Bari, guerra tra clan mafiosi e omertà: è “alta tensione”

DOSSIER/1 “Alta tensione”, l’ultima inchiesta della Dda del capoluogo regionale ricostruisce l’omicidio avvenuto la sera del 14 gennaio 2018, anche grazie alla recente collaborazione di Filippo Cucumazzo: ha ammesso di aver sparato e ucciso Fabrizio Andolfi perché era passato dagli Anemolo ai Capriati. Per il gip la sua “resa delle armi” è autentica: già trasferito ai domiciliari in una località protetta. Ruolo di mandanti contestato a Vincenzo Anemolo, ritenuto boss della zona, e Francesco Cascella

 

BARI – “Se non ammazzi, non sei boss. Quella è una guerra, è la legge della malavita”. Lo dicevano al telefono, subito dopo l’omicidio di un 33enne, freddato mentre era a casa della nonna e stava rifacendo il letto. A Bari si sparava e si uccideva per imporre il potere mafioso.

Fabrizio Andolfi è stato freddato a colpi di pistola la sera del 14 gennaio 2018, sul soppalco dell’abitazione nel rione Carrassi, dove era ristretto ai domiciliari. Omicidio aggravato dalla premeditazione e di stampo mafioso. E’ stato eliminato perché aveva lasciato il “padrino” Vincenzo Anemolo, ritenuto il boss della zona a capo dell’omonimo clan, per transitare in quello rivale di Filippo Capriati, dopo aver offeso il capo pubblicamente davanti a un pub. Un’onta da pagare con la vita, confermata anche dall’ultimo collaboratore di giustizia di Bari, Filippo Cucumazzo, “uomo di fiducia di Vincenzo Anemolo”: di recente ha confessato di aver ucciso Andolfi, ha indicato i nomi dei mandanti e il movente, e ha ottenuto la protezione.

L’INCHIESTA ALTA TENSIONE DELLA DDA DI BARI: 11 ARRESTI ESEGUITI DAI CARABINIERI

Lo scenario nella città di Bari risalente ad almeno tre anni fa, è stato ricostruito nell’ultima inchiesta coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia, chiamata “Alta Tensione” perché il “potere mafioso si affermava attraverso il fuoco delle armi”. Undici gli arresti ottenuti dai pm della Dda, Lidia Giorgio e Marco D’Agostino: l’ordinanza di custodia cautelare firmata dalla gip Antonella Cafagna è stata eseguita lunedì scorso dai carabinieri del comando provinciale di Bari.

In carcere sono finiti: Vincenzo Anemolo, 56 anni, indicato tanto dai pm quanto dal gip come “il capo assoluto del rione Carrassi”; Giuseppe Caputo, 51; Francesco Cascella, 35; Giovanni De Benedictis, alias ‘u russ’, ‘u bronx’ e ‘lo spagnolo’, 39; Donato Maurizio Di Cosmo, 46; Domenico Giannini, 36, e Roberto Mele, 26 anni.

Ai domiciliari: Davide Genchi, 27 anni; Nicola Masciopinto, 33, e Angelantonio Ancona, 54. Domiciliari in una località protetta individuata dal Servizio centrale di protezione per Filippo Cucumazzo, 47 anni, la cui “resa delle armi” è stata ritenuta autentica.

L’OMICIDIO DI FABRIZIO ANDOLFI il 14 GENNAIO 2018 NEL RIONE CARRASSI DI BARI

Andolfi viene ucciso alle 20,32 del 14 gennaio 2018 in via Baracca, rione Carrassi di Bari, nell’abitazione dei nonni, al pian terreno. Stava scontando ai domiciliari una condanna per rapina aggravata e tentato omicidio, su disposizione del Tribunale di Sorveglianza di Bari, per accudire il nonno.

Il sicario arriva all’improvviso, ha un casco da motociclista di colore rosso e una sciarpa. Il cancelletto protetto da un’inferriata è aperta, Andolfi è nella zona notte. Il killer spara tre colpi impugnando una pistola calibro 9×21 con la mano destra: uno resta inesploso e viene trovato a terra, gli altri raggiungono Andolfi che si accascia sul pavimento tra il letto e l’armadio. Il medico legale, dopo l’autopsia, dirà che la morte è da ascrivere a uno shock traumatico-emorragico da gravissime lesioni toraco-addominali, determinante da un unico proiettile diretto dal basso verso l’alto e da sinistra verso destra, sparato a distanza di circa 5-7 metri.

Quando arrivano i soccorsi, non c’è altro da fare, se non constatare la morte. Uno dopo l’altro si precipitano i parenti.

IL CLIMA DI OMERTA’, LE INTERCETTAZIONI AMBIENTALI DOPO L’OMICIDIO E IL MOVENTE

Carrassi maledetta, me l’hai ucciso”. Ma nessuno, stando a quanto si legge nel provvedimento di arresto, fornisce elementi utili alle indagini, tanto che la gip sottolinea un “atteggiamento connotato da reticenza e omertà”.

Le intercettazioni consegnano i primi elementi sui quali i carabinieri iniziano a lavorare: il movente, innanzitutto, da inquadrare nella contrapposizione tra il sodalizio a cui appartiene la vittima, il clan Capriati, e quello nel quale era arruolato fino a pochi mesi prima, quello degli Anemolo. Emerge, in particolare, che dopo il passaggio e quindi in seguito al tradimento ai danni del padrino Vincenzo Anemolo, Andolfi voleva estendere il dominio di Filippo Capriati nel quartiere Carrassi che, invece, era sotto l’egemonia di Anemolo, forti a loro volta della “comparanza” con il clan Palermiti nella gestione delle attività di spaccio di droga ed estorsioni. L’intesa Anomolo-Palermiti era stata stretta da Vincenzo Anemolo e Francesco Cascella.

In quest’ottica, lo stesso Andolfi aveva compiuto – stando a quanto riportato dagli inquirenti – una serie di provocazioni nei confronti di Anemolo, con offese in pubblico. L’ultima delle quali davanti a un pub.

“In una conversazione intercettata in ambientale – scrive la gip – si sentono i familiari sostenere che l’uccisione di Fabiano fosse dipesa dalla necessità del boss di quartiere di affermare la propria superiorità criminale a fronte della rivendicazione della vittima di detenere il controllo di alcuni affari sul territorio”.

DEVI UCCIDERE UNO PESANTE E DIVENTI BOSS, QUELLO CON UNA CARTA SI E’ GIOCATO CARRASSI

Il passaggio di rilievo è il seguente: “Quello con una carta si è giocato tutto Carrassi, purtroppo avrà spinto, se non ammazzi una persona non sei boss, allora da lunedì è diventato boss, che devi uccidere uno pesante e diventi boss, solo così le persone hanno paura di te, perché tu con la pistola addosso, si prendono paura”. E ancora:

Per essere un boss, devi uccidere un altro boss, quella è la legge della malavita, ma non da mo, da sempre”.

Nello stesso periodo, i carabinieri intercettano una conversazione tra uno degli indagati e una persona non coinvolta nell’inchiesta: “Voi potevate avere il quadrato vostro, tu chiedevi il quadrato vostro senza allargarti”. E poi: “Posso dire una cosa, il quadrato nostro ce l’avevano dato, invece lui l’ha chiesto malamente”. Ancora: “Perché già quando ti danno il quadrato e non spendi parole, te la devi aspettare una sparatoria che tu gli hai tolto il pane, quella è una guerra”.

LA GUERRA DI STAMPO MAFIOSO E L’ULTIMO COLLABORATORE DI GIUSTIZIA: FILIPPO CUCUMAZZO

Guerra di stampo mafioso tra due gruppi. Guerra scatenata da un “atto di belligeranza” costituito dall’affronto di Fabrizio Andolfi a Vincenzo Anemolo, stando alla ricostruzione fatta dalla gip.

Il contesto trova conferma dalle dichiarazioni di da diversi collaboratori di giustizia, l’ultimo dei quali è Filippo Cucumazzo: si è attribuito l’esecuzione materiale del mandato omicidiario. Perché Anfoldi è stato ucciso su commissione: a ordinarlo, secondo l’accusa, Vincenzo Anemolo e Francesco Cascella, per eliminare fisicamente un avversario, in modo tale da neutralizzare l’obiettivo di Andolfi di acquisire il controllo del clan Capriati nella zona Carrassi di Bari.

Cucumazzo – scrive la gip –decide di passare dalla parte dello Stato per “cambiare radicalmente la sua esistenza e per dare un futuro anche alla propria famiglia”. Una scelta motivata da una “resa delle armi rispetto alla continua azione repressiva dello Stato, anche indotta dalla percezione di un concreto pericolo per la propria incolumità personale”. Cucumazzo, infatti, riesce a sfuggire a un attentato il 9 giugno 2018.

Secondo la giudice per le indagini preliminari, le sue dichiarazioni sono scevre da intenti calunniatori e attendibili, anche perché oltre all’omicidio Andolfi, ha ammesso la consumazione di altri reati, con l’uso di armi da fuoco, che mai gli erano stati contestati.

LE DICHIARAZIONI DI CUCUMAZZO ESECUTORE MATERIALE DELL’OMICIDIO

Cucumazzo riferisce che due giorni prima dell’omicidio Vincenzo Anemolo aveva invitato Maurizio Di Cosmo e Giovanni De Benedictis da Fabiano Andolfi per tranquillizzarlo e indurlo a credere che il contrasto fosse sopito, in modo tale da farli abbassare la guardia. Un “bluff”, per Cucumazzo. “E’ tutto a posto per noi”, gli dicono stando alla versione fornita dal collaboratore di giustizia. I due riferiscono, a loro volta, che Andolfi quando li riceve a casa ha una pistola in tasca.

Il mandato a ucciderlo arriva da “Vincenzo Anemolo e Francesco Cascella”, autori del patto di comparanza per la gestione degli affari nel rione Carrassi, per effetto del quale il primo si doveva occupare delle estorsioni e l’altro della droga. Cucumazzo sostiene che i due si recano da lui dicendogli “Fabiano lo dobbiamo uccidere” e gli forniscono la pistola, la moto e un giubbotto antiproiettile, quest’ultimo chiesto perché aveva timore di finire sotto il fuoco di Andolfi o di altre persone armate.

A consegnare arma e giubbotto è Domenico Giannini che funge anche da autista per accompagnare Cucumazzo sul luogo del delitto per poi assicurargli la fuga.

Dalla lettura del verbale, si apprende che in un primo tempo, l’omicidio doveva avvenire nei pressi del pub davanti al quale c’era stato l’affronto, ma poi le direttive cambiano e l’ordine è di uccidere Andolfi a casa. “Domenica dobbiamo fare”. Così è stato. Domenica 14 gennaio 2018 l’omicidio premeditato di stampo mafioso.

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