Non un giorno senza sorriso

In una settimana abbiamo vissuto secoli. Però tornando indietro:

pestilenze, decapitazioni, ignoranza, rivolte… benvenuti nel medioevo!

Un incubo infinito, perfetto preludio ad Halloween, la festa dei mostri, appunto.

Ho provato a distrarmi dalle mie sventure personali rivolgendo lo sguardo altrove, ma non sono riuscita a trovare molto conforto. Stanno tutti male, tutti senza soldi, tutti senza lavoro, tutti limitati da qualche forma di lock down più o meno pesante. In tutto il globo.

In Italia, in 10 giorni, si sono susseguiti 6 nuovi decreti.

Venerdì scorso era uscito quello con le nuove normative a cui adeguarsi per poter tenere teatri e scuole di danza aperti e il giorno dopo, sabato, ne era già uscito un’altro che chiudeva tutto indiscriminatamente.

Ma stavolta la gente ha reagito diversamente: la rabbia, la delusione e la disperazione si sono riversate nelle strade dando vita a una settimana all’insegna delle rivolte. Hanno aperto le danze i ristoratori, costretti a chiudere alle 18. Da allora, ogni giorno, in ogni piazza dal nord al sud del Paese, ci sono proteste, perfino qui. A Lecce mercoledì è stata la volta dei ristoratori, venerdì delle scuole di danza e oggi, freschi della manifestazione nazionale svoltasi ieri, torneremo a manifestare noi lavoratori dello spettacolo.

C’è chi manifesta per riaprire e c’è chi invece manifesta per ottenere rispetto, per vedere riconosciuti i propri diritti di lavorator* e assicurarsi un adeguato sussidio nei periodi di chiusura forzata.

C’è chi manifesta pacificamente e chi invece scende in strada in preda alla rabbia e alla disperazione (diventando facile preda di chi, da sempre, si infiltra nelle manifestazioni per scatenare tafferugli o fingersi dalla parte dei più deboli per conquistare adepti).

C’è chi perde tutto e chi perde qualche privilegio.

C’è chi crede nella scienza e nella pandemia in corso e chi invece è convinto di essere vittima di una gigantesca truffa internazionale.

In altre parole: c’è sempre meno unità.

Sono giorni tristi, in cui, ora dopo ora, assistiamo alla crescita del divario tra classi sociali.

Di certo c’è che molta gente è disperata. Di certo c’è che regna il malcontento e che, stavolta, siamo già psicologicamente provati dal primo lockdown e dalla crisi economica.

Di certo c’è che, se porti la gente alla disperazione, non puoi aspettarti che tutti si lamentino in modo ordinato ed educato.

La rabbia e la frustrazione sono autentiche e lo scontento generale rischia di diventare una guerra tra classi.

Io stessa, in questi giorni, ho fatto molta fatica a non odiare chi , con lo stipendio fisso o una famiglia benestante alle spalle, ha superficialmente osato dispensare buoni consigli. Sarebbe stato bello venire rispettati nel proprio dolore, invece ci siamo dovuti sorbire le paternali su come ‘siamo tutti sulla stessa barca e su come sia importante pazientare’…

Come al solito manca una buona dose di sana e umana compassione. L’unica cosa che potrebbe salvarci.

L’unica qualità che invece sembra mancare , insieme a un po’ di razionalità e tanta, tanta cultura.

L’ignoranza e la disuguaglianza regnano sovrane.

Insomma: siamo in pericolo, e non solo per via della pandemia in corso.

Io ho perso tutti i miei lavori.

Ma almeno non vivo in Francia, dove in questo periodo è pesantemente tornato l’incubo terrorismo e non si è più sicuri nemmeno in una chiesa.

Difficile rimanere positivi.

Ammetto di aver quasi ceduto alla voglia di chiudermi tutto il giorno in casa ad abbuffarmi davanti a intere stagioni di serie tv americane.

Invece, per fortuna, in Puglia hanno chiuso tutte le scuole, mi spiace tantissimo per la mia primogenita, che soffre di questa nuova privazione, ma oggi la sua presenza per me è una salvezza. Non posso lasciarmi andare davanti a lei, sono dunque costretta a reagire, glielo devo.

Allora reagisco, si, reagisco, perché sono una creativa, una madre e una docente, e la prima regola per insegnare qualcosa è dare il buon esempio. Devo restare attiva!

Lo devo alle mie figlie, lo devo a me e lo devo a tutte le persone che credono in me e studiano con me.

Per cui, se non possiamo danzare in sala, danzeremo all’aperto, super distanziat*, nella natura.

Intanto, visto che sono libera, aiuto un amico a sgomberare casa dei suoi. Pulire, svuotare armadi, selezionare cose da buttare, da tenere, da poter vendere o da donare…a queste ultime ci ho pensato io, facendo qualche carico di bustoni pieni di coperte, piumoni e vestiti vari e portandoli alla Caritas.

Ieri, al mio arrivo, ho incrociato dei beneficiari intenti a selezionare qualcosa da prendere.

Uno di questi, magro, con dei piccoli occhiali rotondi e un grande sorriso sgangherato, mi ha rivolto la parola: Hai per caso maglioni grandi da uomo li dentro?

Si, tantissimi!’

Ha rovistato nel bustone come un bambino rovista nel sacco di juta dei regali di Babbo Natale. Ho notato che aveva selezionato anche alcune delle coperte che avevo portato il giorno prima.

Ubaldo, questo il suo nome, si spogliava e si provava le cose li, davanti all’entrata della Caritas, e continuava a sorridere felice. Quando l’ho salutato aveva indosso un bel maglione di lana di nonno Valerio.

Appena sono tornata a casa ho aperto gli armadi e ho iniziato a selezionare più cose possibili tra gli indumenti delle bambine, i miei e quelli dei miei genitori (tenuti per anni come reliquie).

Non vedo l’ora di tornare li e rendere felice qualcuno. Qualcuno di vivo. Qualcuno di sorridente.

Qualcuno che mi insegna quanto tutto sia relativo e quanto ogni giorno senza sorridere sia un giorno perso.

E’ una questione di prospettive: non mi concentrerò su ciò che non ho, mi concentrerò su ciò che ho di troppo.

Che a quanto pare buttare, donare e svuotare casa è un attività molto salutare.

E poi continuerò a danzare, non online, in presenza del vento, dei suoni e degli odori della natura e di corpi vivi, distanziati, ma tridimensionali.

Perché, come dice Pina, se non danziamo saremo perduti!

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