Sacra corona unita: vecchia guardia ancora attiva, 13 arresti a Brindisi

DOSSIER/1 Dopo la collaborazione di Antonio Campana, le indagini della Mobile ricostruiscono le affiliazioni e le attività della frangia del fratello Francesco Campana, già accusato anche di omicidio da Sandro Campana, morto suicida. In carcere Giovanni Donatiello, alias Cinquelire, tornato in libertà dopo la condanna all’ergastolo come mandante dell’eliminazione di Antonica avvenuta nell’ospedale di Mesagne nel 1989. Nell’inchiesta indagati Lucia Monteforte, moglie di Francesco Campana, i figli e il fratello della donna. Estorsioni ai danni di imprenditori agricoli e gestione del parcheggio dell’ospedale Perrino  

 

Di Stefania De Cristofaro

 

BRINDISI – Old generation, mafiosa: 13 arresti nel Brindisino. La vecchia guardia della Sacra Corona Unita, quella mai andata in pensione, secondo quanto dichiarato dall’ultimo pentito del sodalizio, Antonio Campana, fratello di Francesco, ritenuto a capo dell’omonima frangia e fratello di Sandro, pentito prima di lui e morto suicida la scorsa primavera. Il gruppo dei senior ha ripreso a scalpitare tra Mesagne e Brindisi, dopo il ritorno in libertà due anni fa, del “vecchio” Cinquelire, al secolo Giovani Donatiello, nonostante la condanna all’ergastolo come mandante dell’omicidio di Antonio Antonica, avvenuto nel 1989, nell’ospedale di Mesagne.

 

IL BLITZ OLD GENERATION: IN CARCERE GIOVANNI DONATIELLO, ALIAS CINQUELIRE. LA FIGURA DELLA MOGLIE DEL BOSS E GLI ALTRI INDAGATI

Donatiello è finito in cella questa mattina all’alba. Coinvolti anche la moglie di Francesco Campana, Lucia Monteforte, di Brindisi, i figli della donna, Marco e Simone Sperti, e il fratello di lei, Cesario Monteforte, gestore di un bar nel quartiere Commenda della città, in rotta di collisione con il boss per la suddivisione dei guadagni, in modo particolari quelli relativi al racket delle estorsioni articolato lungo due direttrici: verso i titolari di imprese agricole e per il posteggio delle auto nello spiazzo dell’ospedale Antonio Perrino. Lucia Monteforte, stando a quanto è emerso, riportava ai figli le direttive impartite da Francesco Campana nel corso dei colloqui in carcere. Attualmente Campana è detenuto a Opera.

Sono finiti sotto inchiesta anche: Antonio Signorile, ritenuto l’uomo di fiducia di Monteforte e reggente per suo conto nel periodo della detenzione in carcere; Teodoro Valenti, affiliato a Monteforte e delegato alle attività di estorsione; Enrico Colucci; Angelo Pagliara; Alessandra Di Lauro, moglie di Monteforte; Giuseppe Monteforte e Mara Riza.

L’ordinanza di custodia cautelare ottenuta dai pm della procura Antimafia di Lecce è stata eseguita dagli agenti della Squadra Mobile di Brindisi che da tempo lo tenevano d’occhio, nella convinzione che gli antichi legami con la Sacra corona unita non fossero mai stati recisi. Cinquelire è stato messo al muro dopo che Antonio Campana ha concluso il periodo delle dichiarazioni e ha consegnato la sua verità sulla Scu in terra di Brindisi, sulle affiliazioni, sulle attività illecite gestite e sui fatti di sangue, accusando in primis il fratello maggiore, Francesco, già condannato al carcere a vita per omicidio.

Donatiello, mesagnese, nel periodo in cui è stato in cella per scontare quel che avrebbe dovuto essere una pena senza fine, ha iniziato a studiare con l’intento di laurearsi. Doveva scontare l’ergastolo, ma è stato rimesso in libertà agli inizi del mese di maggio 2018 dalla Corte d’Assise d’Appello di Lecce: i giudici hanno accolto l’istanza del difensore storico, Marcello Falcone, per effetto di due elementi, da un lato a una pronuncia della Corte europea dei diritti dell’uomo e dall’altro alle nuove disposizioni italiane in ambito penale che hanno permesso la sostituzione del carcere a vita con la pena di trent’anni scontata in cella.

L’OMICIDIO DI ANTONIO ANTONICA E LA CONDANNA ALL’ERGASTOLO

Le sentenze definitive, quindi diventate verità processuale, indicano Donatiello, nel triumvirato assieme a Pino Rogoli, il fondatore della Scu, e a Giuseppe Gagliardi. Ma Donatiello non ha mai fatto dichiarazioni, neanche durante le udienze del processo Aggiano, a conclusione del quale è stato condannato all’ergastolo con isolamento diurno di tre anni, perché ritenuto il mandante dell’omicidio di Antonica, avvenuto nel mese di febbraio 1989.

Antonica venne ucciso in ospedale, a Mesagne, dove era ricoverato per le ferite riportate in un conflitto a fuoco. Alcune ore più tardi, i killer sparano. Due colpi dietro l’orecchio. Donatiello finisce anche al 41 bis, il carcere duro perché considerato a pericoloso e ancora in contatto con esponenti della Scu.

In Appello, Donatiello chiede di accedere all’abbreviato e viene condannato all’ergastolo “semplice”, senza isolamento. Condanna confermata in Cassazione. Nel frattempo, la Corte europea dei diritti dell’uomo, sul cosiddetto caso Scoppola (dal nome del ricorrente italiano) cambia il destino di Cinquelire perché quella  pronuncia permette la sostituzione della condanna all’ergastolo, senza isolamento, con la pena di 30 anni prevista nel caso di giudizio abbreviato, purché tutto sia riferibile a prima del 2000. Donatiello rientra in questo caso e il difensore, quindi, procede con un incidente di esecuzione davanti alla Corte d’Appello di Lecce che rigetta l’istanza negando i trent’anni e confermando il “fine pena mai per Donatiello”. A seguire il ricorso in Cassazione, l’annullamento con rinvio e la nuova pronuncia della Corte salentina che restituisce la libertà all’imputato.

IL BLITZ OLD GENERATION: OTTO IN CARCERE E CINQUE OBBLIGHI DI FIRMA

Per il blitz, tenuto a battesimo con il nome di Old generation, sono state impiegate 100 persone, tra agenti della Polizia di Brindisi, del reparto Prevenzione Crimine di Puglia, personale del IX Reparto Volo di Bari, sotto il coordinamento della Direzione Antimafia di Lecce. Otto sono i destinatari di ordinanze di custodia in carcere, per gli altri è stato disposto l’obbligo di firma. I particolari dell’operazione saranno illustrati questa mattina, 25 settembre, alle 11 in questura. Quel che è certo è che si tratta di uno scossone interno all’associazione di stampo mafiosa ancora presente sul territorio e della frangia storica, facente capo a Francesco Campana, dal quale hanno preso le distanze tutte e due i fratelli minori, in tempi differenti.

I verbali sia di Antonio che di Sandro Campana restano ancora pieni di pagine bianche con la scritta omissis, a conferma del fatto che molto è stato detto agli inquirenti e che il lavoro di verifica non è arrivato al capolinea.

I VERBALI DEL PENTITO ANTONIO CAMPANA, AFFILIATO ALLA SCU PER 18 ANNI

Ad Antonio Campana è riconducibile un patrimonio di conoscenze sia dirette che de relato, perché, così come lui stesso ha confessato e ha fatto mettere a verbale, è stato un uomo della Scu per 18 anni. L’affiliazione e soprattutto il legame la corsia preferenziale costituita dall’essere il fratello di Francesco Campana, il boss, lo ha portato a conoscere meglio di altri una serie di notizie sul sodalizio. Informazioni che dovevano restare sotto chiave e che, invece, segrete non lo sono più dal 4 aprile 2019, giorno in cui chiese di parlare con il pm che lo accusava di essere uomo di mafia. Quel giorno parlò per quasi quattro ore di fila. Mancava poco all’udienza preliminare scaturita dalla conclusione dell’inchiesta Oltre le mura, nell’ambito della quale era stato nuovamente arrestato con l’accusa di aver retto le redini della Scu anche quando era ristretto nel carcere di Terni, assieme a Raffaele Martena. Le indagini hanno svelato che Campana e Martena, quando erano nella stessa cella, avevano la disponibilità di un telefono cellulare per comunicare all’esterno del penitenziario e raggiungere gli affiliati liberi per impartire direttive sulla gestione degli affari, droga soprattutto, e intervenire nel caso un cui ci fossero state tensioni interne.

IL MOTIVO DEL PENTIMENTO: LA RICHIESTA DI UCCIDERE DUE AFFILIATI

Attriti, infatti, ce ne sono stati per ammissione di Campana. E’ scritto nel primo verbale a sua firma, composto da 19 fogli: “Mi voglio pentire adesso che mi è stato chiesto di uccidere i fratelli Andrea e Vincenzo Polito”. Stando a quelle dichiarazioni, a causa di lite continue, Martena avrebbe deciso di uccidere i fratelli Polito, Andrea e Vincenzo:

“Prima che potessimo disporre del cellulare, Martena aveva trasmesso a Juri Rosafio all’esterno, l’ordine di eliminare i fratelli Polito dicendo che quando un dente ti fa male, bisogna levarlo”.

I due Polito, stando a quanto sostiene Campana, erano affiliati di Martena a Tuturano: “Me lo disse lui e mi disse che erano diventati ingestibili e rappresentavano un problema perché avevano sottratto droga ad alcuni affiliati di Martena e si erano riforniti di un chilo di cocaina da un tale zio di Cerignola (in provincia di Foggia, ndr) senza pagarla”, è scritto nel verbale.

“Questi fece sapere che fino a quando non sarebbe stato saldato il debito, non ci avrebbe più rifornito di droga”.

Proprio per risolvere il problema che oramai costituivano i fratelli Polito, decidemmo di procurarci un telefonino per comunicare con loro”. E ancora: “Io non ero d’accordo con la loro eliminazione. Per questo mi preoccupai di disporre di un telefono con il quale Martena potesse comunicare con i fratelli Polito facendoli ragionare e che si comportassero bene”, ha detto e ha anche spiegato le ragioni del suo disaccordo.

L’OMICIDIO DI MASSIMO DELLE GROTTAGLIE E LA CONDANNA AL CARCERE A VITA

 “Ero contrario all’uccisione dei fratelli Polito poiché ho provato sulla mia pelle cosa significa uccidere una persona e da allora mi sono pentito fino a oggi dell’omicidio che ho commesso”

Ha spiegato facendo riferimento all’esecuzione di Massimo Delle Grottaglie. Quello fu un omicidio di stampo mafioso, per il quale è stato condannato in via definitiva all’ergastolo, dopo la  pronuncia della Cassazione arrivata il 26 maggio 2017.

L’omicidio di Delle Grottaglie risale al 16 dicembre 2001: “Mi ricordo che il giorno in cui dovevo incontrarmi con Delle Grottaglie, sapendo di doverlo uccidere, speravo che non si presentasse e che il nostro piano andasse a vuoto”, è scritto sempre nel primo verbale reso davanti al pm della Dda salentina.

“La cosa che più mi tormenta è che Massimo Delle Grottaglie si fidava di me perché tra l’altro mi aveva proposto di uccidere Carlo Leo, delitto del quale mi ero rifiutato dicendogli che io non avrei mai commesso un omicidio. Proprio per questo non poteva immaginare che io avrei commesso il suo. Confermo di aver ucciso Delle Grottaglie  unitamente a Carlo Gagliardi.

ANTONIO CAMPANA PENTITO CREDIBILE PER IL TRIBUNALE DI LECCE

Antonio Campana ha già ottenuto la patente di credibilità: gli è stata riconosciuta con sentenza del Tribunale di Lecce pronunciata il 3 ottobre 2019. Il gup di fronte al quale si è svolto il processo con rito abbreviato, dopo l’inchiesta Oltre le mura, ha applicato l’attenuante della collaborazione, vale a dire uno sconto di pena aggiuntivo rispetto alla scelta del rito abbreviato condannando Campana a a sei anni e otto mesi di reclusione con l’accusa di aver “promosso e organizzato una frangia della Sacra Corona Unita sino alla fine del 2017”, nel periodo in cui era detenuto nel carcere di Terni.  Penitenziario dal quale voleva evadere.

Campana ha anche svelato i retroscena relativi alla nuova organizzazione della Scu e all’accordo tra le due frange interne alla Sacra Corona Unita di Brindisi. Una “pax” necessaria per evitare che i contrasti per assumere la posizione di predominio, arrivassero al punto di non ritorno con ferimenti o peggio, omicidi, come avvenne nel periodo compreso tra gli anni Ottanta e Novanta. Anche perché la sua di sangue avrebbe significato che gli affiliati avrebbero avuto sul collo  il fiato degli uomini delle forze dell’ordine.

 “Prima del 41 bis era stato fatto l’accordo tra mio fratello Francesco e Lino Penna (il primo pentito della frangia mesagnese della Scu moderna, ndr”, si legge nel verbale del 5 aprile scorso. Campana ha precisato che l’accordo si è reso necessario dopo aggressioni in carcere. Lui stesso ha detto di esserne stato vittima:

“Aggredire me, voleva dire aggredire mio fratello e fare arrivare questo messaggio a chi stava al nostro fianco. Dopo la mia aggressione, non mi interessai più di quello che succedeva all’esterno, dove si realizzò una frattura tra il gruppo dei mesagnesi e cioè Vitale, Penna e Pasimeni, e quello dei tuturanesi di cui facevano parte Buccarella e mio fratello”.

IL SUIDICIO DI SANDRO CAMPANA IL 30 MARZO 2020: NESSUN BIGLIETTO

Le notizie su tutto quello che avveniva all’esterno del carcere arrivavano direttamente ad Antonio Campana sia dal fratello Francesco, ritenuto ancora a capo della frangia, che dall’altro fratello, Sandro, pentito nell’estate 2015 e morto suicida il 30 marzo 2020. Nessun biglietto di addio. Ha scelto di togliersi la vita nel paese che da qualche tempo lo ospitava in regime di protezione, stando al programma dello Stato al quale era stato ammesso, una volta diventato uomo libero. Non era più ai domiciliari, Sandro Campana. Da ex uomo della Scu aveva accusato anche il fratello maggiore, Francesco, dell’omicidio di Antonio, detto Toni, D’Amico, fratello di Massimo, vecchio “Uomo tigre” del sodalizio mafioso

Ad oggi non si conoscono le ragioni che lo hanno spinto a mettere fine alla sua esistenza ora che aveva anche scontato la condanna definitiva alla pena di due anni di reclusione, con l’accusa di aver fatto parte della Sacra Corona Unita, l’associazione di stampo mafiosa nella quale entrò che non aveva ancora raggiunto la maggiore età. Non aveva condanne per fatti di sangue, né altre.

 

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