Note a margine

di Barbara Toma

“Ci sono delle scorciatoie per la felicità, e la danza è una di queste”

Vicki Baum

 

L’altro giorno ho ricevuto da una mia allieva questo messaggio:

 

Barbara, perdonami se mi troverai un po’ confusa a lezione, oggi non sto per niente bene, vengo solo per stare con voi, ne ho bisogno

 

Una delle cose che mi sento dire più spesso dai miei allievi è: ‘stavo male ma, ora che ho danzato, sto molto meglio’.

 

Danzare è catartico.

 

Parlo spesso dei molteplici benefici fisici e psichici della danza e del perché io ami così tanto il mio lavoro, in qualsiasi contesto e sotto qualsiasi forma.

 

Ma nulla mi appassiona più del lavoro che ruota intorno all’essere scenico e all’atto creativo. Anche qui c’è un lavoro fisico atto a fornire dei mezzi per preparare il corpo alla scena e scoprire nuovi modi di usarlo ma, diversamente dai training tecnici, l’attenzione si concentra sul dare agli studenti la possibilità di trovare le chiavi per riuscire a collegarsi con quella inesauribile fonte di creatività che ognuno di noi ha dentro di sé.

E allora, quando un allievo riesce ad aprire qualche porticina, sono i suoi compagni a commentare: ‘è stato davvero incredibile, non lavevamo mai visto così!

 

Non facciamo danza-terapia o teatro-terapia, ma praticarli è un modo per conoscere se stessi e vedere il mondo sotto un altro punto di vista, ci permette di uscire dal proprio io e aprirci agli altri senza ritrosie, l’importante è farlo mettendoci tutto il cuore, mettendosi in gioco veramente.

 

Ciò che rende un interprete interessante è l’urgenza che lo muove. Per questo è fondamentale riconoscerla e non avere paura di approfondirla.

 

In scena bisogna cercare l’essenza delle cose, non imitare ma capire.

E non ci sono delle regole predefinite. E’ una continua ricerca.

E’ una scommessa. E, quando la si vince, si sbloccano i meccanismi di difesa e si permette alla creatività di attingere dall’infinito, in qualche modo ci si ricongiunge a qualcosa di divino e misterioso.

 

Per esempio: con uno dei miei gruppi di studenti sto lavorando sulle cicatrici.

Tutti abbiamo almeno una cicatrice.

Chi sul corpo, chi nell’anima.

Sono segni, spesso solchi, che non si vogliono mostrare, perché ci fanno apparire più brutti, più fragili.

Mostrarle, raccontarle, danzarle è un viaggio di emozioni e verifiche che può far scoprire la propria meraviglia.

 

Il compito che avevo dato era il seguente: ‘mostrami almeno 5 tue cicatrici (visibili e non) e parlamene.’

 

Francesco ha rotto ogni indugio e si offerto di andare per primo.

In realtà, conoscendolo, eravamo già un po’ in guardia su cosa avrebbe fatto, si, eravamo un po’ spaventati, perché sapevamo che era un tema in cui avrebbe potuto facilmente colpirci.

 

Ha preso il suo tempo, è rimasto dietro le quinte per un po’, poi è entrato in scena e, con calma, ha guadagnato il centro del palco.

Il suo è stato un intervento ben calibrato e ben riuscito. Ci ha spiazzato, ci ha divertito e infine ci ha commosso. Funzionava.

Per vari motivi: perché era consapevole dell’effetto che avrebbe fatto e delle reazioni che avrebbe suscitato, perché ha iniziato incuriosendoci con una storia che non ci aspettavamo di sentire, poi ci ha messo a nostro agio facendo auto ironia sulle sue ferite e sulle sue sofferenze e, infine, ci ha colpito in pieno stomaco toccando un tema in cui potevamo riconoscerci tutti.

 

Nel suo intervento è partito dal personale per arrivare al collettivo.

 

Francesco è riuscito ad usare a suo favore i suoi segni particolari, la sua storia personale, le sue paure più profonde, i suoi ‘difetti’.

Ma non tutti hanno il suo livello di consapevolezza…una sua compagna era restia ad andare in scena dopo di lui, convinta che le cicatrici potessero essere classificabili in più gravi o meno gravi, reputava se stessa priva di cicatrici ‘interessanti’. In realtà era solo chiusa in una bolla protettiva. Ha iniziato parlando del più e del meno, con un tono rassicurante e sicura di sè. Alla fine del lavoro insieme ha detto cose che non pensava di dire, è cambiata… piangeva, ma mi ha detto: ‘grazie Barbara’. Abbiamo aperto un piccolo spiraglio e da ora in poi cercheremo di spiarci dentro…

 

Poi, il resto, è un lavoro sui dettagli.

Perché è nell’osservazione di un dettaglio scenico che si può arrivare a una presa di posizione, funzionale a quello che stai facendo.

La creazione ti mette ogni volta davanti a un bivio: vado a destra o vado a sinistra? E lì devi scegliere, non puoi stare nel mezzo.

Man mano che si effettuano delle scelte si affina il testo, si lavora sulla messa in scena, sull’uso dello spazio, sui gesti, i movimenti, il ritmo e si definisce la drammaturgia.

 

Poche cose sono sicure:

 

1) danzare è catartico.

 

2) per riuscire ad attingere alla propria creatività e a smuovere qualcosa bisogna avere il coraggio di mettersi in gioco e affrontare le proprie paure

 

3) a Teatro non ci si può esimere dal prendere delle decisioni, fare delle scelte.

 

E allora il dubbio sorge spontaneo:

ma non è che, se prendessimo spunto dal teatro, e ci obbligassimo costantemente a fare delle scelte, partendo dai dettagli anche nel quotidiano, se ci mettessimo in gioco in prima persona, se usassimo il privato per arrivare al collettivo, se trovassimo il coraggio di prendere posizione in ogni situazione, acquistando più consapevolezza e diventando registi della nostra vita, le cose inizierebbero a funzionare meglio?

 

 

 

 

 

 

 

 

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