Sono figlia di due grandi sognatori, ad occhi aperti però, che per loro dormire era quasi un peccato mortale, un’ingiustificata e stupida perdita di tempo. Che ‘chi dorme non piglia pesci’ e ‘a dormire ci penseremo dopo, con il sonno eterno’.
Non so se per via dell’educazione ricevuta o per mia inclinazione naturale, ma alla fine anch’io non ho mai dedicato molto tempo al riposo. E questo ai miei occhi è sempre stato un pregio, ma con un risvolto negativo: non sogno. O almeno, non ricordo nulla.
Io, quando dormo, muoio per 4/5 ore di fila. Nessun sogno. Nessun ricordo di sogni. Niente di niente.
Il mio rapporto con il sonno e con i sogni è davvero conflittuale: i sogni che ricordo bene sono sempre incubi. Alcuni hanno scavato solchi profondi dentro di me e ci hanno fatto tana.
Per molti anni, durante la mia infanzia e poi adolescenza, ho avuto ogni notte lo stesso incubo.
L’ho vissuto e rivissuto tante di quelle volte che ne conosco a memoria ogni minimo dettaglio, ogni sfumatura, ogni suono. E’ uno di quegli incubi in cui tutto sembra tranquillo e normale fino alla fine, quando capisci che stai facendo un incubo, appunto. Ma, avendolo fatto per anni e anni ogni notte, io avevo paura fin dall’inizio. Quanto l’ho odiato. Al punto da odiare anche tutto ciò che ne faceva parte: le case anni ’60, gli uccelli in gabbia, i lunghi corridoi e i sorrisi troppo insistenti.
Poi, un giorno, me ne sono magicamente liberata.
Tanti anni dopo ho fatto un nuovo incubo, anche lui ha deciso di restarmi dentro, sono passati almeno 15 anni e continua a tornare, non ogni notte, ma ogni volta che faccio un incubo è lui, che mi prende in giro cambiando qualcosa, ma alla fine si fa riconoscere per quello che è: il solito vecchio orrore.
Fino a pochi anni fa dormire rappresentava per me qualcosa di negativo, di cui facevo uso solo in periodi molto tristi della mia vita. Se stavo male, allora si, dormivo tanto, per fuggire dalla realtà. Altrimenti sono sempre stata sveglia e iperattiva.
Solo adesso, da donna adulta, ho scoperto i benefici del sonno, l’importanza della lentezza, la calma, la meditazione. E ho iniziato a sognare, ma è comunque raro che io riesca a ricordare qualcosa al mio risveglio.
Io sono una professionista dei sogni ad occhi aperti e dei sogni ho fatto il mio mestiere: li rubo agli altri e li uso a mio piacere.
Ricordo che, contemporaneamente all’inizio dei miei studi in accademia di danza, iniziai anche a tenere un diario dei sogni. Ogni mattina mi sforzavo di ricordare e prendevo il tempo per annotare qualcosa.
Ho sempre scritto molto, sempre tenuto un diario, ma in quel periodo ero arrivata ad averne addirittura quattro: il diario mio personale, il diario dei sogni, il diario in cui appuntavo ogni mia idea creativa, ogni frase letta che mi aveva colpito, ogni immagine che mi era rimasta impressa e infine, anche un diario in cui scrivevo le recensioni degli spettacoli visti.
Nonostante quella dei 4 diversi diari fosse pura follia, l’ho portata avanti per anni senza problemi, a parte scrivere nel diario dei sogni, così difficile per me da costringermi a trasformarlo in un diario dei sogni altrui. Visto che non ne avevo di miei, mi facevo raccontare quelli degli altri e li appuntavo lì.
Ripensandoci adesso, credo che questo abbia messo le basi per tutto il mio lavoro.
Io mi nutro dei sogni altrui: quando creo li rubo e li metto in scena. Quando insegno, invece, li alimento, li incoraggio, li sostengo e creo lo spazio necessario per dar loro una forma.
L’inconscio mi ha sempre spaventato, ho sempre preferito restare vigile e presente a me stessa, ho preferito scegliere cosa sognare e vivere ciò che sogno ad occhi aperti.
Oggi che tutti sembriamo immersi nella trama di un incubo e che a pagarne in modo pesante le conseguenze è proprio il mio mondo, quello dello spettacolo dal vivo, oggi che, mentre scrivo, le maestranze della Scala di Milano sono in presidio davanti al teatro e un intero settore di professionisti rischia seriamente di sparire nel nulla, proprio oggi, io mi ritrovo ad insegnare in una grande sala luminosa, davanti a un foltissimo gruppo di giovan* danzator* proveniente da tutta Europa, finalmente in grado di fare quello che so fare meglio e con dei professionisti.
E tutto mi sembra strano.
E mi sento quasi in colpa verso i miei colleghi che manifestano in strada, eppure so bene che è solo una parentesi. Che tornerò anch’io nel buio più assoluto, nell’incertezza assicurata. Che oramai ogni impegno di lavoro è diventato una strana parentesi, un’irreale bolla temporale da godersi a pieno.
Ma nel frattempo, visto che sono sveglia, lasciatemi sognare!
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