
Il settore del commercio continua a vivere una condizione di profonda crisi a Bari, con un tasso di mortalità delle attività che è quasi il doppio di quello di natalità. La situazione nel 2016 è ulteriormente peggiorata e purtroppo a Bari spetta la maglia nera, seguita come provincia da Brindisi, poi Taranto, quindi c’è Lecce e chiude Foggia, con un saldo quasi nullo (147 cessazioni e 146 attivazioni).
Le speranze sono state quindi tutte rinviate ai Duc o Distretti Urbani del Commercio, ma anche qui è difficile al momento capire se a predominare siano più i punti di luce che quelli di ombra.Tra l’altro l’ultimo rapporto della Banca di Italia ha messo in evidenza che complessivamente le erogazioni di finanziamenti sono aumentate nel primo semestre 2016, soprattutto grazie alle richieste di cessione del quinto e ai prestiti destinati ai consumatori. Ma per le attività la situazione continua ad essere poco rosea.
Il segretario Regionale di Cna Puglia, Pasquale Ribezzo, ha accolto positivamente il raggiungimento degli accordi sui Duc nella Regione Puglia, ma avanza anche qualche riserva e qualche auspicio, perché gli effetti possano essere veramente duraturi e benefici. Infatti c’è soprattutto un nodo che va sciolto il prima possibile. Lo stesso segretario sottolinea il fatto che “il tessuto urbano è alquanto composito, e vede coesistere nelle nostre città commercio, servizi e artigianato nelle stesse strade e sugli stessi marciapiedi. E allora come tratteremo un sarto, un calzolaio, un falegname, un orologiaio, un panettiere, un gelataio, un pasticcere, un autoriparatore, un’estetista? Quando arriviamo alla sua porta faremo finta che non c’è?”.
Una questione senza soluzione? Secondo Ribezzo si deve cambiare l’approccio e quindi “parlare di sviluppo urbano, di piastre di servizio alla popolazione, di integrazione di settori, con lo scopo comune di rendere vivibile e appetibile un quartiere e di rilanciarne l’economia”. Quindi per questa e altre ragioni ha aggiunto che “riteniamo che lo strumento del DUC, se proprio lo si vuole continuare a chiamare così, debba necessariamente essere aperto ad altri soggetti perché diventi uno strumento di sviluppo e non una pura costruzione burocratica e neocorporativa”.