Liberi tutti. ‘Senza scarti’

// INCHIESTA// Storia e numeri di un progetto del Pit9 che ha dato lavoro ad ex detenuti e adolescenti a rischio devianza

Una seconda possibilità. E’ ciò di cui ha bisogno un detenuto, una volta fuori dal carcere. Ed è ciò che si riproponeva di fare il progetto “Senza scarti” concepito nell’ambito del Pit9, il progetto integrato territoriale del Sud Salento (68 Comuni con capofila Casarano). “Senza Scarti” è nato all’indomani dell’ultimo indulto, quello del 2006, e si è sviluppato tra la fine del 2007 e la fine del 2009, interessando la quasi totalità dei Comuni del Pit9 e i sei Ambiti Territoriali per i Piani Sociali di Zona. Dotazione finanziaria, 655mila euro (fondi Cipe 2000/2006 spalmati su tre azioni di progetto). Obiettivo di “Senza scarti” era promuovere la legalità in una comunità, come quella Pit9, caratterizzata da un elevato tasso di disoccupazione e da fasce ampie di ex detenuti, ex tossicodipendenti, famiglie numerose, monoreddito e multiproblematiche. Come? Attraverso l’attivazione di tirocini formativi in aziende e pubbliche amministrazioni. Hanno beneficiato del progetto 100 adulti ex detenuti e 40 minori o neomaggiorenni, seguiti dai Servizi sociali territoriali o presi in carico dall’Ussm (Ufficio di servizio sociale). Ogni tirocinante è stato seguito da un tutor aziendale ed ha ricevuto un rimborso spese mensile di 500 euro. L’obiettivo iniziale è stato raggiunto, ma solo in parte, secondo Annatonia Margiotta, responsabile dell’attuazione di “Senza scarti” (coordinatore di progetto era Antonio Facchini). In un report di recente pubblicazione, “Valutare per progettare – Il Caso di studio del progetto Senza Scarti” (Guida Editori), Margiotta si sofferma a riflettere sui punti di forza e sulle debolezze del progetto. A noi ha raccontato l’impegno al fianco delle persone in difficoltà ma anche i persistenti pregiudizi, nei loro confronti, da parte del territorio, probabilmente – ci ha detto – non preparato a sufficienza a reintegrare soggetti svantaggiati. Il progetto, nel suo complesso, si è articolato in tre linee di intervento: la prima, finalizzata a promuovere l’inserimento lavorativo di soggetti svantaggiati con l’attivazione di tirocini formativi presso aziende e pubbliche amministrazioni; la seconda, che prevedeva interventi di animazione territoriale, sensibilizzazione, promozione della cultura della legalità e dell’integrazione culturale; la terza, volta a favorire interventi a sostegno della creazione di reti territoriali, per la prevenzione della devianza, tra Pubblica Amministrazione, scuola, Prefettura e terzo settore. Dott.ssa Margiotta, in che cosa è consistito il suo lavoro nell’ambito del progetto “Senza scarti”? “Nel dare attuazione al progetto, nel metterlo in pratica nel sociale. Non mi sono occupata, invece, della parte relativa alla rendicontazione”. Come sono stati individuati i soggetti destinatari del progetto? “Tramite procedure di evidenza pubblica. In un bando sono state indicate le caratteristiche dei destinatari: per gli adulti, essere ex detenuti, beneficiari dell’indulto e presi in carico per misure alternative alla detenzione; per i minori, essere seguiti dai Servizi sociali territoriali o presi in carico dall’Ussm, l’Ufficio di servizio sociale per i minorenni. Inizialmente il bando era destinato a 25 adulti e 40 minori, ma poi i numeri sono cambiati”. In che senso? “E’ facile capire che 25 tirocini destinati agli adulti di 68 Comuni fossero insufficienti. E infatti arrivarono circa 300 candidature, tutte da parte di soggetti in possesso dei requisiti per accedere al bando. Ciò significa che non era stato fatto, a monte, un buon lavoro di coinvolgimento e di analisi del territorio. Cioè, in base a quale mappatura dei 68 Comuni, era stato stabilito il numero di 25? Che senso ha progettare qualcosa che non corrisponde alla realtà del territorio e ai suoi reali bisogni? In un territorio come quello del Pit9 ad alto tasso di devianza, microcriminalità e disoccupazione, era impensabile che potessero candidare solo in 25. Per quanto riguarda le imprese, invece, vale il discorso contrario. Aderirono al bando solo in nove. Perché Probabilmente perché mancò un’opera di contaminazione e di sensibilizzazione ad inizio progetto. Il numero di nove fu talmente esiguo, che fummo costretti ad inserire le persone beneficiarie all’interno delle Pubbliche amministrazioni”. Lei crede che la scarsa risposta delle aziende sia dipesa dal fatto che i beneficiari del bando fossero ex detenuti? “Ovviamente sì. Il pregiudizio accompagna tutte le diversità sociali: i disabili, i tossicodipendenti, gli immigrati, gli ex detenuti. Il pregiudizio pesa molto sulla società. Ecco perché sarebbe stato utile un lavoro a monte, di sensibilizzazione delle imprese”. Chi avrebbe dovuto farlo? “Chi ha redatto il progetto, ma non voglio puntare il dito contro nessuno. Mi limito ad esprimere il mio punto di vista, per aver viso il progetto svilupparsi nella pratica”. Che cosa le è rimasto dell’esperienza “Senza scarti”? “Ho avuto la conferma che il rischio del pregiudizio in ognuno di noi è dietro l’angolo, per via degli stereotipi che, in maniera anche inconsapevole, ci si forma nei confronti di soggetti ‘diversi’. Io ha instaurato con tutte le persone beneficiarie del progetto un rapporto umano che mi arricchita moltissimo in termini di conoscenze e di esperienza. Durante l’intero percorso le ho seguite da vicino, le ho riunite in ufficio per capire se tutto si stesse svolgendo come avevo immaginato. Intanto, aveva rapporti costanti con i tutor aziendali, che avevano il compito di seguirle nel percorso di tirocinio negli enti o nelle aziende. A metà e a fine percorso ho fatto interviste ad ognuno di loro per monitorare lo stato dell’arte. Il valore dell’intero progetto sta nelle testimonianze che ho raccolto e che saranno il centro di un secondo libro di imminente pubblicazione: ‘Con l’opportunità che stiamo vivendo, stiamo riacquistando dignità e fiducia in noi stessi’. E nessuno mi ha dato problemi di alcun tipo, nonostante io fossi molto severa con loro. Tutti hanno capito che è meglio muoversi nella legalità perché se ne guadagna in dignità e rispetto sociale. Le donne mi dicevano di sentirsi gratificate perché potevano essere un esempio positivo per i propri figli e che mai avrebbero voluto che quelli potessero fare i loro stessi sbagli. Qual è il dramma di tutta questa storia? Che una volta terminati, nessun tirocinio si è trasformato in rapporto di lavoro. Per le motivazioni che ho già illustrato: le aziende non erano state preparate, le persone non sono state messe nelle condizioni di acquisire alcuna competenza specifica da sfruttare nel mondo del lavoro”. Per la verità, noi abbiamo avuto notizia di un’assunzione a tempo indeterminato di un ex detenuto da parte della cooperativa sociale presso la quale aveva svolto il tirocinio “Senza scarti”. La notizia è recentissima, in quanto risale al mese scorso e probabilmente Margiotta non ne aveva notizia, al momento dell’intervista (leggete qui). Lei non sa se queste persone abbiano trovato altri sbocchi lavorativi? “Purtroppo potrebbero essere tornate a delinquere. Molte di loro, a conclusione tirocinio, erano già in crisi perché sarebbero tornate a fare quello che facevano prima. Mi auguro almeno di non aver contribuito a peggiorare ancora di più la loro situazione, perché abbiamo dato loro l’illusione che dalla criminalità e dalla marginalità si può uscire, per poi riconficcarli di nuovo dov’erano”. Con lo “Svuota carceri” il problema del reinserimento lavorativo di ex detenuti si ripresenterà. Come affrontare la nuova emergenza? “E’ un tema da non sottovalutare. E’ giusto svuotare le carceri perché le condizioni di vita lì dentro sono disumane. Ma bisogna considerare che sui 65mila detenuti totali in Italia, solo 800 sono avviati in percorsi lavorativi all’interno del carcere. 800 è un numero davvero esiguo rispetto a quello che si può fare. Bisognerebbe già all’interno delle carceri prevedere dei percorsi lavorativi, in modo tale che con la costituzione di cooperative direttamente collegate a queste realtà, le persone possano trovare davvero una vita lavorativa fuori dagli istituti di detenzione. Se questo non si farà, il rischio è che oggi svuoteremo le carceri e domani saranno più piene di oggi”. Leggi anche: Paolo: ‘Il carcere? Un'altra vita' 'Ex detenuto? Oggi è uno di noi' Venuti: ‘Il Pit9, un inizio senza finale' Vitali: ‘Il territorio non ha saputo sfruttare il Pit9' Svuota carceri. I numeri Articolo correlato: Carcere-lager. Puglia terza in Italia

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