laboratorio di creazione coreografica (lavoravo con più di 30 persone, tutti insieme in una sala davvero piccola, incredibile a pensarci adesso…), Erika venne da me e si presentò, mi disse che era una danzatrice, che aveva studiato in Belgio e che era qui di passaggio. Aveva sentito parlare di me e voleva conoscermi.

Da quando vivo qui, incontri del genere rappresentano una vera e propria boccata d’aria. E’ molto difficile che una giovane danzatrice contemporanea viva a Lecce, perché mai dovrebbe? Qui ci capitano di passaggio e, ogni volta, per me è un piacere.

In questa città i professionisti della danza contemporanea si contano sulle dita di una mano. Facile riconoscersi e trovarsi. Alle mie lezioni ogni tanto ne capita qualcuno, sempre di passaggio, come lei.

Al ritorno da uno dei suoi viaggi mi ha raccontato di essere stata in India per seguire una formazione di yoga. Un’altra cosa che ci accomuna.

Abbiamo entrambe studiato nel Nord Europa, ci sentiamo entrambe un po’ estranee in casa e, a quanto pare, abbiamo entrambe fatto dei nuovi inizi e delle rinascite la nostra specialità. Solo che Erika è molto più giovane di me, ha quell’età in cui hai ancora tutta la forza e la vitalità di una giovane danzatrice, ma anche tanta maturità e vita da raccontare, che bellezza.

Mi racconta dell’operazione subita alla rotula del ginocchio e i suoi grandi occhi da cerbiatta si riempiono di lacrime che iniziano a rigarle il volto.

Un’operazione molto invasiva che le è costato un pezzo di corpo. Con tutto ciò che comporta: l’impossibilità di allenarsi e di fare il proprio lavoro, i lunghi mesi di riabilitazione e, adesso, il dolore di doversi accettare diversa. Guarita, certo, ma diversa.

Ha la voce spezzata, è un po’ in imbarazzo, ma ciò che racconta risuona in me come qualcosa di estremamente riconoscibile.

Continua a scusarsi, ma non dovrebbe. Non c’è nulla di più serio di ciò che mi sta confidando.

Riuscire ad accettare un ‘nuovo corpo dopo un’operazione non è mai facile.

Ma quando hai fatto del tuo corpo il tuo strumento di lavoro, e la tua vita dipende dal suo funzionamento, allora riuscire ad accettare i suoi nuovi limiti, ammettere a te stessa che non funziona più come prima, è davvero doloroso.

E io la capisco.

Anch’io non sono più quella di una volta. Non lo sono fisicamente, per via dell’età che avanza, ma in generale.

Il ginocchio di Erika ha affrontato una battaglia e ora è un ‘ferito di guerra’. Dovremmo trattarlo con più rispetto, dovremmo rendergli onore per il lavoro svolto. Invece ci si accanisce per farlo funzionare come prima, odiandolo per non essere più lo stesso.

Ecco. Io a volte mi sento proprio così. Come il suo ginocchio.

Ho vinto battaglie difficili e superato prove importanti, sono stata capace di guarire le mie ferite di guerra da sola, ma non avevo messo in conto quelle permanenti.

Non sono più intera. La mia ultima guerra mi ha lasciato invalida.

Ma senza onori e senza medaglie.

Me ne accorgo nelle piccole cose, nei dettagli. Per esempio: posso attraversare grandi dolori, ma non riesco a reggere il peso di un commento troppo duro, di una parola pesante, di uno screzio.

Ciò che prima mi lasciava indifferente oggi mi ferisce e il giudizio altrui mi affatica da morire.

Ci sono ferite visibili e ferite invisibili, entrambe possono lasciare danni permanenti.

Erika è tornata a danzare, ma è impossibile per noi vedere ciò che lei prova muovendo il ginocchio a cui hanno tolto un pezzo. Impossibile capire il male che può procurarle una correzione severa da parte di un coreografo ignaro del suo problema.

Quanti di noi si portano dietro cicatrici invisibili? Quanti di noi hanno riportato danni permanenti, ma invisibili?

Veniamo tutti costantemente giudicati, ma raramente ci viene chiesto come siamo arrivati qui.

Se penso ad un nuovo mondo, diverso e migliore di quello attuale, lo immagino privo di giudizio.

Toglierci il peso del giudizio risolverebbe molti dei nostri problemi.

E’ di nuovo Pasqua, dall’aramaico pasah, passare oltre , “passaggio”.

Per i cristiani è la festa del passaggio dalla morte alla vita di Gesù Cristo. La rinascita.

Per gli ebrei, che hanno dato origine alla Pasqua, Pesach è la celebrazione annuale della liberazione dalla schiavitù (ricorda il passaggio degli ebrei attraverso il mar Rosso, dalla schiavitù d’Egitto alla liberazione).

Vi auguro di poter rinascere fieri delle vostre ferite e liberi dal giudizio, vostro e altrui.

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One Thought to “Pesach”

  1. ned

    il giudizio crudele va evitato, ogni giudizio specie se non richiesto va evitato

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