di Barbara Toma
Concentrarsi sul lato umano delle questioni, conoscere le persone dietro le storie, pensare con il cuore, è sempre la via migliore per capire.
Il mio amico sorride sempre, è una persona estremamente solare e molto attiva.
Ama rendersi utile e gli piace l’idea di poter svolgere un lavoro nel sociale, in generale, ma con un occhio di riguardo alle lotte per i diritti dei disabili.
Dopo la sua morte vorrebbe essere ricordato per ciò che ha fatto per gli altri e per i suoi scritti.
Nelle persone cerca onestà, lealtà e cuore.
Ammette che il suo maggior difetto è l’incapacità di tornare a fidarsi di chi lo ha già tradito una volta.
E’ fiero di credere in sé stesso. Tanto da affermare che il suo poeta preferito è lui!
Se gli chiedi qual è il suo più grande incubo, ti risponde che li ha già vissuti: perdere le gambe e perdere il suo primo amore.
Considera casa il suo Paese di origine e qualsiasi posto in cui si sente felice.
Adora i fiori rossi, Taylor Swift e Lucio Dalla.
Se gli chiedi quale sia la sua eroina preferita ti risponde : ’tutte le donne’.
Il mio amico si chiama Rebaz Amed. Ha 36 anni, è curdo e viene dall’Iraq.
Ci siamo conosciuti 4 anni fa, grazie al collettivo Free Home University, in un progetto di inclusione sociale parte di una residenza artistica, era appena arrivato in Italia.
Oggi Rebaz, insieme ad altri 4 ragazzi conosciuti grazie alla collaborazione con i centri di prima accoglienza, partecipa al laboratorio che svolgo (sempre con Free Home University) in uno dei più prestigiosi Licei della città di Lecce, e che si concluderà con una presentazione aperta al pubblico il 22 dicembre.
Mettere in scena ragazzi tra i 15 e i 18 anni insieme a Rebaz, Augustine, Jacouba e Modou è una splendida chance per far scoprire loro che un rifugiato altro non è che un essere umano come noi.
Solo più sfortunato.
Raccontare la sua storia qui, oggi, è il mio modo di promuovere la causa dei curdi e dei rifugiati in generale.
Rebaz ha conosciuto la guerra da piccolo.
Aveva 12 anni quando, insieme ai suoi fratelli più piccoli e ai suoi genitori, scappò dentro casa per trovare rifugio dagli spari e dai bombardamenti. Era steso sul lettone dei suoi insieme a tutto il resto della famiglia, stretti in un abbraccio in cerca di riparo, quando un razzo sfondò il tetto della sua casa cadendo direttamente sulle sue gambe.
Per fortuna il razzo rimase inesploso, altrimenti sarebbero tutti morti.
Ma Rebaz quel giorno perse entrambe le gambe.
Il mio amico è uno che non si arrende mai.
Infatti, nonostante tutto, è diventato un giornalista e un attivista e, all’età di 30 anni, è stato costretto a lasciare il suo Paese perché rischiava la vita per via delle sue posizioni politiche contro l’oppressione del popolo curdo.
Il suo sogno era arrivare in Svezia. E ci è riuscito.
Ma, dopo 2 anni in cui aveva lavorato sodo per integrarsi e per dimostrare di essere una persona attiva e utile alla società , dopo esser diventato campione svedese di ping pong e di basket , ha subito quello che lui chiama ‘il secondo più grande trauma della sua vita dopo la perdita delle gambe’ : si è visto rifiutare il permesso di soggiorno per rimanere in Svezia.
Ancora oggi non capisce il perché di tale rifiuto.
A quel punto ha dovuto prendere una delle decisioni più difficili della sua esistenza: dove andare?
E alla fine ha scelto l’Italia. Perché conosceva già la nostra cultura, che ama tanto, e perché ha preferito:
‘Un Paese con meno servizi per i disabili, ma con un popolo che ha un grande cuore. Al posto di un Paese come la Svezia, che è esattamente l’opposto’.
Rebaz parla 8/9 lingue : Italiano, Inglese, Svedese, Arabo, Perisano, Curdo ( Kurmanci e Sorani) Francese e un po’ di Turco.
In Iraq , dove lavorava come giornalista, ha pubblicato diversi racconti di prosa. Ha anche scritto 2 libri, ma ha rifiutato di pubblicarli per via della censura che avrebbe dovuto subire.
Non esclude, un giorno, quando si sentirà più forte nella padronanza della lingua italiana, di tornare a fare il giornalista, per scrivere la verità e cercare il ‘dietro le storie’ , perché non crede nei media.
A causa del suo attivismo politico è stato costretto a scappare lasciandosi dietro tutto: i suoi 6 fratelli, sua madre, i suoi amici , il suo lavoro, la sua vita…
Come lui quasi tutti i suoi colleghi sono dovuti fuggire.
Resta solo chi scrive a favore dell’oppressore o chi vive nell’ombra, senza fare alcuna attività politica e senza dare fastidio al governo.
Quando gli chiedo della situazione curda, ora che la Turchia, con l’appoggio degli Stati Uniti di America e di quasi tutto l’occidente, ha attaccato il suo popolo, mi dice che, per fortuna, nella sua città la situazione è abbastanza tranquilla.
L’ultima volta che ha visto sua madre risale a 2 mesi fa. Si sono incontrati in Turchia. Allora, tutto sommato, il luogo meno pericoloso dove andare.
Oggi, per sicurezza, non hanno altra scelta che rinunciare ad incontrarsi. E non hanno idea di quando potranno tornare ad abbracciarsi.
In soli 4 anni Rebaz si è ben integrato: ha tanti amici, lavora come interprete e traduttore per la commissione territoriale e si è appena iscritto all’Università del Salento ( Master di I livello in Mediazione Linguistica Interculturale in Materia di Immigrazione e Asilo).
Ha anche già vinto 2 medaglie d’argento e una medaglia di bronzo con il ping pong in Italia.
Ed è entrato nella squadra di Basket Lupiae Team Salento.
Stamattina gli ho telefonato, per chiedergli di poter scrivere la sua storia, e gli ho fatto alcune domande:
1. Cosa vorresti far sapere del tuo popolo alla gente?
– Che noi Curdi siamo sempre stati un popolo estremamente pacifico, costretti a subire gli attacchi degli altri.
2. Chi sono i rifugiati?
– I rifugiati sono il futuro
3. Cosa può fare la politica per aiutare i rifugiati?
– Fermare le guerre che portano avanti solo ed esclusivamente per i loro interessi economici. (Senza guerra non ci saranno persone che fuggono dalla guerra.)
E prendersi cura dei campi profughi. Permettere alle persone che ci vivono di uscire, di studiare, di conoscere, di rendersi utili alla società, altrimenti non potranno mai integrarsi.
4. Cosa possono fare le persone per aiutare i rifugiati?
– Potete insegnare ai vostri figli ad amare il prossimo, ad amare i rifugiati, a non odiarli.
Perché sono come voi e potrebbero essere il futuro del vostro Paese, se solo gliene venisse data la possibilità.
Inoltre non dovete mai smettere di fare pressione sul governo, di alzare la voce, di ribellarvi alle ingiustizie.
5. Rebaz, amico mio, tu hai un tuo motto?
Se non posso fare grandi cose, farò le piccole cose in modo grandioso.
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A volte penso che è proprio questo che fa paura di migranti e rifugiati: sono il futuro che noi sprechiamo, la cura che non mettiamo più nelle cose, la fatica che non vogliamo fare, la volontà che abbiamo abbandonato. Sono portatori di speranza, quella che noi siamo lieti di barattare con la sicurezza. Sono la consapevolezza che la fortuna di essere nati dal lato meno spaventoso del mondo è del tutto immeritata e allora cerchiamo di blindarla chiudendoci a riccio perché sentiamo che se la perdessimo non saremmo più in grado di riconquistarla.
Bella storia quella del suo amico. Auguri a lui (e sia pure con ritardo benvenuto!) e grazie a lei per averla raccontata.