Taranto, nastri trasportatori, arriva la proroga del Ministero Ambiente, contro il “no” di Arpa Puglia

L’Arpa Puglia esprime parere negativo alla proroga, ma il Ministero dell’Ambiente concede ennesimo slittamento ad ArcelorMittal sull’attuazione della prescrizione AIA n.6 relativa alla chiusura dei nastri trasportatori dello stabilimento ex Ilva. ALL’INTERNO DOCUMENTO ESCLUSIVO.

Di Daniela Spera

TARANTO. La nuova proroga era nell’aria. É arrivata con determinazione DM212 del 29/09/2020 a firma del Ministero dell’Ambiente. A nulla è servito l’invito del sindaco Rinaldo Melucci a non concedere ulteriori rinvii. Anche Arpa Puglia aveva espresso parere sfavorevole a ogni ulteriore differimento dei termini del più recente cronoprogramma stabilito. La richiesta di ArcelorMittal, nel corso dell’ultima conferenza dei servizi, presso la direzione del Ministero dell’Ambiente, è stata, dunque, accolta. In particolare quella che riguarda la chiusura dei nastri trasportatori.

Le osservazioni di Arpa Puglia

Il documento in nostro possesso riporta le osservazioni di Arpa Puglia pervenute al Ministero dell’Ambiente tramite la Regione Puglia. In verità, preliminari, dal momento che l’Agenzia, invitava a rinviare la seduta della conferenza dei servizi (prevista per il 25 settembre), avendo ricevuto in ritardo la richiesta di fornire un parere da parte della Regione Puglia. In dodici pagine, entra, comunque, nel dettaglio. Le sue valutazioni sono in linea con quelle fornite dalla Commissione VIA. Smonta le motivazioni di ArcelorMittal a supporto della richiesta di proroga della chiusura dei nastri trasportatori ed evidenzia che nelle attività di controllo

‘L’Agenzia ha constatato che i meccanismi procedurali messi in atto dal Gestore non sono idonei a garantire il contenimento delle emissioni diffuse derivanti da condizioni meteorologiche avverse. Quanto detto, conferma che l’adozione di misure transitorie di mitigazione non può ritenersi sufficiente alla riduzione del surplus emissivo connesso al differimento dei lavori di chiusura dei nastri trasportatori di ulteriori 14 mesi’.

Differimento incomprensibile anche dal momento che è lo stesso gestore (ArcelorMittal) a dichiarare che ‘dall’inizio della ripresa dei cantieri post emergenza sono stati coperti 1550 metri a fronte di 557 metri pianificati, di cui 135 m di nastri in quota a fronte di 78 m pianificati’. Perché, dunque, non applicare le stesse tempistiche? Per questo l’Arpa ‘conferma il proprio parere contrario al rinvio dei termini al 31/05/2021’.

Ma ArcelorMittal chiede proroghe anche per le prescrizioni relative alle batterie 7-8 e la doccia 4 bis, la rimozione del cumulo di polveri e delle scaglie nell’area Parco Minerale, la gestione dei materiali costituiti da fanghi di acciaierie, fanghi di altoforno e polverino di altoforno.

Anche su questi ultimi aspetti l’Arpa si sofferma esaminando nella sua relazione lo ‘Studio per la valutazione dei potenziali impatti ambientali associati alle prescrizioni legate alle batterie di cokefazione 7-8 del DPCM del 29/09/2017’ presentato da ArcelorMittal. Con estrema chiarezza ne evidenzia i limiti. Manca la valutazione delle emissioni diffuse di altri inquinanti, oltre al Benzene e al Benzoapirene. Si tratta del Naftalene e dei metalli pesanti (arsenico, cadmio, cromo esavalente, nichel, piombo, selenio, mercurio, rame) ‘che possono avere impatti più gravosi sulla salute della popolazione.’ Lo studio inoltre non considera le ‘emissioni visibili dalla cokeria’ e le emissioni diffuse e fuggitive che si possono manifestare nelle normali condizioni di esercizio anche legate a malfunzionamenti di impianti e anomalie di processo.

Anche in merito alla richiesta di proroga relativa alla rimozione del cumulo di polveri e delle scaglie nell’area Parco Minerale, rileva carenze. Lo studio presentato dalla multinazionale non considera gli impatti potenziali sulle acque, e ha lacune nell’individuazione delle fonti emissive e degli inquinanti presenti nei cumuli. Analoghe sono le considerazioni sulla gestione dei fanghi di acciaierie, dei fanghi di altoforno e del polverino di altoforno.

L’Agenzia conclude esprimendo un netto parere sfavorevole alla proroga della prescrizione relativa alla chiusura dei nastri

‘si ritiene che non si possa avallare in alcun modo il protrarsi di una condizione d’inquinamento che avrebbe dovuto essere risolta già a partire da gennaio 2013 e che, viceversa, è stata rinviata con successive proroghe al 2015, al 2017, al maggio 2020 ed, infine, al 30 settembre 2020 con decreto 115 del 29 maggio 2020.’

E aggiunge più in generale che

‘il differimento delle tempistiche di attuazione, anche quando considerabile contingente, rispetto a prescrizioni imposte dalle Autorità Competenti (ormai diversi anni or sono), determina in ogni caso un impatto ambientale e sanitario che perdura nel tempo. Le prescrizioni a suo tempo imposte sono, a tutti gli effetti, scaturite da una valutazione accurata e d’insieme, sfociata nelle autorizzazioni all’esercizio. Le stesse non possono essere di volta in volta messe in discussione o minimizzate presentando studi parzializzati (per singole aree o sezioni di impianto) tesi a dimostrare la bassa significatività della mancata attuazione dei singoli interventi’.

La decisione del Ministero dell’Ambiente

In definitiva, il Ministero dell’Ambiente con il provvedimento appena emanato ha concesso ulteriore tempo ad ArcelorMittal che dovrà, entro il 30 aprile 2021, provvedere alla chiusura dei nastri trasportatori (prescrizione n.6) e, entro il 31 gennaio 2021, completare la chiusura di nastri e torri in quota.

‘Il Gestore, entro 15 giorni dalla emanazione del provvedimento,’- si legge, inoltre, nel decreto- ‘deve trasmettere, tramite i Commissari straordinari, all’Autorità Competente e all’Autorità di controllo il nuovo cronoprogramma degli interventi, tenendo conto del termine fissato al 30 aprile 2021 per la completa attuazione della prescrizione n. 6 “Chiusura nastri trasportatori” del DPCM del 29 settembre 2017 e del termine fissato al 31 gennaio 2021 per la chiusura di tutti i nastri e torri in quota’.

E chissà come la prenderà il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa che vigila sull’attuazione della sentenza della Corte Europea del 24 gennaio 2019, dal momento che attende dall’Italia documenti che attestino un impegno concreto a tutelare la salute dei tarantini.

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